33. Inesorabilmente... 1/2

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2010

Accade.
Accade che davanti agli occhi ti scorre un film, come al cinema, e vogliono farti credere che quello è proprio il film della tua vita; ma non mi fanno fessa, mica lo è.

Mica sono io, questa ragazza che se ne sta raggomitolata su un piatto doccia a farsi investire da una cascata d'acqua bollente.

«Beatrice fammi entrare! Fammi entrare in bagno, esci da lì!»
La voce mi arriva, confusa e ovattata, attraverso pesanti strati di catatonia, acqua e cristallo temperato.

Non ci penso nemmeno, a farti entrare, io. Devo stare sola.

Mica sono io, questa ragazza con il terreno franato sotto le suole e le certezze bruciate come i buoni propositi a Capodanno e ridotte a niente più che polvere carbonizzata tra le mani.

Mica è Dario, quello che non sapeva sostenere il mio sguardo, quello che «Io non c'entro niente, io non avrei mai voluto, ma perché mettete in mezzo me?»
E che vuoi che ne sappia, io, del perché? Fosse per me non avrei messo in mezzo nessuno, in questa cosa bella e solo mia e sua, figuriamoci te. Figuriamoci un'altra.

Mica è Andrea, quello per cui forse sarebbe stato meglio se ci avessero appiccicato sopra un'etichetta con la data di scadenza, visto che ha le parole marce e le promesse scadute e i sentimenti putrefatti e chissà quante cose non dette o nascoste e quel suo buio dentro, poi. Quello che una pensava di mandarlo via e invece siamo finiti a fare alla romana: diviso due.

C'erano un mucchio di cose che potevamo fare insieme e dividerci a metà, come vivere o respirare, e invece tu hai deciso di smezzare solo lo schifo.

Ce l'hai fatta, alla fine, a sporcarmi.
A sporcarci.

E fa rabbia, fa rabbia perché ti sei riempito la bocca di parole troppo grosse e poi me le hai sputate addosso come proiettili, creandomi dei buchi e portando via parti di me che hai riempito con parti di te. E a me non le ridanno indietro, le mie parti, perché in questa vita mica si finisce soddisfatti o rimborsati.

Si finisce col culo per terra.
Sul piatto doccia.

«Beatrice fammi entrare in questo cazzo di bagno!»

Col cazzo, Noemi, che ti faccio entrare. Anzi, io non faccio entrare più nessuno.

Fa rabbia perché do di matto, sbatto i pugni sul petto di Dario che non mi vuole dire nulla e soffro e urlo così forte che da Corso Trieste mi sentono fin sulla Trionfale, rotta dentro, disperata da far schifo anche se quello che fa schifo sei tu, perché non ci credo, perché non capisco, perché «Dario dimmi subito dove cazzo sta che lo vado a uccidere con queste stesse mani, fosse l'ultima cosa che faccio!»

E mi chiedo dove ho sbagliato.
Perché da qualche parte devo pur aver sbagliato. Forse l'hai fatto proprio perché sono sbagliata...

Oppure ho sbagliato a fidarmi, che a investirci troppo, sulle persone, si finisce col culo per terra.
Sul piatto doccia.

Ma sai che c'è? C'è che io, senza di te, ci vivo, Andrea.
Non so ancora come, ma ci vivo.

Io senza di te forse finisco in riabilitazione, ché mi devo disintossicare e devo reimparare a camminare respirare vivere fare l'amore mangiare baciare ma io giuro su Dio che senza di te ci vivo.

Menomata, ma vivo.
Spezzata, ma vivo.
Con mezzo buio tuo, ma vivo.

E te la sbatto in faccia questa mia vita senza di te, come fosse una vittoria alla lotteria.

Dario ha detto che è una tipa qualunque, senza importanza, incontrata al Gay Village da ubriaco, una cazzata.
E tant'è che ancora ti ci vedi, però, con 'sta cazzata.
Che fai, ci scopi? La tocchi? E poi tocchi me, con quelle mani macchiate di lei?

«Almeno dimmi qualcosa! Sei viva?»

Sì.
No.
Boh.

Se sento l'acqua inzupparmi i capelli e i vestiti e sento il culo sul piatto doccia vuol dire che sono viva, no?

E non so manco come ci sono arrivata, fin qui. Mi sa che mi ha riportata a casa Noemi, io non ricordo più nulla da quando gliel'ho fatto sputare fuori a forza di pugni disperati e fiacchi e insulti sibilati, a Dario, quel cazzo di nome del locale in cui ti sei nascosto come un codardo e mi sono fatta promettere di non azzardarsi ad andarti ad avvisare, perché già ha fatto troppo, già ti ha coperto e un po' mi fa schifo anche lui: almeno questo me lo doveva.

E allora, visto che adesso non ho più voglia di urlare o piangere o soffrire e non va bene, perché so che avere voglia di fare qualcosa è sempre meglio di non avere voglia di nulla, capisco che mi devo per forza aggrappare a qualcosa, prima che la corrente mi trascini via.

E io mi aggrappo a quello che posso: la voglia di farti soffrire.
Poi, dopo, mi libero di te e riprendo a vivere.
Dopo.

Perché io ci esco, da questa doccia, Andrea.
Io ci riemergo, da questo bagno, Andrea.
Io ci vivo, senza di te, Andrea.

Chiudo l'acqua della doccia.

So cosa devo fare.

Tu sei (Le ceneri)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora