Capitolo 2

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Il gran vociare della classe si alzava come un brusio fastidioso e man mano cresceva ad ogni passo che Lorenzo compiva verso l'aula. Varcata lo soglia, nessuno si zittì e come sempre accadeva, nessuno notò il suo arrivo. Si sedette al banco e sistemo la tracolla sullo schienale della sedia. I suoi movimenti si bloccarono all'istante quando ascoltò il pettegolezzo del giorno. Una sua compagna di classe parlava con la sua amica a voce abbastanza alta da essere ben udita dal resto della classe.

«Me l'hanno detto dei ragazzi dell'altra classe. Hanno visto Mattia baciare un ragazzo. È successo l'altro giorno...» la ragazza continuò il suo racconto e l'intera classe bisbigliava i propri commenti, accompagnandoli talvolta con delle risatine. Lorenzo si accigliò e disprezzò il loro modo ottuso di pensare.

«Che spreco però...» disse la sua amica «Lo trovavo carino abbastanza da poterci uscire una sera...» poco dopo scosse la testa e rise di gusto.

Lorenzo, sempre più disgustato, sentí dentro si sé crescere una rabbia inaspettata, ma in quel momento tutti si zittirono e, quando si girò verso la porta, vide Mattia entrare in aula. Nessuno gli rivolse la parola, alcuni si girarono, voltandogli le spalle. Mattia non si scompose. Il suo viso era impassibile, mentre si dirigeva a passo spedito verso il suo banco. Sistemò lo zaino allo schienale e si sedette sulla sedia. Puntellò il gomito sulla superficie lignea del banco e, dopo aver appoggiato il mento sul palmo della mano aperto, prese a guardare fuori dalla finestra in silenzio. La pioggia bagnava il vetro della finestra ed il cielo scuro non accennava a schiarirsi. Lorenzo osservò a lungo il riflesso del viso di Mattia. Era serio e pensieroso. Forse le parole ed i comportamenti dei suoi compagni lo avevano ferito, pensava Lorenzo, mentre lo guardava senza dire nulla. Mattia si accorse dello sguardo puntato su di lui, si girò verso Lorenzo, ma non lo salutò e non gli disse nulla. Si girò verso la finestra, continuando a guardare fuori, senza dire nulla e senza cambiare la sua espressione. Lorenzo guardò dinanzi a sé e, sfogliando il libro di testo, che aveva davanti a sé sul banco, attese l'inizio della lezione. Il professore fece il suo ingresso e tutti si sistemarono ai propri banchi.

Il resto della lezione trascorse in tranquillità. Lorenzo non aveva rivolto più alcuno sguardo a Mattia. Doveva concentrarsi sullo studio. Gli importava solo di questo. In estate ci sarebbero stati gli esami e non vedeva l'ora di poter lasciare casa, per frequentare l'università in una città più grande.

Non appena la lezione terminò, Mattia corse via dall'aula, prendendo con sé lo zaino. Lorenzo lo notò, ma non lo inseguì. Rimase impassibile come al solito, anche se stranamente avvertiva una certa preoccupazione per quel ragazzo. Cercò di concentrarsi anche nelle lezioni successive, non pensando più a Mattia, che non si fece vedere nemmeno all'ultima ora. Lorenzo sistemò la sua tracolla e si precipitò fuori dalla scuola. Il cielo aveva concesso una tregua dalla pioggia incessante di quei giorni. Le nuvole coprivano ancora il sole e una leggera brezza fresca soffiava, smuovendo le foglie degli alberi, che sembrava si scrollassero di dosso l'acqua accumulata in quella mattinata. Con passo spedito, Lorenzo si diresse verso la fermata dell'autobus, scacciando ogni pensiero su dove poteva trovarsi Mattia. Sospirò profondamente ed il suo respiro si cristallizzò nell'aria, evaporando poi in un attimo. Si fermò a guardare il ragazzo, seduto per terra, con il cappuccio del giubbotto tirato su, mentre stringeva le gambe a sé. Lorenzo deglutì e si avvicinò lentamente al ragazzo. Lo zaino era buttato per terra e i quaderni ed i libri, sparsi per la strada, erano ormai fradici. Quando Lorenzo gli fu ormai vicino, Mattia sollevò il capo e lo guardò dritto negli occhi. Aveva uno zigomo gonfio, un labbro spaccato da cui continuava ad uscire un po' di sangue ed uno sguardo che Lorenzo non avrebbe mai dimenticato. I suoi occhi erano vuoti. Non provava nulla in quel momento. Non provava rabbia, nemmeno odio. Era come se gli fossero stati portati via i suoi sentimenti e la sua anima. Lorenzo deglutì ancora, poi s'inginocchiò davanti a Mattia e sollevò piano la mano. Posò il pollice sulla ferita al labbro e accarezzò piano la guancia gonfia di Mattia. Il ragazzo mosse velocemente la mano e scacciò la mano di Lorenzo.

«Vattene...» gli disse Mattia, rimettendosi finalmente in piedi. Raccolse lo zaino e rimise apposto i libri ed i quaderni. Lorenzo si alzò e seguì gli stessi movimenti del ragazzo.

«Chi è stato?» gli chiese, mentre raccolse l'astuccio e lo porse a Mattia.

«Dei tipi... adesso vattene» disse ancora una volta, mentre richiudeva lo zaino e se lo rimetteva sulla spalla.

«Dovresti stare attento alle persone che frequenti» disse Lorenzo, raccogliendo un foglio che si era staccato da uno dei quaderni di Mattia. Il ragazzo glielo strappò di mano e se lo rimise nella tasca del giubbotto.

«Certo, come no... adesso vattene! Dovresti starmi lontano...»

«Ieri mi stavi appiccicato e adesso non posso nemmeno parlarti?» il tono della voce di Lorenzo si alzò tanto, da far voltare i passanti. Lorenzo stesso non si aspettava una reazione del genere. Era sempre stato un ragazzo calmo, a cui non importava molto di quello che gli succedeva intorno. Non voleva essere coinvolto in nulla, che non fosse lo studio. Voleva raggiungere i suoi obiettivi e gli importava soltanto di quello. «Hai paura che anch'io possa farti del male?»

«Stupido!» gridò lui, bloccando le parole di Lorenzo. Mattia scosse il capo «Ho paura che possano farti la stessa cosa che hanno fatto a me» disse Mattia, abbassando lo sguardo. Si voltò e, stringendo i pugni, iniziò a correre, fino a sparire dalla vista di Lorenzo.

*   *   *

«Che hai fatto al viso?» gli chiese sua madre, mentre Mattia correva in camera sua e si rinchiudeva dentro.

«Lasciami stare!» le gridò lui, al di là della porta. Poggiò la schiena contro la porta chiusa alle sua spalle e si lasciò cadere lentamente, fino a toccare il pavimento. Si prese le gambe fra le braccia e poggiò la fronte sulle ginocchia.

«Mattia, apri la porta. Cos'hai fatto al viso? Chi è stato?» sua madre continuava fargli domande a cui però Mattia non aveva alcuna voglia di rispondere. Non era solo il viso a fargli male. In realtà aveva ricevuto anche un pugno nello stomaco, per cui si era accasciato per terra. Ripensava ai volti dei suoi aggressori. I loro stupidi ghigni, mentre lo prendevano a pugni e lo insultavano dandogli del mostro e del finocchio, ancora erano impressi nella sua mente. Che codardi, pensò. In quattro contro uno.

«Domani ti accompagno a scuola e chiarirò con il preside la faccenda!» gridò sua madre dall'altro lato della porta. Mattia si alzò di scatto e riaprì la porta. Si trovò davanti una donna preoccupata e arrabbiata allo stesso tempo.

«Non farlo!» urlò Mattia «Se lo fai, peggiorerai le cose!» sua madre stava per replicare, ma sapeva che suo figlio aveva ragione. Capiva anche il motivo per cui lo avevano preso ancora una volta di mira.

«E' come nell'altra scuola?» chiese lei piano, mentre lo stringeva in un abbraccio. «Hanno saputo che sei gay?» Mattia non rispose e preferì restituire l'abbraccio a sua madre in silenzio. La strinse forte a sé. Ormai l'aveva superata in altezza, perciò poggiò il suo mento sulla spalla della madre, che lo accolse, spostando leggermente il capo. A sua madre, Mattia poteva dire tutto. Era la sua più grande confidente.

«Vedrai che si stancheranno presto di prendermi in giro...» sembrava quasi che fosse Mattia a confortare sua madre e non il contrario.

«Ti disinfetto le ferite?» chiese sua madre, poco dopo aver interrotto quell'abbraccio. Mattia scosse il capo «Ci penso io, vorrei stare solo...» disse poi, richiudendosi la porta alle spalle. Si sdraiò sul letto. Lo stomaco, come lo zigomo gli pulsavano da far male. Sollevò un bracciò a mezz'aria. Spostò la manica della felpa, tirandola su e scoprì di avere dei lividi sull'avambraccio. Sospirò e lasciò ricadere sul letto il braccio. Si sentiva frustrato. Avrebbe voluto colpirli più forte, ma aveva finito per tirare un pugno solo, colpendo la guancia di uno dei quattro. Come risposta, ne aveva ricevuti tanti, mentre lo tenevano fermo. Gli avevano sputato in faccia, chiamandolo "checca".

La cosa che più lo feriva non erano i pugni ricevuti e nemmeno gli insulti. Ciò per cui stava male era che d'ora in poi avrebbe dovuto evitare Lorenzo. Non voleva che quegli stupidi lo prendessero di mira. Non voleva essere la causa delle sue ferite. Avrebbe fatto meglio a girargli alla larga. Sarebbe stato meglio. Quel ragazzo gli piaceva. Il suo modo di fare, il suo modo di porsi, così distaccato e diverso da tutti i finti amici avuti fino a quel momento lo incuriosivano. Avrebbe voluto fare amicizia con lui, conoscerlo meglio, ma sapeva che era meglio non coinvolgerlo nella sua vita.

Allontanarsi era la cosa migliore.

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