12. 05:59

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2017

Andrea

Guardo la sveglia sul comodino che segna le 05.59.
L'ennesimo cielo che albeggia a seguire l'ennesima notte senza riposo, pennellate di rosa e pesca sul nero buio della mia insonnia.
Lei dorme serena al mio fianco. Le rimbocco le coperte.

Non svegliarti.

Zero emissioni di fiato, mentre scendo dal letto e raggiungo la cucina a piedi scalzi.

Non svegliarti, ti prego.

Silenziosamente, afferro con un movimento svogliato una capsula qualunque dal cassetto - va bene tutto, purché sia caffè - la inserisco nella macchinetta e aspetto che il liquido denso e scuro scenda pigramente; lo osservo inghiottire i granelli dello zucchero, creando un mix di bianco e nero, yin e yang, contrasti serviti in una tazzina di un set preso coi punti della spesa.

Apro la finestra e a occhi chiusi mi faccio accarezzare dalla fredda brezza del primo mattino, che filtra tra le stecche delle persiane.
Aria fresca, aria che rinvigorisce, aria che schiaffeggia, aria che disseppellisce.
Hanno un odore tutto loro, le sei di mattina: profumano di sogni, di speranze, di nuovi inizi, di coraggio. Io, che di coraggio nella vita non ne ho avuto mai.

Spalanco le imposte e mi siedo sul davanzale. Curioso: sono diviso a metà tra la cucina, alla mia sinistra, e Roma, alla mia destra.
La monotonia, alla mia sinistra, la bellezza, alla mia destra.
L'angoscia, alla mia sinistra, l'ignoto, il salto nel vuoto alla mia destra.

Sorseggio il caffè che scende giù bollente, ustionandomi l'esofago. Non me ne curo, qualunque sensazione forte è la benvenuta pur di farmi provare, di farmi sentire.
Mi perdo con lo sguardo accarezzando con gli occhi i profili di questa città che, in fondo, non dorme mai.

Vorrei sapere a cosa stai pensando.
In quale letto hai chiuso gli occhi, stanotte?
Al fianco di chi hai trovato riposo?

Io sono anni che non riposo più.

Ritorno in camera da letto per prendere il pacchetto di sigarette dalla tasca della giacca. La guardo di sfuggita.

Non svegliarti.

Nuovamente di fronte alla finestra, ne accendo una.
Rumori amplificati in una Roma viva, sì, ma al contempo più silenziosa del solito. Rumori amplificati una casa vuota in cui l'eco ha il sapore melenso dell'assenza.
La rotellina dell'accendino Bic, il tabacco che sfrigola prendendo fuoco, il mio fiato che si tinge di grigio protendendosi verso l'esterno. Protendendosi verso una via d'uscita che non ho mai avuto il coraggio di imboccare.
I miei pensieri bruciano e cadono insieme alla cenere. Si posano ai piedi delle promesse disattese, delle parole vane.
Dei se avessi,
se fossi,
se potessi.

Vorrei sapere cosa stai sognando.
In un letto in cui stai lì, con il tuo profumo, la tua pelle di seta, i tuoi capelli mossi.
A farti cercare da qualcuno che tasta il posto al suo fianco col palmo della mano, preso dal bisogno viscerale di saperti vicina; a lenire le ferite degli incubi di un altro che non so chi è, ma non sono io e tanto mi basta.

Chiudo la finestra e mi sposto nel salone.
Tocco i mobili, gli oggetti, con la mano morbida a scivolare sui contorni delle cose in questa stanza, ad occhi chiusi, a immaginare, provare, sentire.

Non sento niente.

Prendo in mano la riproduzione in scala 1:80 del Colosseo posato sulla mensola del camino.
Me lo rigiro tra le mani,
ricordo
lei.

Una nota sbagliata in tutto ciò che osservo.

«Andrea? Sei in cucina?»
Sospiro. «Arrivo amore, aspettami.»

Una nota sbagliata nella voce che mi chiama. Come un retrogusto al fiele, tra quelle braccia aperte che mi aspettano in un groviglio di lenzuola bianche.

Ciabattando, mi muovo trascinando i piedi sul parquet.
Bea

Schiudo lentamente la porta della camera da letto quel tanto che basta per lasciarmi entrare.
Non

Mi stendo sul letto al suo fianco.
C'è.

Tu sei (Le ceneri)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora