8. Imparare la pazienza

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2010

Andrea

I gradini della Fontana dei Catecumeni ti congelano le chiappe, se ci stai seduto per troppo tempo quando fa freddo.

È con questo illuminante pensiero che, scrutando il cielo, finisco di bere la Beck's ghiacciata e poggio il vuoto accanto a me. Valuto l'idea di poggiare anche la testa sui suddetti gradini per congelare i pensieri, univocamente diretti verso il rifiuto di Bea: sono tre mattine che mi alzo con il pensiero fisso di rubarle un bacio in spiaggia con il sottofondo del rumore del mare e per ora sono riuscito a rubarle solo il numero di telefono.
È estremamente frustrante.

Tanto quanto l'alzabandiera.

«Oh, frate'.»
Sbatto il palmo con quello di Dario che mi si siede accanto, sbuffando una nuvoletta di vapore a causa del freddo. Rimaniamo in silenzio per qualche minuto e nonostante tutto l'assenza di parole non pesa. Chi mi conosce sa che non sono un tipo particolarmente loquace.

«Ho visto Federica al bar prima.»

«Mmh mmh.»

«Ti cercava.»

«Mmh.»

«È solo questo quello che hai da dire?»

Sbuffo, annoiato. «I legami sono sopravvalutati, Da'. L'amore, la passione, il sentimento sono istinti animali, naturali; la coppia, invece, è un'invenzione dell'uomo.»

Neanche a farlo apposta, ricevo una chiamata di Federica sul cellulare: appena finito di sbirciare il mittente lo rimetto in tasca, ignorandolo.

«E quindi?»

«E quindi non devo rendere conto a nessuno, meno che meno a lei.»

«Contento tu. Sei sicuro che lei sia a conoscenza della tua personalissima visione della vostra situazione?»

«No.» Mi stringo nelle spalle. «E ti lascio immaginare quanto me ne possa interessare.»

«Sei incorreggibile.»

Mi ruba la Beck's e trovandola vuota fa una smorfia di disappunto, poi la lancia nel cestino e fa un lungo sospiro.

«Ti hanno visto parlare fuori dall'Albertelli con Beatrice oggi» dice, dosando le parole.

Mi irrigidisco. Non riesco a farne a meno, è una cosa mia, una cosa in cui nessuno si deve permettere di mettere becco. «Un pacco di affari vostri, mai?»

«Calma, non c'è bisogno di essere così aggressivo.» Mette le mani avanti, sorridendo. «Lo dicevo perchè sai quanto ci possa tenere Carlo e la situazione con Federica è già complicata così...»

«Niente che comunque vi riguardi. A parte tutto, se Carlo fosse stato abbastanza bravo da conquistarla, da stuzzicare la sua curiosità, se la sarebbe tenuta.» Allargo le braccia «Non è colpa mia. Per ogni persona incapace di coltivare il bello, c'è una ragazza in più in giro per me. Le persone non sono proprietà, Dario.»

«Già.»

Rimaniamo ancora in silenzio, mentre gioca con un sassolino per terra. «Calcetto oggi?»

«No, oggi non posso.»

E lì, pensando ai miei impegni, mi viene l'illuminazione del secolo.

«Dà, dove abita la Zucconi? Quella dell'Albertelli con cui ti vedevi lo scorso anno.»

«In via Berni, perché?»

«Devo andare a salutare una sua vicina di casa.»

Sorrido, prendo il cellulare e digito velocemente poche lettere. Invio e lo rimetto in tasca.

A: Beatrice. "Pronta alle 21. Stasera ti rubo."

*

Notoriamente non sono un tipo molto paziente.

Anche se in teoria non ho ricevuto risposta al messaggio e non avrei nessun diritto di spazientirmi aspettando qualcuno che non ha confermato la sua presenza, non tollero un solo minuto di attesa; in ogni caso non posso assolutamente andare oltre le nove e un quarto: chi c'è, c'è; chi non c'è, non meritava di esserci.

A ciò si aggiunge un problema: conosco la via, non il civico. Da dove diamine dovrebbe spuntare Beatrice? Mi gratto il dorso del naso a disagio e alzo lo sguardo verso il cielo.

Speriamo non piova stasera.

Sono già passati più di un paio di minuti quando la vedo: cammina verso di me, avvolta in un parka, con le mani in tasca e la testa bassa. Sorrido senza neanche accorgermene e mi avvicino con lo scooter.

«Ciao Beatrice.»

«Ciao» dice e alza la testa, semplicemente.

I miei occhi scontrano i suoi, l'impatto è devastante.
Incidente sulla statale; "Ragazzo 20enne in prognosi riservata", recitano i giornali.

Mi scruta sospettosa. «Come sapevi dove abito?»

«Ricordavo che una mia conoscenza è una tua vicina di casa.» Mi stringo nelle spalle.
«Andiamo?»

«Dove?»

«Ovunque e da nessuna parte. Che importa? Sii sincera, soprattutto con te stessa: vuoi venire con me o no? Qualunque sarà il posto in cui ti porterò, non ti devi fidare di un paio di sgabelli lisi o della spuma del mare: ti devi fidare di me.»

Abbassa la testa di nuovo e traccia con il piede una linea invisibile sull'asfalto, infagottandosi ancora di più. Sembra piccola piccola e indifesa in questa posizione e io mi avvicinerei volentieri, ma voglio che sia lei a decidere che fare.
Tace per qualche altro minuto.

E io notoriamente non sono un tipo paziente.

«Passami il casco.»

È quasi un sussurro, ma le mie orecchie lo ascoltano come il suono più bello del mondo, seppure la bellezza non sia comunque paragonabile alle sue labbra che pronunciano il mio nome, con la lingua che sbatte sui denti quando dice la R. Tanto adorabile da essere terribilmente sensuale, in questa sua meravigliosa innocenza.
Le allungo il casco e aspetto che mi salga dietro. Mi fa sorridere vedere come cerchi di mantenere quasi le distanze, afferrandomi delicatamente la giacca, senza stringermi.

Se lo facessi - se mi stringessi, dico - mi sentiresti andare a fuoco.

Aspetto che sia stabile dietro di me e parto.

Sono Andrea e sono libero.


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