28. L'Alfa e l'Omega

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2017

Andrea

In preda all'insonnia, al fine di cercare un po' di riposo, le persone banali contano le pecore; io, che ho sempre vantato un'inenarrabile capacità di autodefinirmi distante, a sè stante, rispetto al resto della suddetta gente, conto diverse cose.

I sogni.
I peccati.
Le voglie.
I difetti.
Le volte in cui avrei voluto fare qualcosa, invece ho fatto l'esatto contrario.

Sono tutti elenchi di innegabile stampo masochista, mi trovo costretto ad ammetterlo: provo un'effimera soddisfazione nel tagliarmi le vene dell'anima e rimanere lì, a osservare i pensieri sanguinarmi fuori e raccogliersi in una pozza che si espande ogni secondo di più. Saranno le endorfine, la serotonina, quelle robe alla base del fatto che piacere e dolore hanno la stessa radice ormonale; non saprei e nemmeno mi interessa, in realtà: il fine - la ricerca del piacere e del sonno, in questo caso - giustifica i mezzi.
Gli elenchi sono anche inspiegabilmente corposi, forse troppo lunghi per soli ventisette anni di vita, e riescono a tenermi impegnato per buona parte della notte; invano, direi, visto che il sonno non riesce ugualmente a raggiungermi. Peccato.

Supino, le braccia distese lungo il corpo, osservo il soffitto nero che mi sovrasta e penso che forse non c'è requie, nell'inferno sulla terra, per quelli come me.

Oggi tento un nuovo elenco: farò una lista delle cose che, nella vita, non avrei mai potuto ritenere possibili e invece...

Whatsapp.

Io che vado a convivere.

L'oscar a Leonardo di Caprio.

Il fatto che tutte le strade portano a Roma.
Roma è Lei.

Il fatto che io, l'amore, lo so fare solo con una persona.
L'amore è Lei.

Serro gli occhi e con le mani strette in due pugni li strofino, stanco: no, così non va bene per nulla, ma nemmeno per un cazzo.
La fine di ogni elenco è Lei.

Mi sono illuso, per una quantità indicibile di tempo, di essere attorniato dai mostri: ancora ricordo quando, da bambino, pensavo si nascondessero sotto al letto o quando, qualche anno dopo, pensavo mi si coricassero accanto. Ho compreso, con estremo ritardo, ma con altrettanta consapevolezza, che, invero, i mostri mi albergano dentro: pensione completa, suite imperiale e vista mare. Hanno messo radici da non so quanto tempo e ancora non hanno inventato un diserbante da bere o spararsi in vena. Peccato anche questo.

Peccato tutto.

Fa caldo, fa un cazzo di caldo e più mi agito, peggio mi sento. Mentre ricordo, una goccia di sudore mi scende dall'attaccatura dei capelli fino a cadermi sull'occhio e l'immagine mi fa sogghignare: sono talmente inetto da non essere nemmeno in grado di versare lacrime di coccodrillo, finte per definizione, dai miei dotti lacrimali e ho bisogno delle imitazioni in forma di rivoli di sudore. Il falso del falso.

"Insegnami come si fa, Andre."
"E che gusto ci sarebbe? Impara da sola. Non staccare mai gli occhi da me, nemmeno per un istante. Sperimenta e sonda le mie reazioni, osserva la mia pelle, impara ad ascoltarmi. E non dimenticare mai che esisti anche tu."

Aveva imparato, aveva imparato eccome.
Le sue mani, ovunque.
Mi infilava il pollice sotto al mento e mi sollevava la testa, con un movimento lento e deciso, per avere campo libero sul mio collo e non farmi vedere nulla. Quanto le piaceva, l'idea che non avessi la minima idea di quello che aveva in mente di fare.
Quanto le piaceva, alla fine della fiera, il potere, almeno tanto quanto a me piaceva che nessuno fosse a conoscenza di questo suo lato. Lei altro non è che una tigre travestita da dolce, remissiva, ragazza della porta accanto, ma nessuno lo sa.

O meglio, sapeva.

Il suo fiato caldo nell'orecchio, le sue labbra screpolate a sfiorarmi il lobo. Sussurrava cose che mai avrei ritenuto possibile potessero uscirle dalla bocca.

Aggiungo anche questo, all'elenco di prima.

La punta del naso fredda, sulla mia pelle bollente. Un brivido infinito.

Quando rimanevamo lì, dopo l'amore, a parlare di tutto e niente, se la prendeva e si offendeva per qualcosa, qualcosa di stupido, qualche parola fuori posto - l'unica cosa che mi viene bene è fa' il coglione, si sa - e mi tirava ceffoni, mi graffiava, faceva tutto quello che poteva per manifestare il suo disappunto, ma Lei era uno scricciolo e io mi sentivo grande e grosso. La lasciavo fare, per un po', poi le imprigionavo i piccoli polsi nelle mani, stendendola sul letto e la sovrastavo.

"Hai finito?"
"Non ho nemmeno iniziato."
"Sei incazzata?"
"Da morire."
Mi fondevo a Lei, senza chiedere, perchè sapevo che, checchè ne dicesse, Lei mi aspettava sempre. Lei c'era sempre.
"Non si direbbe, che sei incazzata."
Occhi liquidi, cuore liquido, sentirsi completi. Il possesso, che in altri momenti più lucidi repellevo, affacciarsi prepotentemente in mezzo ai miei gesti spontanei e ai pensieri incontrollati: la marchiavo, con lingua e denti, le lasciavo addosso i segni dell'amore. Che lo vedessero tutti, a chi apparteneva quel cuore.
"Se vedo un altro che ti guarda o ti sfiora, lo gonfio. Dentro di te, ci sono soltanto io. Ci sarò sempre io. Dove sei tu, sono io."

Scendo con le mani sul torace, il ricordo è forte, in alcuni momenti non lo distinguo più dalla realtà. Tocco le parole che so vergate sulla quarta costa a sinistra, vicino al cuore e mi contraggo spontaneamente, in preda a un dolorosissimo spasmo dall'interno. Posso toccare quelle, ma è un anno che non tocco Lei.

Mi serve.
Ne ho bisogno.

Devo.

E sono pronto da quando ho iniziato a ricordare.

Rassegnato, mi volto verso il lato del letto occupato dall'altra persona presente in questa stanza; poso la guancia sul cuscino, fresco e morbido, e complice il buio, cedo.

Che Dio mi perdoni.
Se esiste, un Dio.
E, in caso affermativo, se davvero mi vuole con sè.

Mi avvicino come un ladro, pronto a rubare alla persona al mio fianco il più prezioso dei beni: l'identità.
Le accarezzo la schiena, le bacio il collo, lei si sveglia e mugugna, poi mi capisce, sorride nella notte.

"Mi vuoi?"
"Voglio."

Una mezza verità è meglio di una bugia intera.
Voglio, ma non te. Per stanotte, tu non sarai tu. Tu sarai Lei.

Le sono alle spalle, come i vigliacchi, perchè meno vedo, meglio immagino, eppure niente è comunque al suo posto. La pelle non è la stessa, il seno della misura sbagliata, i suoi ansiti troppo striduli, c'è un neo soprelevato laddove dovrebbe esserci solo carne pulita, l'atteggiamento troppo remissivo.
Ma la foga è cieca e ce lo faremo bastare.
Accontentarsi è il leitmotiv di una vita intera, ormai: cazzo cambia, una notte in più?


La vita è curiosa, Beatrice.
T'avevo promesso il mondo tra le mani e, non so come, sono finito per dedicarti da lontano orgasmi fasulli e rancidi come lo yogurt scaduto da mesi, pigre imitazioni di quello che è stato.

Tu sei (Le ceneri)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora