Capitolo 9

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SCHEGGE DI VETRO DAL PASSATO


"Un milione di schegge di vetro

Mi perseguitano dal mio passato

Mentre le stelle cominciano ad ammassarsi

E la luce inizia a svanire

Quando ogni speranza inizia ad andare in mille pezzi

So che non avrò paura"

-Sam Smith (Writing's On The Wall)


La suoneria del mio cellulare, che continua a suonare ininterrottamente, mi sveglia da un sogno fatto di morbida neve e occhi nocciola-verdi. Grugnisco per poi afferrare il cellulare. <<Pronto?!>> tuono. Non solo, chiunque sia a chiamarmi, ha interrotto il mio sogno, ma mi ha anche svegliata, quando potevo dormire essendo che le lezioni sono ancora sospese. <<Marta...>> il suono della sua voce mi fa svegliare di colpo ed apro gli occhi, che tenevo ancora chiusi, nella speranza di poter riprendere il sogno da dove lo avevo interrotto. <<Che succede?>> domando addolcendo il tono. Si schiarisce la voce. <<Io...sono fuori dalla tua scuola>>. Alle sue parole sento una stretta al petto. <<Cosa?! Come?!>> mi alzo di scatto e guardo fuori dalla finestra, come se da qui potessi vederlo. Do un'occhiata al letto di sopra, nella speranza di non aver svegliato Alison con le mie grida, ma lei non è li. <<Sono...>> <<Ho capito!>> lo interrompo. Passano attimi di silenzio. <<Possiamo parlare?>> mormora. Prendo un lungo respiro. <<Am...si certo...aspettami li...>>. Chiudo la chiamata ancora sotto shock. Non perdo tempo a vestirmi, siccome Alison non è in camera, decido di mettere solo la giacca e di andarlo a prendere, per poi tornare al calduccio della mia stanza. Mi sbrigo a raggiungerlo. Non sono troppo ridicola in pigiama: indosso dei leggings ed una felpa grigia. Non arrivo sino in strada, quando i nostri sguardi si incrociano gli faccio cenno di seguirmi. Per tutto il tragitto sino alla mia camera rimaniamo in silenzio. Non posso crederci che sia qui... <<Che ci fai qui?!>> quasi ringhio mentre chiudo la porta della stanza. Mi tolgo la giacca e la lancio sul letto. Tiene le mani nelle tasche dei jeans scuri mentre si guarda intorno agitato. <<Diego>> mormoro. Il solo pronunciare il suo nome mi fa così strano. Punta i suo zaffiri nei miei smeraldi. Sento una strana sensazione allo stomaco. Improvvisamente inizia a ridere. <<Non lo so nemmeno io cosa ci faccio qui>> ringhia. <<La sera che ti ho chiamato completamente ubriaco...ho comprato il primo biglietto per New York, avevo bisogno di vederti...>> la sua voce si addolcisce. <<Sono arrivato qui dopo più di otto cazzo di ore di volo, e le strade erano bloccate per la neve. Ho dovuto prendere una stanza nell'hotel più vicino all'aeroporto ed ho passato li l'intera giornata. Quando la bronza è passata, mi sono sentito un deficiente per aver fatto un gesto simile...me ne stavo per andare, avevo prenotato un volo per questa mattina...ma non ce l'ho fatta, non ce l'ho fatta a non vederti>> riporta lo sguardo, che sino ad adesso faceva vagare per la stanza, su di me. Lo stomaco mi si chiude in una morsa. <<Diego...>> mormoro. Questa volta sono io a distogliere lo sguardo. Si avvicina. <<Io non voglio più impedirti di fare ciò che desideri...>>. Una delle nostre litigate ricorrenti, prima che rimanessi incinta, era che lui non voleva che io partissi per New York, non voleva che tentassi di realizzare il mio sogno. <<Possiamo tentare ad avere una relazione a distanza. Io...io posso trasferirmi qui, cercare un lavoro...insieme possiamo...>> lo interrompo posando una mano sul suo petto e scuotendo freneticamente la testa. La sua mano si posa sulla mia, mentre sento gli occhi pizzicarmi, come se frammenti di vetro mi fossero entrati all'interno. <<Io ti amo>> dice disperato. <<Ti amo! Ti amo! Ti amo!>> grida. Sento le lacrime bagnarmi il volto. <<Io...io non posso!>> urlo a mia volta. Faccio per allontanarmi, ma la sua stretta si fa più decisa, e mi spinge contro il suo petto. Inspiro il suo familiare profumo, mentre mi stringe a se. <<Ti prego...>> supplica. <<Farei di tutto per te>>. <<Allora mi devi lasciare andare>> soffio sul suo petto. Lo sento irrigidirsi. <<Mai>> dice sicuro. Mi divincolo e questa volta mi lascia. Chiudo per un istante gli occhi e prendo un grosso respiro. <<Anche se guardarti non fosse sempre come una pugnalata nel ventre, non ti amerei comunque...>>. Vedo il suo sguardo velarsi. <<Anche io ho perso ho tutto!>> grida. <<Non lo hai perso solo tu!>> continua mentre delle lacrime gli rigano il volto. <<Secondo te, per me è stato facile?! Secondo te, ero felice di sapere che stavi con me, solo perché aspettavi il nostro bambino?! Quando ci è stato portato via, secondo te sono stato felice, mi sono sentito libero?! Non ho mai provato un dolore così forte!>>. Ormai tutto il dormitorio avrà sentito le nostre urla, ma non mi interessa. <<Vederti allontanarmi, quando io volevo solo starti vicino, come pensi che mi abbia fatto sentire?! Vederti buttare via la tua vita, tra alcol e discoteche! Non solo tu hai perso qualcosa! Anche io ho perso tutto! Ho perso te! Ho perso lui!>>. Posso vedere le vene nel suo collo da quanto grida. La porta che si apre di colpo lo interrompe. Alison guarda me poi guarda Diego. Dietro di lei noto anche i ragazzi. Quando incrocio gli occhi di Aaron, lo vedo passare dalla preoccupazione all'accigliarsi. <<Va tutto bene?>> mi domanda la mia compagna di stanza. Mi asciugo inutilmente le lacrime con la manica della felpa. So che probabilmente, non hanno capito nulla, di quello che ci siamo gridati contro sino a d'ora, ma mi sento comunque a disagio. Annuisco. Lei mi guarda preoccupata. Sento un sospiro provenire da Diego. <<Ok...>> mormora lei indietreggiando. Kevin ed Aaron lanciano occhiatacce a Diego sino a che Alison non richiude la porta della stanza. <<Ti scopi il moro?!>> ringhia. Sobbalzo per la sua domanda. <<è per questo che non vuoi stare con me, perché hai trovato un altro?!>>. <<Non dire stronzate!>> esclamano, anche se una parte di me, si sente bugiarda. <<Non le dire tu! Ho visto come vi siete guardati! Ho visto come ti ha guardata!>>. Scuoto la testa. <<Siamo solo amici!>>. Più o meno...non so nemmeno se siamo quello... Si passa una mano sul volto per asciugarlo. Ha gli occhi gonfi e rossi. <<Come siamo arrivati a questo?>> mormora sconfitto. Mi mordo l'interno guancia per impedirmi di piangere. Non abbiamo mai avuto un chiarimento vero e proprio. Come ha detto lui, io mi sono allontanata e poi sono scappata dall'altra parte del mondo, fregandomene di quello che provasse lui. <<Mi dispiace>>. Incatena i suoi occhi glaciali ai miei. Scuoto la testa. <<Mi dispiace, per averti allontanato. Lo so che hai sofferto anche tu...sono stata egoista...>> leggo un briciolo di speranza nel suo sguardo. <<E mi dispiace per averti mentito...per averti illuso che insieme saremmo potuti essere una famiglia felice...io non ti amo>>. Abbassa lo sguardo. Sento le palpitazioni. <<Ti voglio bene...farai sempre parte della mia vita...ma non puoi obbligarmi ad amarti...>> <<Non ci hai nemmeno provato!>> mi interrompe. <<Ci ho provato, ci ho sperato, nei cinque mesi in cui ho tenuto in grembo nostro figlio. Credevo che col tempo ti avrei potuto amare, ma stavo mentendo a me stessa e stavo mentendo a te>>. Sento un peso levarsi dal mio petto. <<E tutto quello che c'è stato prima? I mesi passati insieme? Le volte che hai detto di amarmi?!>>. Posso vedere e sentire, il suo cuore rompersi in tante piccole schegge di vetro, che si scagliano contro di me, graffiandomi la pelle. Ma io ho già la mia cicatrice personale, e non se ne andrà mai... <<Lo credevo... credevo di amarti... ma probabilmente non so cosa significhi quella parola. Non ho mai ricevuto amore dai mie genitori...non sono stata abituata a riceverne e probabilmente era semplicemente innamorata dell'idea. Dell'idea che qualcuno non potesse fare a meno di me, che...>> <<Ma io non posso fare a meno di te>> mormora interrompendomi. Gli occhi tornano a pizzicarmi. <<Ma io si>>. So che le mie parole sono dure, ma dobbiamo mettere il punto fine a questa relazione. Deve riprendere a vivere, non essere perseguitato da dalle schegge di vetro del passato. <<Dimmi dove ho sbagliato>> sussurra dopo attimi di silenzio. Mi siedo sul letto, esausta. <<Non hai...>> <<Non dire quelle stronzate sul "non sei tu ad essere sbagliato ma sono io...">> mi blocca. Faccio un lieve sorriso che lui ricambia. Prende una sedia dalla scrivania e si mette di fronte a me. <<Sei possessivo, eccessivamente geloso, non sopporto il rumore che fai quando mastichi, non capirò mai perché ti devi fare la doccia con i calzini...>> a quel punto ridacchiamo entrambi <<...ma non è per questo che non ti amo>> ci guardiamo intensamente negli occhi. So che ciò che sto per dirgli potrebbe farlo stare male, ma deve capire che il problema non è lui, non sono io: è ciò che sento, o meglio che non sento. <<Ho visto cosa significa amare: l'ho visto in Elena ed Andreas e me l'hanno confermato Emma ed Alex. Amare significa non poter fare a meno l'uno dell'altra, anche se il novantanove per cento del tempo ci si vorrebbe saltare alla gola; amare significa che nonostante tutto ci si è sempre l'uno per l'altra; amare significa che anche se sembra impossibile, prima o poi ci si ritrova sempre; amare significa che sotto al tuo sguardo dovrei arrossire; che per un semplice complimento io diventi dello stesso colore dei miei capelli, anche dopo anni; che un tuo semplice tocco mi faccia sciogliere e mi faccia battere forte il cuore, come se stesse per uscirmi dal petto. È per questo che non posso dire di amarti, e queste cose non possono venire col tempo...devono esserci dal primo istante>> soffio le ultime parole mentre lui sembra soppesarle. Abbassa lo sguardo sulle sue scarpe. <<E se io provassi tutto questo per te?>> quasi sussurra. Mi mordo il labbro per non piangere. Sento il dolore nella sua voce. Rimango in silenzio e con lo sguardo chino. Sento la sedia stridere sul pavimento. Incrocio i suoi occhi tristi ma rassegnati. <<Faccio ancora in tempo a prendere il volo...io...io torno a casa>> dice con sofferenza. Si avvicina alla porta, mentre io rimango immobile al mio posto. Lo sento aprirla. Rimane per un attimo fermo. Sento il respiro venire meno. Quando la porta si richiude alle sue spalle mi alzo di colpo. Apro bruscamente la porta. <<Diego!>> grido quando la sua mano è sulla maniglia della porta del dormitorio. Si volta di scatto. Mi avvicino spedita per poi fermarmi a pochi centimetri da lui. Ha lo sguardo vitreo e i suoi occhi sono spenti. <<Io non ti do la colpa>> mormoro. Devo dirglielo, devo dirgli che non lo incolpo per avermi messa incinta. Inizialmente l'ho fatto, anche se era colpa sua quanto mia. <<Io non ti odio...>> continuo. Vedo il suo sguardo tornare un po' più sereno. Posa una mano sulla mia guancia e mi accarezza. Lo lascio fare. Lascio che il suo tocco familiare scacci via un po' di oppressione che sento sul petto. <<Non ti dimenticherò facilmente...>> sussurra con voce strozzata. Deglutisco. <<Non voglio che tu mi dimentichi, voglio solo che tu vada a vanti>>. Mi fa un sorriso sbieco. Avvicina il suo volto al mio. Vorrei ritrarmi ma non lo faccio. Trattengo il respiro, ma lui si limita a lasciarmi un bacio sulla fronte. Ne sono sollevata. <<Ciao Marta>> soffia sulla mia pelle. La sua mano lascia la mia guancia. <<Ciao Diego>> mormoro. Apre la porta e senza guardarsi indietro la richiude alle sue spalle. Sento una stra sensazione allo stomaco. Mi riprometto di chiamare Nick, e di supplicarlo di controllare il suo amico. Posso non amarlo, ma fa parte della mia vita e gli voglio bene. Nella fretta di raggiungerlo non mi sono resa conto che ci fossero degli spettatori. Quando mi volto, Alison, Kevin ed Aaron, sono seduti sul divano della saletta comune. Distolgo lo sguardo, dopo aver visto la preoccupazione negli occhi di Alison, dopo aver letto la stessa cosa in quelli di Kevin e dopo non essere riuscita a decifrare, lo sguardo sfuggente di Aaron. Mi asciugo le lacrime e con passo spedito mi rintano nella mia camera.

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