capitolo 44

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I medici non fanno altro che farmi analisi su analisi, per avere la certezza che io sia davvero viva. Non ci possono credere e, ad esser sicura, nemmeno io.
Una lunga, lunghissima, flebo è collegata al mio braccio, un sondino altrettanto lungo è infilato nella mia narice destra, mentre un respiratore mi inietta ossigeno dalla narice sinistra.

Tutti stanno fuori dalla stanza, tutti i miei amici, mia nonna, mio padre, Madison, perfino mio zio che mi ha seguito fin qui dall'Italia. Li sento ribattere e protestare quando i medici non vogliono riferire nulla su di me; li guardo, quando la porta si apre, li guardo guardarmi increduli, li guardo piangere per la gioia come se fosse accaduto un miracolo e forse è accaduto davvero.

Ogni tanto, quando riesco, mentre i medici fanno avanti e indietro da fuori a dentro, guardo Luke, che ha gli occhi gonfi per le troppe lacrime. Lo guardo mentre si regge in piedi appoggiato alle stampelle. Lo guardo da capo a piedi e mi soffermo sulle sue gambe, chiedendomi quale delle due sia finta.

Quando, dopo non so quanto tempo, ho aperto gli occhi, lui era lì e ha sorriso, dio mio se ha sorriso. Stava piangendo e non ho ben capito cosa abbia farfugliato mentre schizzava via dalla stanza armato delle sue stampelle. Neanche il tempo di salutarlo che nella stanza sono arrivati i dottori e mio padre, che non ho mai visto così felice.
Quello che è successo dopo è un casino da ricordare. Si è creata una confusione assurda, mio padre che mi raccontava tutto aiutato da Madison che precisava ogni assurdità accaduta, Luke che sorrideva a trentadue denti mentre reggeva Calum che piangeva. I dottori sono stati costretti a cacciarli via, per avere più tranquillità e per poter esaminarmi meglio. Credo che questo sia accaduto due ore fa.

Vedere Luke vivo mi ha scaldato il cuore, è vivo, non è morto! Però per colpa mia, ora gli manca un pezzo della gamba, non me lo perdonerò mai. Cloe ha tentato di imbucarsi, ma non sono riuscita a vederla e non ho potuto parlargli, ma dopotutto mi è difficile farlo, ho la gola secca come il deserto, ma i dottori non mi portano l'acqua, prima devono finire gli esami. Hanno detto che domani mi faranno una tac celebrale e finalmente avranno terminato con tutti i loro controlli.

"Bene Grace..." sussurra l'infermiera porgendomi un bicchiere contenente un liquido arancione "per oggi abbiamo finito, tra poco potrai vedere tuo padre"

Sollevo lievemente gli angoli della bocca in un sorriso sforzato. Poi socchiudo gli occhi, sono tremendamente stanca, nonostante abbia dormito per un bel po'.

"Tieni questa spremuta d'arancia..." sorride avvicinando il bicchiere alla mia bocca.

Il solo sentire dell'odore mi rivolta lo stomaco, dunque faccio una smorfia disgustata.

"Preferisci dell'acqua?"

Annuisco e l'infermiera esce dalla stanza permettendomi di intravedere due grandi occhi azzurri che conosco anche troppo bene.

E come lo vedo, sento le labbra calde e che sanno di dolce, come se, senza accorgermene, ho ricevuto un bacio inaspettato da qualcuno che ha appena finito di mangiare dei biscotti alle gocce di cioccolato. Il mio Hayes è li fuori che mi aspetta.

I due dottori parlottano infondo alla stanza esaminando delle cartelle e dei fogli, ogni tanto mi buttano un occhio, ma solo per qualche secondo perché sono troppo presi dalle loro ipotesi.

L'infermiera torna nella stanza con un grande bicchiere pieno d'acqua che me lo avvicina alla bocca pensando che io accetti l'aiuto, ma invece lo afferro con le mani e butto giù una lunga sorsata.

"Chiami suo padre..." ordina uno dei due dottori.
Sono due uomini che non si assomigliano per niente, uno, sulla mezza età, con i capelli neri domati con il gel, l'altro, ormai sull'orlo della pensione, è pelato e indossa un paio di occhiali neri sulla punta del naso.

Treat you better|| Hayes Grier Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora