Extra

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Notte tra il terzo
e il quarto giorno

Andrea

Sono le cinque e quarantacinque e ancora guido distratto dentro Roma.
Non riesco a mollarla 'sta macchina stasera.
Ho una sensazione strana e per di più mi so' fissato che se parcheggio e faccio finire questa serata, allora finisce pure la magia. Perché domani è il giorno più difficile di tutti e non me la sento di sapere, se continuo a girare sentendo musica, fumando, scendendo al tabacchino così distratto che ci ho quasi rimesso la tessera sanitaria e mettendo cinque euro di benzina a botta rimando il momento.
Se non vado a letto mai allora è un unico grande giorno.
Tanto non ho sonno.

Niente, non ce la faccio, manca qualcosa.
Non può finire qua.
Mi sto mangiando la testa da ore.

L'ho lasciata a casa alle tre e mezza e sono passate due ore e un quarto - due ore e venti mo' che ricontrollo.

E la sensazione sta ancora qua, un cazzo di gufo sulla spalla, oh. Tipo che se non faccio qualcosa mi perdo Bea dalle mani.
'Mazza che secciata mi so' tirato solo.
Mi gratto le palle, tocco ferro – do' cazzo lo trovo il ferro in una Punto? Ah, aspe' il portachiavi – qualunque cosa serva.

A tempo con la musica che tengo accesa al minimo gratto il volante con le unghie corte a filo polpastrello; l'altro braccio sta mezzo fuori dal finestrino, il gomito appoggiato allo sportello e la mano in bocca - mi sto consumando tutte le pellicine.
Mi immagino Beatrice dentro le lenzuola bianche, tutta aggrovigliata, che aspetta solo di essere svegliata con la colazione a letto. Lei che è tutto il buono che c'è.
Mi immagino Beatrice dentro il letto e aggrovigliato a lei ci sono io e non le lenzuola bianche.
Mi sposto a disagio sul sedile perché i pantaloni che ho messo sono troppo stretti per questa superstrada di pensieri. Meglio a casa con la tuta.

Rosso.
Verde.
Frizione, prima, acceleratore, seconda, terza, anche la quarta che di solito dentro Roma è un lusso - tanto in giro a quest'ora non c'è nessuno e le strade me le bevo lisce senza ghiaccio - , poi fermo al prossimo semaforo, ancora verde e di nuovo dalla prima in poi.
In loop come lei in testa e la brutta sensazione in corpo.
Manca qualcosa.
La cicatrice sulla gamba - quella che mi sono fatto quando mi sono calato da casa sua - prude come una matta pure se ci passo il rastrello sopra. Non smette. Non mi piace.

Sono le cinque e cinquantasei.
L'alba si affaccia, ma è timida. Sta un piede dentro e uno fuori. Più dentro che fuori.
Certe cose è meglio che stanno dentro e certe fuori.
L'alba fuori, lei dentro la mia vita.
O io dentro di lei, per dire.

Mentre mi allargo il colletto della camicia con un dito mi viene in mente che forse non è una brutta sensazione ma solo voglia.
Cioè, "solo". È riduttivo "solo".
Fatto sta che tra un po' ci muoio soffocato dentro.

Attacca pure mezzo a piovere. Una pioggerellina del cazzo, di quelle senza sostanza che passi più tempo a chiederti se aprire l'ombrello o no che a ripararti e finisci zuppo senza manco essertene reso conto e quando decidi di aprirlo smette.

Faccio inversione al volo, i freni stridono e il netturbino con la tuta arancione fluo mi guarda come fossi un teppista. Seh vabbè, scusa se ti ho attentato l'immondizia signor operatore ecologico, ma ho fretta perché intanto che decido se è un problema dei piani bassi o di quelli alti devo andarmela a riprendere.

*

L'ho chiamata cinquantasei volte - giuro, non scherzo.
Le ho mandato quattordici sms.
Le ho pure tirato sulla finestra pezzi di brecciolina che ho raccolto ai margini della strada; non mi sono messo a gridare in mezzo a tutti per non beccarmi la denuncia per schiamazzi notturni o atti disperati in luogo pubblico: quelli osceni me li sono vietati da solo un po' di tempo fa.

Lei, comunque, non si è fatta vedere.
Forse sta dormendo, forse ha messo su il silenzioso, forse ha sentito tutto e ha pensato che non valgo la pena di un'alba gelida sotto casa, fatta di nasi rossi e congelati che spuntano dalla sciarpa che ti avvolge tutto il viso e di cornetti caldi appena sfornati alla cornetteria a San Lorenzo.

Eppure sarebbe bello - trovare un modo per dirglielo, intendo.

"Ciao, che scendi? Ho ancora voglia di te, non mi basta mai, non ci possiamo mica stare divisi. Dove stai tu, sto io, me lo sono pure scritto addosso, nella lingua che piace a te e vicino a 'sto cuore che va a ritmo dei respiri tuoi. Se lo scrivi resta. Tu, invece, resti?"

Ma lei dorme.
O ha il silenzioso.
O non vuole.

Questa alternativa mi ammazza e preferisco non pensarci.

Soffoco il panico o la voglia o qualunque altra cosa ci sia, inscatolo la brutta sensazione, butto il sacchetto coi cornetti - so che è uno spreco, ma io senza di lei non ho voglia di fare nulla - e rimando a domani. Domani le faccio vedere casa e le dico tutto.

Spero che le piaccia.

Lancio un ultimo sguardo distratto alla sua finestra prima di andare via, rassegnato.

Buonanotte, amore mio.

A domani.

***

NdA

Avevo annunciato che ci sarebbe potuto essere qualche extra e... eccomi qua. Questo era un episodio che avevo improntato mesi e mesi fa, fatto apposta per essere pubblicato dopo il terzo giorno, come "terzo giorno e mezzo"; poi però non mi ha più convinto l'idea, ma al contempo mi dispiaceva sprecare queste parole e questi pensieri. L'extra mi sembrava una buona soluzione di mezzo per svelare questo episodio, questa "occasione mancata" che ignoravamo e che forse avrebbe potuto cambiare qualcosa... o forse no. Spero di non avervi confuso in qualche modo 😂

Beatrice non ne fa (volutamente) menzione nel suo quarto giorno, ma secondo voi? Non ha sentito o non ha voluto rispondere?
Sono curiosa di sapere che ne pensate!

Torno presto con la seconda parte, ci stiamo lavorando. Quando meno ve lo aspettate...

♥️ Giulia.

Tu sei (Le ceneri)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora