Capitolo 17 -Draco-

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Harry si voltò, barcollando per poter salire sulle scale che lo avrebbero portato a casa. Ogni mia cellula mi urlava di fermarlo, ma era stato lui a chiedermi di andare via, e in quel momento decisi di rispettare quel suo volere. Digrignai i denti e spostai gli occhi su Tom, che sorridente se ne stava appoggiato sul cofano della sua auto, fumando una sigaretta come se non avesse appena rovinato la vita al mio Harry.
Forse non è più tuo, in realtà non lo è mai stato.
Sentii nella mia testa, la scossi, lasciando che quel pensiero sfuggisse via. "Che cazzo gli hai detto?" Ringhiai nella sua direzione. Stringevo le mani sul margine ruvido del mio giacchetta in pelle, quello che avevo messo per riscaldarmi, anche se non andava minimamente a tono con il vestito da damerino che portavo.
"Soltanto la verità." Disse Tom con una scrollata di spalle che mi fece agitare più del dovuto. Lui ed il suo facciamo da angioletto, mi stavano facendo girare le palle. Feci qualche passo in avanti e lo agguantai per la collottola, prendendo la sua sigaretta con la mano libera e schiacciandola sotto la suola della mia scarpa elegante. "Spiegati." Sussurrai ad un palmo dal suo naso. I suoi occhi rimasero gelidi e spietati, come se le mie parole non lo scalfissero affatto.
"Non sei mai stato interessato all'ambiente dell'aristocrazia Malfoy..." Fu tutto ciò che disse, liberandosi con facilità dalla mia presa e aggiustandosi i vestiti spiegazzati con qualche manata. "Forse è il momento di informarti sul mondo di cui fai parte." Continuò, entrando in auto e sfrecciando via. Rimasi a guardare il punto in cui era sparito per qualche secondo, come se quello mi avesse spiegato il senso delle parole di Tom, tutto ciò che ottenni, però, fu il rombo del motore in lontananza.

Guardai in alto, le finestre dell'appartamento del Potter erano tutte spente, eppure ero certo lui fosse in casa. Dopo la mia uscita imposta con Astoria, ed i suoi messaggi, mi ero sentito un codardo, ed avevo deciso di andargli a parlare. Trovarlo nelle sue condizioni, a terra ansimante come un animale braccato, mi aveva fatto stare peggio del previsto. Era in quella situazione per colpa mia. Avrei dovuto girare i tacchi e andare via, il più lontano possibile da lui.
Lo hai già fatto, e non è servito a niente.
Ed era così. Allontanarmi da Harry, non parlare con lui, aveva portato solo alla sofferenza di entrambi.
Fu con quel pensiero che percorsi la via per la sua porta a passo svelto, cominciando a bussare come se fuori stesse per arrivare un uragano e l'unico posto al sicuro fosse quella casa. Sentii del passi avvicinarsi alla porta, lo spioncino aprirsi ed il respiro di Harry bloccarsi. Sentii la sua mano sbattere contro la porta e la sua schiena scivolare su di esse mentre scivolava a terra, facendo scivolare con lui anche il mio cuore.
"Harry. Ho bisogno di raccontarti tutto. Ti ho promesso che ti avrei detto tutto, no? Sempre. E non so cosa ti abbia detto di preciso Tom, quindi dammi l'opportunità di riparare al mio sbaglio." Lo supplicai. Sentivo i suoi singhiozzi accompagnare ogni mia parola, poi per un attimo il silenzio e lo scatto della serratura. La casa era buia e il profilo del ragazzo si stagliava indefinito al lato dell'entrata. Presi un respiro profondo e mi avvicinai a tentoni al primo interruttore, rischiarando l'ambiente di una nuova luce. Harry rabbrividì guardandomi, subito dopo, quasi come se io fossi del tutto invisibile, si sedette a gambe incrociate sul divano. "Harry, stai bene?" Mi azzardai a chiedere. La sua risata riempì la sala, era vuota e spenta come lo erano i suoi occhi.
"Non capisco perché tu sia qui, davvero. Non capisco perché tu sia venuto a prendermi a Chicago, perché tu mi abbia chiesto di stare a casa tua. Allo stesso modo non capisco perché tu mi abbia lasciato a me stesso una volta tornati qui, non capisco come tu possa avermi mentito dicendomi che mi avresti telefonato, o che eri a lavoro quando in realtà a due tavoli dal mio stavi intrattenendo una donna."
Rabbrividii alle sue parole. Lui mi aveva visto con Astoria. Come avevo fatto ad essere così stupido da non voltarmi a controllare che fosse nei paraggi, o così cieco da non notare la sua presenza a pochi passi da me. Io che da quando lo avevo conosciuto, non lo avevo perso di vista neppure per un attimo.
"Tom mi ha detto che quella donna è la tua fidanzata. Che ti sposi con lei tra due mesi." La sua voce era distorta e roca, ma Harry sembrava quasi tranquillo mentre pronunciava quella frase, come se si fosse già arreso all'idea.
"Non è come pensi. Non è come dice Tom." Mormorai indeciso. Ormai le carte erano scoperte, tanto valeva chiudere il gioco, anche se questo avrebbe significato perdere.
"Quindi quella donna non è la tua fidanzata." Mi incalzò.
"Non per mio volere, no." Fu tutto ciò che dissi. Harry che fino a quel momento aveva tenuto la testa alta e le gambe incrociate, ancora fasciate nel suo jeans stretto, si prese le gambe al petto e ci affondò con il viso dentro. "Allora è vero. È tutto vero." Bisbigliò tra sè. Mi avvicinai a grandi passi a lui e appoggiai le mani alle sue spalle esili che subito sfuggirono al mio tocco, come se quest'ultimo fosse di fuoco.
"Ti prego non toccarmi, non con le stesse mani con cui hai toccato lei." Mi supplicò Harry e se non fossimo stati in quella situazione, lo avrei trovato divertente. Avrei riso del suo modo di essere così deluso da me, quando lui stesso aveva cercato spesso di nascondere e negare i suoi sentimenti nei miei confronti.
"Harry, non l'ho toccata nemmeno una volta." Ammisi, sperando con tutto il cuore che si fidasse ancora di me. "Ricordi quando ti ho detto che avevo chiuso con i miei genitori per via del fatto che avrebbero voluto farmi sposare?" Chiesi sospirando e passandomi una mano tra i capelli che ormai erano più disordinati di un nido di rondini. Il ragazzo annuì ed io continuai.
"Non era del tutto vero. Cioè avevo smesso di sentirli una volta andato via di casa, avevo sperato che in tal modo avrebbero smesso di farmi pressioni e avrebbero rinunciato all'idea del matrimonio... invece non è stato così."
Affermai. In quei giorni avevo visto tutte le mie certezze crollarmi davanti agli occhi, e l'ultima cosa che avrei voluto era vedere Harry crollare insieme a tutto il resto.
"Tre giorni fa Minerva mi ha chiamato. Mio padre era andato di nuovo da lei, questa volta con dei documenti. Mi priverà di ogni mio avere, della mia eredità e del nome di famiglia se non mi sposerò entro due mesi." Dirlo ad alta voce rendeva la cosa ancor più reale e tremenda di come l'avessi pensata fino a quel momento. Le lacrime negli occhi di Harry presero a scorrere nuovamente, mentre gli stessi parevano addolcirsi.
"Non può farlo davvero. Quale genitore farebbe questo al proprio figlio?" Chiese disperato, questa volta non per se stesso, ma per me.
"Lui può farlo, Harry. E ti giuro che non ho pensato nemmeno per un attimo di accontentarlo." Affermai sedendomi accanto a lui e mettendo una mano sul suo ginocchio, mano che questo volta non allontanò.
"E allora chi era quella donna?"
Chiese Harry con una punta di curiosità e tremenda gelosia.
"Astoria è la mia promessa sposa, ma è anche un ottimo avvocato. Lei ha capito le mie intenzioni e insieme stiamo cercando una scappatoia per impedire a mio padre di privarmi di tutto." La risposta sembrò tranquillizzare Harry quel tanto che bastava da farlo rilassare sotto il tocco della mia mano.
"Tu non vuoi sposarla." Ripeté più a se stesso che a me. Accennai ad un sorriso. "Ho mentito tante volte nella mia vita, Harry, ma mai quando ho detto di amarti." Lo rassicurai.
Avevo voglia di baciarlo, di farlo sentire al sicuro come non avevo fatto fino a quel momento, e forse lo avrei anche fatto, se Harry in quel momento non avesse deciso di porgermi l'ennesima domanda.
"Perché non me lo hai detto prima? Ne hai avuto l'occasione, eppure non lo hai fatto. Ogni volta aspetti che si arrivi al punto di rottura per mettere le cose al loro posto. Il problema, Draco, è che se continui così, un giorno romperai tutto senza nemmeno volerlo, e sarà troppo tardi per incollare i pezzi." L'amarezza che impregnava quelle parole arrivò fino al mio cuore, e lo strinse in una leggera, ma palpabile morsa.
Harry si alzò dal divano e in punta di piedi salì le scale per sgattaiolare in camera sua. Aprii la finestra e mi sedetti sul davanzale, accendendomi una sigaretta ed aspettando.
Il ragazzo tornò mentre spegnevo il mozzicone, aveva lavato la faccia e messo il pigiama che consisteva in un paio di pantaloncini da basket e una maglietta a maniche corte rossa. Camminava a piedi nudi, non producendo nemmeno un suono. Il suo sguardo si fissò nel mio per un attimo. "Non vai a casa?" Chiese curioso, forse si aspettava che me ne andassi...
"Se posso vorrei rimanere qui." Dissi sentendomi a disagio come se la persona con la quale stessi parlando non fosse Harry, ma un ragazzino appena conosciuto.
"Blaise ha lasciato il suo vecchio materasso qui, oppure c'è il divano." Affermò mentre versava del latte in un bicchiere, richiudeva la scatola e la riposizionato nel suo posto in frigo.
"Speravo in un posto più vicino al padrone di casa." Borbottai. Da quando ero io il ragazzino della situazione e Harry la persona matura?
"Draco, senti: io ti capisco, credo ad ogni parola che hai detto e vorrei tanto ritornare a tre giorni fa e farmi stringere dalle tue braccia, ma..." Si lasciò andare ad un sospiro.
"Ma non riesci a farlo." Conclusi al posto suo. Lui annuì afflitto, lasciò il latte sul bancone e si avvicinò a me.
"Sarei felice se rimanessi qui. Mi sei mancato e non mi va di perderti di nuovo, devi lasciarmi un po' di spazio, però." Disse appoggiando una mano sul mio petto. Mi crogiolai nella sensazione della sua pelle a contatto con il mio corpo e chiusi gli occhi ispirando il suo profumo a pochi passi da me. "Va bene." Dissi. Il sorriso che Harry mi regalò, seppur piccolo e contrito, era sincero, e mi fece rendere conto che in quel momento ne valeva la pena, lui ne valeva la pena.

Romantica || DrarryDove le storie prendono vita. Scoprilo ora