11. Guarda da qui le luci della città

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2010

Andrea

Fermi.
Occhi negli occhi in questa confusione di gente di cui ci interessa poco e nulla, il centro del mondo è qui.
Ha i capelli scompigliati, una felpa rosa improponibilmente brutta e le guance arrossate; un auricolare inserito nell'orecchio sinistro, il suo gemello penzola nel vuoto dal cavetto. Il petto si alza e abbassa ad un ritmo frenetico, ha corso.
Da me, per me.

È bella, la mia Beatrice, e io non so se avvicinarmi e rischiare di rovinare questo momento perfetto; a volte vorrei solo chiudere gli occhi e lasciare che le cose rimangano così come sono. Per sempre.

Vigliacco.

Non amo il rischio. Una vita che spaccio come vissuta al limite è la scusa perfetta per la mia paura dei cambiamenti e delle mosse decisive.
Ho la fobia dei momenti che segnano una svolta, quelli a cui si fa riferimento dicendo "Da lì in poi..."

Ha coraggio, la mia Beatrice: è proprio lei a raggiungermi un passo dopo l'altro, finché non ci troviamo di fronte, a pochissima distanza. Fa per parlare, ma le chiudo la bocca con un dito, le parole sono superflue.
Continuo a guardarla per un po': imprimo nella mente il numero di nei, la forma del naso, le sfaccettature nelle sue iridi di foglia.
Osservando l'incastro perfetto che le nostre mani creano, la porto via, in un punto più isolato, più nostro.

Solo allora, parlo.

«Lascia che ti porti sui tetti», dico. La guardo e spero. «Sui tetti del mondo.»

*

Parcheggio lo scooter e la conduco per le vie di Monte Mario, un passo dopo l'altro, tenendole stretta la mano nella mia come se potesse fuggire da un momento all'altro, finché non arriviamo a destinazione.

Mi nutro, famelico, dei suoi occhi sgranati di fronte alle luci della città, mentre abbraccia con lo sguardo il panorama mozzafiato dello Zodiaco. Spazia con gli occhi in quel buio magico in cui si perdono Piazzale Clodio, il Foro Italico, lo stadio Olimpico, tutto ciò che la Trionfale avvolge, come una madre con larghissime braccia, fino a sfiorare con le dita persino i castelli romani; tutto indistinguibile alla vista, ma inevitabilmente presente.
Bea è impaziente, corre a esplorare il posto infilando lo sguardo in ogni cannocchiale, incapace di vedere, ma ugualmente curiosa, ché non si sa mai. Magari vede una stella cadente, anche se non è agosto: in notti speciali come questa tutto è possibile.

In un moto spontaneo, mi butta le braccia al collo e mi stringe forte; io tremo, ma non per il freddo, nel nostro primo, vero, esteso contatto. Immergo la faccia nell'incavo tra il suo collo e le spalle e mi riempio i polmoni di vita, di vaniglia, di lei, mentre trovo quasi pace in questo posto meraviglioso.
«L'avevo detto che ti portavo sui tetti del mondo.»

Beatrice scioglie l'abbraccio e mi guarda felice, con gli occhi che brillano come fiammelle, mimetizzandosi perfettamente in questo mare di lucine.
«Ci sediamo?»

«Ci sediamo» accetto di buon grado e sorrido. Alzo la busta che ho tra le mani. «Ho portato una Coca-Cola.»

«Una Coca-Cola?» Scoppia a ridere.

Mi stringo nelle spalle, sorridendo appena «Mica possiamo sempre bere birra! Mi andava di cambiare un po'.»

«E ne hai presa solo una?»

«La dividiamo.» Stappo la bottiglia con il retro dell'accendino e la alzo verso il cielo. «Al tuo coraggio.» Inclino lievemente la Coca-Cola per completare il brindisi e, dopo un sorso, gliela passo.

Ci pensa su, assorta, infine sorride e solleva la bottiglia anche lei.
«Alla tua musica, attraverso cui continui a parlarmi.» Poggia le labbra sul freddo vetro e manda giù.

«Parlami di te, Bea. Io l'ho già fatto.» La osservo con uno sguardo affamato di informazioni, desiderando fortemente sapere qualcosa in più sul suo conto. Cosa nascondi, dietro quel bel faccino, Bea? Cosa sogni? Sono felice, ho voglia di realizzare tutto quello che desideri e non ho pazienza, per nulla: quando iniziamo?

