Cap. 34: Fiamme e vento

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I giorno in cui aveva perso sua madre, Orlaith aveva perso anche una parte di se stessa. Qualcosa si era spezzato in lei, e da quel momento era cominciata la spirale di depressione che Vaněk aveva poi alimentato negli anni successivi, nel tentativo di usarla per piegare le persone.

Quello stesso giorno aveva scritto un brano, prettamente strumentale, che non aveva mai nemmeno proposto a David. Non era qualcosa da far sentire alle persone, non era un prodotto da commercializzare.

Era un tributo, un messaggio di infanzia perduta, di felicità distrutta da una realtà vuota e priva di senso in cui si finiva con l'arrancare. Ma anche un incoraggiamento a sognare.

E questo trasmettevano le note, mentre il violino riempiva di musica la radura.

Davanti ai suoi occhi chiusi comparve una metropoli, grigia e infinita, sotto un cielo cupo, privo di vita, fatta di persone vuote e silenziose. Lei era sulla cima di un grattacielo, unica macchia di colore in quel piattume uniforme e senza speranza.

C'era nebbia, una nebbia umida e appiccicosa, fredda. In quel luogo contava solo l'immediatezza, la quotidianità, e non c'erano speranze, né sogni... né felicità.

Era il luogo da cui lei era sempre voluta fuggire, quello che abbandonava quando suonava e si immergeva completamente nella sua musica.

Ad ogni sua nota, ad ogni passo, ad ogni salto, l'aria vibrava. La nebbia intorno a lei cominciò ad allontanarsi lentamente, facendosi meno opprimente.

Continuò a danzare, spostandosi verso il bordo del tetto. Quando lo ebbe raggiunto spiccò un salto, e senza farsi nulla atterrò sul successivo grattacielo, più basso di quattro piani.

L'impatto generò un'esplosione di colori, un guazzabuglio liquido di tonalità vivide: giallo, viola, azzurro, un'intera tavolozza di vivacità schizzò intorno a lei, imbrattando qualsiasi cosa trovasse, colando per la forza di gravità e lasciando solchi multicolori ovunque passasse.

Mentre ballava, la musica continuava a creare colori, e ad ogni suo movimento c'erano nuovi schizzi, ovunque posasse i piedi apparivano nuove macchie, nuovi colori.

Saltò sul grattacielo successivo, continuando a suonare. Dall'archetto sprizzò un guizzo che si perse nel cielo, una stilettata che arrivò a infettare anche le nuvole con quella malattia che era la speranza in un mondo più felice e vivo.

Non era solo una violinista, era anche una pittrice, e la musica il suo pennello, il mondo la sua tela, il violino la tavolozza. Ogni salto, ogni passo, ogni movimento una pennellata.

Le persone in strada si fermarono, distolte dalle loro trivialità e dall'oppressione delle vite vuote che conducevano, attratte dall'improvviso manifestarsi dei colori che irrompevano di prepotenza nel grigio che li attorniava.

I colori si diffusero come una malattia, ricoprendo tutto quello che toccavano, e quando finalmente lei compì l'ultimo salto, raggiungendo l'ennesimo tetto, un'ultima esplosione di colori, più grande e prepotente delle altre, sostituì il grigio rimanente, facendolo sparire del tutto dalla sua vista.

***

David indietreggiò di un passo, inciampando in qualcosa e finendo a sedere sul pavimento di legno. Connnor lo evitò di un soffio, agguantò una vanga abbandonata poco distante e corse oltre la porta, spaventato dalla sua reazione.

- Oh... mio Dio!- esclamò, paralizzandosi sul posto, mentre l'attrezzo gli sfuggiva di mano.

Davanti a lui c'erano due creature innaturali, impossibili, e non l'uomo e la donna che lo avevano prelevato da casa sua due giorni prima per portarlo nel capanno.

Epic Violin - Il Violino di DioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora