19. La mela dell'Eden

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2010

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2010

Come un cielo appesantito da nuvole grigie, minacciose e gonfie di pioggia si rischiara dopo il temporale, così Andrea dopo Ariccia.

I giorni si sono susseguiti piano eppure al contempo velocemente in questo nostro percorso simile a una passeggiata in un luogo inesplorato e non ancora toccato dalle pesanti mani dell'uomo. Un posto in cui la fa da padrone il paesaggio: ribelle, brullo, impervio. Capace di regalare scorci mozzafiato e panorami senza eguali, ma al contempo salite e discese ripide, ostacoli, passaggi stretti e claustrofobici e animali selvatici.

Ma la vista, da quassù, ne vale la pena?

Le cose belle sono sempre le più difficili. È stata creata la rosa, corolla rossa di incantevole bellezza, e con essa le sue spine.

Con Andrea non so mai cosa aspettarmi: è volubile e incostante.
Ora è il giorno, ora la notte.
Ora ha bisogno di me, ora ha bisogno di se stesso e della musica - almeno questo è ciò che mi dice, dopo essersi preso i suoi tempi. Vorrei solo che me lo dicesse, non che sparisse per ore per poi farsi sentire quando ritiene più opportuno.
Io lo aspetterei e rispetterei a prescindere.
Io lo aspetto sempre.
Ho tutto il tempo del mondo.

«Vuoi?» Andrea mi guarda con gli occhi come pozzi neri in cui annegare, distogliendomi da ogni pensiero. Annaspo.
«Mmh non so.»
«Non farla tanto difficile, non ha mai ammazzato nessuno.»
«No, ma magari li ha resi scemi. Basta guardarti.» Ridacchio, mentre mi tira uno scapellotto con la mano libera.
«Sono quasi del tutto certo che non mi considerassi così scemo, quando sospiravi il mio nome tra un milione di baci e qualche carezza almeno un'oretta fa.»

Beccata.

Divento rossa in meno di una frazione di secondo.

«Avresti dovuto sentirti con queste mie orecchie» continua, picchiettando il sinistro con l'indice. «Oh, Andrea. Mmmh sì, Andrea, quanto sei bello e sexy e meraviglioso, Andrea.»
«Smettila!» Mi copro la faccia, imbarazzata, mentre la iena al mio fianco ride. «E poi sono sicura di non averti mai elencato le tue qualità fisiche da seduttore nato.»
«Ma le hai pensate.» Mi toglie le mani nella faccia e mi stringe con gli occhi.

Si può abbracciare con gli occhi? Lui lo fa.

«Le pensi ogni singola volta che mi guardi così, con gli occhi spalancati, come se avessi il Bronzo di Michelangelo davanti agli occhi.»

Lo dice con uno sguardo così tanto da piacione che non riesco a fare a meno di scoppiargli a ridere in faccia, mentre mi guarda con un'espressione stranita, l'ego in frantumi di fronte alla mia reazione inaspettata.
«Che c'è? Che ho fatto adesso?»
Annego tra le risate, incapace di fermarmi, mentre provo a rispondergli. «Michelangelo...» Balbetto, non riesco a parlare. «Mi-Michelangelo... ha fatto il David. Lui ha fatto il David. Il bronzo è di Riace.»
«Vabbè, fa lo stesso. Poi metti caso Riace e Michelangelo so' la stessa persona? Che uno mo' un giorno non si può stanca' di chiamarsi Michelangelo e trova' un soprannome, eh? Che ne sai, te?»

Ormai ho le lacrime agli occhi.

«Che c'è ancora??»
«Riace è un posto! Non una persona!»
«Ah.» Si gratta la barba corta con aria trasognata, poi assume un'espressione indignata. «Ma che modo è? Se un giorno dovessero scolpirmi, perché lo faranno, stanne certa, non permettere a nessuno che mi chiamino "l'Andrea di Roma", che ne stanno tanti di Andrea a Roma, sai. Poi immagina se pensano che sono di Roma Nord.» Un brivido lo scuote e gli compare sul volto un'espressione disgustata.
«Quanto sei antico e noioso, ancora co' sta storia di Roma Nord.» Sorrido, sollevando gli occhi al cielo e roteandoli.
«Oh, vacci te coi Pariolini, io continuo a mangiare il kebab da Alì Baba.» Alza di scatto lo sguardo verso di me, seduta sul cofano di un'auto parcheggiata nello sperduto punto appena fuori Roma in cui ci troviamo, e poggia entrambe le mani sulla carrozzeria nera di questa Punto, intrappolandomi tra le sue braccia e mettendosi a un palmo dal mio naso. «Ovviamente si fa per dire. Non ti azzardare mai ad andare con altri che non siano me, meno che meno un pariolino. Mai.»

Lo guardo con sufficienza. «Mi monopolizzi l'anima, Andrea, non potrei mai.»
«Bene così.» Chiude gli occhi con espressione soddisfatta e sembra assaporare il significato delle mie parole.

«Insomma, vuoi?» Sventola improvvisamente di fronte alla mia faccia il pomo della discordia, sottile e adesso spento tra le sue mani.
«E se ci beccano?»
«E chi vuoi che ci becchi, Bea? Poi sono io a fare l'antico. Andiamo, su, solo un tiro.»
«A me continua a non sembrare una buona idea.»
«Oh, che palle! Ok, mettiamola così.» Mi guarda serissimo, mentre raddrizza le spalle e parla con tono di voce fermo. Non avesse gli occhi già un po' arrossati quasi quasi ci cascherei.
«Tu non conosci il brivido. Vivi nella tua monotonia di comoda bambagia e cammini su percorsi già stabiliti, previsti, senza mai rompere gli schemi, senza mai una scintilla di vitalità, novità. A parte il sottoscritto, s'intende.» Annuisce con fare compiaciuto. «Stasera mi concedi la tua vita, più di quanto tu non abbia mai fatto. Stasera mi concedi di mostrarti cosa si prova a vivere liberi per davvero, senza sapere mai quale sarà il passo successivo, solo decidendo sul momento, d'istinto. Stasera mi concedi il tuo io più profondo.»

Non so, non lo so. Sono un grumo di confusione, intrisa di dubbi, di forse, di se.

«Allora?»

Non so, non lo so.

Mi afferra delicatamente il mento tra pollice e indice e mi costringe a perdermi in quegli abissi di ossidiana.

«Allora?»

Con il pollice, piano, mi accarezza lo zigomo, movimenti concentrici, ipnotici, cerchi di distruzione. Si avvicina, sempre più, con la punta del naso sfiora un punto impreciso sotto l'occhio, sulla guancia, sul mio viso. Sembra quasi annusarmi.

Nero, dolce e piccante: Andrea è cioccolato fondente al peperoncino.

«Allora?» mi soffia sulle labbra.

Aiuto.
Non aiutatemi.

Labbra su labbra, lente, tortura, meraviglia, agonia.

Baciami.
E non mi bacia.

Allora ti bacio io.
E si allontana.

Avverto il vuoto dell'assenza e apro un occhio, uno solo, ancora piena di lui. Mi guarda, impertinente e sorridente in una cascata di ricci.

«Allora?»
«Non mi sembra sia mai riuscita a dirti di no, Andrea.»

Con un sorriso maledetto si tuffa finalmente avido sulle mie labbra e io mi sento un po' Faust, a suggellare con la bocca questo patto con Mefistofele.

Tu sei (Le ceneri)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora