40. ...incubi tutto l'anno 2/2

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Gennaio 2011

Nemmeno me le asciugo, le lacrime che mi appannano la vista mentre guido e mi fanno sbandare un po', lascio che sia il vento a portarsele via insieme a qualche briciola di questo dolore.

- Si fa presto a cantare che il tempo sistema le cose.

Faccio il giro lungo per arrivare nei pressi di Villa Torlonia, così magari cerco di schiarirmi le idee, così magari prego Dio di darmi tutta la forza che non sento di avere e la capacità di capire che cosa voglio davvero.

Se è più forte la repulsione o la voglia.
Lo schifo o il bello.
La testa o il cuore.

- Si fa un po' meno presto a convincersi che sia così.

Parcheggio di fronte al bar, con la confusione che da un piccolo seme che era, adesso è diventata grande, ha messo radici e come un rampicante, una pianta infestante che si infila dove può e dove trova, mi occupa ogni spazio vitale.

- Io non se è proprio amore,
faccio ancora confusione,
so che sei la più brava a non andarsene via.

Andrea se ne sta lì, appoggiato con le spalle al muro, con quel suo giubbotto di pelle che non so come fa a indossare ancora, ché è gennaio e ci sono zero gradi. Contro ogni regola, ragione, percorso logico, in tutto.
Mi fissa e io finalmente riesco a vederlo bene, come se lo stessi rivedendo dopo tanto tempo adesso per la prima volta, perché prima a casa è stato tutto sbagliato, è stato un agguato. Fuma e sbuffa il fiato nella mia direzione, mentre me lo mangio con gli occhi e a rallentatore sfilo il casco, chiudo il gancio e sistemo le mie cose.

I capelli arruffati, il naso schiacciato, i soliti occhi magnetici.
In bocca il sapore di una scena già vista,
già scritta.

Quanto male fa.

- Forse ti ricordi, ero roba tua.

Mi avvicino lentamente a lui, che intanto butta la cicca per terra e la schiaccia con la punta del piede, mentre si sporge per aprirmi la porta del locale.

«Scusa per prima, non ho resisito» mi sussurra nell'orecchio, fiato caldo su pelle d'oca, mentre tiene la porta e io gli passo accanto ed entro in uno dei miei posti preferiti al mondo, tutto legno, luci soffuse, tavoli colorati e sedie coi cuscini blu.

Ci sediamo a uno dei tavolini liberi, Andrea si mette a studiare il menù e io mi metto a studiare lui. Sembra molto più controllato adesso, anzi, sembra proprio uno diverso rispetto a prima.
Con diffidenza, penso che sembra uno che è tornato dalla battaglia e ha rivisto a tavolino i suoi piani per vincere la guerra. O forse non è vero niente, forse semplicemente sono io che ormai non fido nemmeno della sua ombra.

Però il cuore, quello no. Quello non ci pensa ai piani di guerra, alle mappe, alle armi, alle strategie; quello - bastardo traditore infame - pensa solo che mi è mancato, che è così bello quando è concentrato e strizza appena gli occhi e irrigidisce la mascella, con quelle mani che accarezzano il menù, poi, e quelle labbr-

«Bea?» sollevo lo sguardo di botto, arrossendo, colta in fallo mentre lui mi studia col sopracciglio destro appena alzato e un sorriso sghembo che urla "Beccata".

Ora glielo faccio ingoiare, 'sto meraviglioso sorriso strappamutande.

Cerco di riprendere un contegno e non pensare al fatto che anche io sembro una persona completamente diversa rispetto a prima: mi sono sgonfiata pigramente come un palloncino forato e sono in preda alla confusione più totale, oltre che alla stanchezza. Non una stanchezza fisica, ma una emotiva, una che mi scanala le ossa e me le rende vuote e leggere, facilmente vincibili dalla forza di gravità.

Tu sei (Le ceneri)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora