Terzo giorno

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Andrea

Stavolta è diverso.

Stavolta non le dico dove andare, non le do mezze indicazioni aspettando che lei ci metta il suo e decida di seguirle e venire da me; stavolta non rimango a consumarmi nell'attesa di scoprire se accetterà, riconfermando per l'ennesima volta quella cosa forte che ci lega, o se ha riflettuto più del dovuto e ha cambiato idea; stavolta non me ne sto inchiodato nel timore di vedere se vuole ancora tenere fede al nostro patto dei quattro giorni oppure vuole abbandonare tutto come fosse una guerra già persa in partenza, una per cui non vale la pena, una di quelle che a pensarci bene si poteva anche combattere a tavolino, visto che una volta che vieni delusa magari la fiducia in quella persona non la riacquisti manco a scambiarla con un rene al mercato nero.

Magari, però, è la parola più importante di tutte. Perché magari invece non è vero, magari ne vale la pena eccome, magari le persone non cambiano dall'oggi al domani però ci pensano e ripensano così tanto da prosciugarli – i pensieri, dico – e capire cose di se stessi che prima non si sapevano. Tipo che io una vita senza di lei non la voglio, una domenica senza noi buttati a Villa Pamphili è come settembre senza il campionato, un'estate senza i suoi sorrisi sotto il sole il Tg1 che nell'unica settimana di ferie annuncia pioggia perenne mista all'afa portata dai monsoni africani o che so io. Chi nasce tondo non muore quadrato, quello no, ma magari può spezzare la linea continua della sua figura per inghiottirne un'altra – tipo un triangolo – poi richiudersi e tenerla stretta fortissimo dentro di lui, collimare lì dove la circonferenza tocca gli angoli, a volte modellarsi un po' attorno.
Chi nasce tondo non muore quadrato, ma magari può continuare a essere tondo in modo diverso.

E io voglio essere tondo con lei.

Stavolta faccio l'uomo perché lei si merita tutto me stesso – senza chiedermi se è abbastanza, ché già lo so che non lo è, spero solo che le vada sempre bene – e la vado ad aspettare sotto casa con un pezzo anni settanta suonato a palla dalla radio dell'auto mentre sto coi finestrini abbassati, uno di quelli che la gattara al piano di sopra si affaccia e si incazza, ma a me frega cazzi perché Bea si sta preparando e intanto dalla finestra mi sente e capisce che sono arrivato e aspetto solo lei e si fa bella per me. Non come non fosse successo niente prima, ma come a dire che è possibile che accada qualcosa dopo – e con dopo intendo tutta la vita. Come a dire che è ancora possibile costruire davvero qualcosa su queste ceneri e calcinacci che ho creato nella nostra vita e in me, io che dentro ho la devastazione, le rovine, ho i cumuli di polvere bianca che si alzano a frotte quando ci passi e ti avvelenano l'aria, ho le travi pericolanti e la puzza di sudore, piscio, sofferenza e tragedia che riempie l'aria dopo gli attentati.

Magari mi gioco Venditti, magari mi gioco Lando Fiorini e chiedo a Roma di nun fa la stupida stasera e magari a che ci sto lo chiedo anche a lei.

Non fare la stupida, Beatrice, non buttare all'aria tutto. Io sto qui apposta, modellato rispetto a prima e con la linea della circonferenza spezzata pronta ad accoglierti ché da quando ti ho visto ci sono ricascato con tutte e due le scarpe in te e in quanto bella sei – e mica solo fuori. Io felice come adesso non ci sono stato mai, nemmeno quando stavamo insieme, perché adesso sto qui con la certezza di quello che sono quando non stai accanto a me. E non mi piace. E non mi basta.

Roma è sempre Roma se i banchi di nebbia la soffocano giorno e notte? Se non puoi più vedere i sampietrini, se non puoi più guardare dall'isola Tiberina l'acqua del Tevere dipingersi di luce all'alba e dal Ponte Sisto dipingersi di lampioni di notte; se non puoi più osservare il tramonto sul Colosseo o dal Colosseo e vedere i fori imperiali colorarsi come in cielo ci fosse Picasso in persona; se sta lì, ma è invisibile, puoi ancora considerarla Roma?

Tu sei (Le ceneri)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora