Capitolo 39.

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La testa pulsava, i ricordi erano vividi come non mai. Un altro incubo aveva segnato quella notte e le precedenti. Era da molto che le mie memorie si aggiravano attorno a me, mi attaccavano come fossi la loro preda preferita, come fossero decise a logorarmi una volta per tutte, eppure, non lo facevano mai. Giocavano. Giocavano con me, si divertivano, si nutrivano del mio dolore e lo trasformavano nel loro gioco preferito. Ciò di cui invece io non potevo fare a meno, era un'altra cosa ma, dopotutto, sapevo che non avrei più potuto incontrare quegli occhi, senza sentire un vuoto nel petto. Era successo tutto troppo velocemente, la mia vita si era ribaltata in pochi mesi, rendendomi davvero difficile capire come potesse esser successo. Ma, d'altronde, il perché era solo una domanda che sarebbe stata sospesa per sempre. Ogni volta che questa parola sarebbe stata citata, ci sarebbe stata una risposta, fin quando, queste ultime non si sarebbero esaurite. Un giorno, non ci sarebbero state più risposte, ma solo perché. Un'incognita, come tutti noi. Io ero un grande punto interrogativo, ma, Ryan era di dimensioni maggiori rispetto le mie. Non potevamo minimamente essere paragonati.

Il piumone ormai si stendeva ai piedi del letto, il sudore mi incorniciava il viso e sapevo che, per mettere fine alle mie pene, sarei dovuta andare da una delle persone che riuscivano a calmare i miei demoni, in modo da scontrarsi con i suoi, perché due forze potenti, avrebbero potuto annullarsi se si sarebbero scontrate, ed era quello che succedeva quando ero in compagnia di Jace.

Scesi dal materasso, strusciando i piedi scalzi sul pavimento. Il freddo mi percorse la schiena in un brivido, ma avanzai verso la porta. Le luci spente, il nulla intorno a me e il rumore dell'orologio situato sul muro al mio fianco, non erano d'aiuto mentre attraversavo il corridoio. Giunsi nella stanza del ragazzo velocemente, quasi rischiando di inciampare per la corsa fatta. I nonni si trovavano nella stanza affianco la sua, ma non si svegliarono quando feci cadere il telefono del ragazzo, a terra. Imprecai, raccogliendolo e riposandolo sulla scrivania, nel compiere questo gesto, notai una pantofola proprio davanti a me.

"Chi è?" La sua voce roca mi fece saltare sul posto, tanto che urtai il mobile al mio fianco, rischiando di far cadere tutto ciò che era poggiato sopra. Fui presa alla sprovvista, ed il mio tono fu minaccioso.

"Un ladro. Chiudi gli occhi o ti ammazzo." Gli puntai contro la ciabatta trovata a terra che, al buio, avrebbe potuto benissimo essere scambiata per un'arma.

Rimase in silenzio per alcuni secondi, forse riflettendo sulle parole dette da me.

"Cosa vuoi?" Il tono duro, sembrava veramente convinto della mia identità.

"Dammi le tue pantofole, ora." Esclamai, tirandogli la ciabatta addosso. Lo colpì dritto in fronte, facendolo sussultare sul posto al contatto con l'oggetto scaraventato contro di lui con violenza. Cercai di non ridere, ma fu quasi impossibile.

"Stai scherzando, vero?" Potei immaginare le sue sopracciglia corrucciate in un'espressione divertente.

"No." Recuperare l'altra ciabatta e la scagliai nella sua direzione, questa volta, però, colpì la lampada sul comodino al suo fianco, facendola cadere a terra in mille pezzi. Il rumore del vetro si propagò per la stanza, inducendomi a correre istintivamente in quella direzione. Mi accovacciai a terra tentando di non graffiarmi con i cocci. Non riuscii a farlo, però, perché due forti braccia mi circondarono la vita, spingendomi verso l'alto. Caddi sul letto, sbattendo la testa contro il soffice cuscino sotto di me.

"No, no, non ci provare. Sveglierai tutti." Mi dimenai tra le sue mani, già pronte a farmi il solletico.

"Dovevi pensarci prima." Non compresi ciò che stava succedendo, finché non iniziai a ridere sommessamente, tanto da soffocare il viso nel cuscino del ragazzo.

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