«Mmh...» Ci pensa su, osservandosi le unghie e togliendosi un pezzetto di smalto scrostato dall'indice. «Io non ho dentro il tuo stesso universo, però. Sono molto più semplice di quello che mi hai raccontato tu» dice sorridendo.

«Non semplice, speciale. Guarda il cielo sopra di noi». La vedo sollevare il naso all'insù a scrutare l'infinito. «Così apparentemente semplice, milioni di punti luce su fondo blu scuro. Ma i poeti ci si perdono a descriverlo, i marinai ci si affidano per tornare a casa, gli scienziati ne indagano i segreti da anni. E tu hai un intero firmamento dentro te.» Le sfioro la mano. «Lasciamelo intravedere. Parlami.»

«Mi piacciono i numeri» esordisce dopo qualche minuto, come se avesse avuto bisogno di tempo per assorbire la mia richiesta e decidersi a regalarmi un astro.

«I numeri? Perché?»

«Perché le leggi che li governano sono costanti, ben specificate sin dall'inizio, mai volubili o capricciose. Tutto agisce secondo il proprio complesso, ma prevedibile, sistema. Uno più uno farà sempre due: non amo le brutte sorprese.»

«Devo dedurre che il gelato cioccolato e fiordilatte non sia stato di tuo gradimento?» scherzo, guardandola con un broncio messo su a regola d'arte.

«Scemo!» ride, spensierata. «Amo i dolci, quindi qualunque sorpresa ne implichi uno è più che ben accetta.»

Rifletto per un attimo. «Ti piacciono i numeri, ma vai al classico.»

«Amo anche i classici latini e greci», si stringe nelle spalle. «Da quando una cosa esclude l'altra? Mi piace tradurre, riportare alla luce un qualcosa che fino a un minuto prima era incomprensibile e adesso è chiaro agli occhi di tutti, acquista un senso. E la cosa davvero, davvero super, è che sono io ad avere la chiave per rimettere ogni cosa al suo posto.»

«E per quanto riguarda me, Beatrice? Sei riuscita a leggermi, hai la chiave? Sto acquistando un senso? Can you read my mind?»

«No» ammette con un sospiro. «Mi confondi e spesso non so che pensare.»

«Faremo in modo che le cose rimangano così, signorina» dico, sogghignando, e la stringo a me.

Restiamo così, fermi per un po', ad ascoltare la notte pregna di silenzio e di noi.
Non abbiamo bisogno di altro.

«La lascerai?» mi chiede, a bruciapelo, alito bruciante sulla pelle del mio collo.

«Sì» rispondo, senza esitazione. «L'ho già fatto.»

*

Mezzanotte sorprende Cenerentola sul momento più speciale di tutti e il groove su cui scorre questa notte è veloce, troppo veloce, molto più di quello mio e di Bea che ci scopriamo lentamente, trovandoci a fare i conti con le impietose lancette dell'orologio.

Questo mio letto in cui mi sono rifugiato è troppo vuoto senza lei al mio fianco: mi sembra come se mi fosse rimasta addosso l'impronta di lei stretta a me, come quando, da piccolo, giocavo col pongo e mi divertivo a riempirlo di ditate, immergendo gli indici nel materiale malleabile e colorato. Io sono plastilina, Beatrice la mano che mi modella e mi lascia addosso solchi profondi quando si allontana.

D'impulso, prima di chiudere gli occhi, le invio un messaggio e in attesa del sonno mi diverto a fantasticare sul momento in cui lo aprirà. Arrossirà? Saltellerà felice in camera? Lo leggerà prima di addormentarsi o domani mattina, appena si sveglia? Sarà in grado di allietarle la giornata e regalarle un sorriso ebete stampato in faccia per tutto il giorno?
Magari vado fuori scuola, per vederla usicre e scoprire se è così.

Perché lei è speciale.
Perché lei è un firmamento.
Perché lei è una di quelle a cui va chiesto il permesso di poterle amare, nascondendolo sotto uno spesso strato di spavalderia.

A: Beatrice. "La prossima volta, ti bacio."

Tu sei (Le ceneri)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora