Capitolo 41.

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Nuotare era sempre stato difficile. Magari inizialmente pensavi di potercela fare, poi però le braccia non reggevano più, le gambe si intorpidivano quel tanto da cedere ed abbandonarti a ciò che ti era destinato una volta giù. Non a caso le persone affondano, le acque sono troppo torbide, bastano pochi minuti, una manciata di secondi ed è tutto finito, reso nullo. Non ci vuole molto per mettere un punto alla propria esistenza, bisogna solo volerlo. Se decidiamo di lasciarci andare, è finita. Spesso, però, il vuoto che si ha nel petto è troppo pesante. Un macigno incontrollabile, che ti spinge giù e non sei tu, non puoi far niente se non aspettare che tutto finisca, che tu riesca a sentire la sabbia tra le dita, che riesca a toccare il fondo. Essere invaso dalla consapevolezza che il dolore provato, non s'impossesserà più della la tua mente e del tuo corpo, i fantasmi si dissolveranno proprio come ti dissolverai tu, e ti resta solo aspettare, aspettare di chiudere gli occhi, aspettare che le tue labbra, ormai violacee, assumano un bianco naturale, il bianco naturale della morte. E forse è vero che rinasciamo dalle nostre ceneri, proprio come le fenici.
Immagina, tutto intorno a te è fermo. La sabbia si sgretola tra le dita, ormai i tuoi polpastrelli sono ruvidi, privi di tatto, ma riesci a sentirla, riesci ancora a sentirla scivolare nelle tue mani bianche latte. Gli occhi chiusi, in modo da assaporare ogni momento, ogni attimo, l'ultimo attimo. I capelli che ti incorniciano il viso, l'espressione pacifica mai avuta nelle tua esistenza, labbra violacee e i vestiti come seconda pelle. Forse sono fastidiosi, ma arriva il momento che non ci fai più caso, non senti più niente se non un dolore lancinante alle tempie, e poi il nulla. Vuoto più totale.
Almeno così immaginavo la mia ascesa. Io ero sempre stata afferrata prima del dolore, prima di essere avvolta e costituita dal niente più assoluto. Le mie dita hanno vagato sulla sabbia, giocato con i granelli fino a non sentirli più. Ma poi, nel mio pacifico silenzio, qualcosa di forte si è insinuata sulla mia spalla e, prima che me ne accorgessi, una presa ferrea mi ha trascinata sù, inducendomi ad aprire gli occhi e guardarmi intorno. Non il confine, non la morte, la vita. La patetica atmosfera che ci avvolge dalla mattina alla sera, senza lasciarci respirare. Nonostante il cielo sia così grande, niente colma l'infinito come il vuoto. Niente colma me come il vuoto.

"Fai attenzione." Sussurrò Jace al mio fianco. "Anche se so che non servirà dirtelo, perché cadrai in ogni caso, ma cerca almeno di non fare rumore." La serratura scattò dopo le sue parole.

"E se cadessi tu?" Ribattei, spingendolo a roteare gli occhi nella penombra del salotto, illuminato solo dalla torcia del suo telefono.

"Non so come te, Cassie."

"Come me intendi fantastica, giusto?" Lo seguii dentro, chiudendo a chiave la porta alle nostre spalle.

"Devo davvero elencare tutti i tuoi difetti?"

"Di sicuro sono meno dei tuoi." Lo superai scocciata.

"Davvero?" Inarcò le sopracciglia, mentre mi seguiva in cucina. "Vediamo." Iniziò a contare sulle dita della mano libera. "Goffa, imbranata, testarda, stupida, testarda, incosciente, irresponsabile, ho già detto testarda?" Alzò gli occhi sul mio viso. "Ah, e hai pessimi gusti in fatto di amici. Sento ancora la puzza del vomito di Stevens." Distorse la faccia in una smorfia.

"Non ci credo. Hai perso dei preziosi secondi della tua patetica esistenza a farmi notare quanto io sia meravigliosamente meravigliosa? Caspita, non sapevo fossi così altruista." Sussurrai, ridendo. Sapevo avesse perfettamente ragione. Avevo molti difetti, come ogni essere vivente, eppure non riuscii a non essere divertita dalla situazione. Infondo, voleva dire che ero normale anch'io.

Le mie parole, però, lo spinsero a corrugare la fronte. "Pensavo te la prendessi." Compì alcuni passi indietro. "Ah, da aggiungere anche permalosa." Mi indicò.

"Non hai nient'altro di più interessante da fare, non so, per esempio lavarti? Puzzi come se ti fossi appena buttato nell'immondizia." Scossi una mano davanti al viso.

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