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Buongiorno, Americani...
La voce dell'uomo che ogni volta augurava una buona giornata a tutti quelli che ascoltavano la sua radio non finì di parlare, quel mattino. Meg spense la sveglia con un movimento secco -com'era suo solito- e un grugnito frustrato. Buongiorno un corno, pensò tirandosi a sedere e scalciando via le coperte.
«Maggie, sei sveglia?» la voce profonda del padre la fece voltare verso la porta chiusa della sua stanza.
«Sì, papà, adesso scendo!» rispose, cercando di apparire sveglia e solare come suo solito. In realtà aveva una gran voglia di piangere, e il pensiero che a scuola avrebbe dovuto affrontare i commenti acidi di quelli che un tempo aveva chiamato "amici" la faceva stare male.
«Forza, cara, farai tardi a scuola!» la chiamò sua madre.
«Ma se l'autobus parte tra un'ora!» si lamentò lei, prendendo con poca grazia i vestiti che avrebbe indossato dopo la doccia.
«Siamo irritabili, oggi, non è così?» sorrise la signora Grant, entrando con cautela nella camera da letto della figlia.
«Sto bene, ho solo dormito male, stanotte» sospirò Meg. Ed era vero: la poveretta non aveva chiuso occhio.
«C'è niente di cui vorresti parlarmi?»
«No, mamma. Sto una favola e non ho bisogno di una seduta psichiatrica» sbottò, alludendo al lavoro della donna.
«Riguarda la scuola?»
«Non fingerti interessata a me solo per farmi piacere: non si credibile» le ricordò la ragazza, uscendo dalla stanza con un fagotto di vestiti tra le braccia. Insomma, non era più una bambina, era passato il periodo in cui doveva rendere conto ai suoi genitori di tutto ciò che faceva fuori da casa sua. E poi, da quando sua madre si interessava a ciò che le succedeva a scuola?
Non avrò esagerato, vero?, pensò poi, fermandosi davanti alla porta del bagno. Trovando una risposta affermativa alla sua domanda, tornò tra i suoi passi.
«Okay ma', scusami. Ho superato il limite» con uno sforzo sovrumano, la ragazza riuscì ad ammettere i suoi sbagli.
«Tranquilla, Meg. Sei molto provata, ne sono consapevole.»
«Cosa intendi?» Margaret impallidì visibilmente. Come poteva la donna sapere del suo litigio con George?
«La scuola ti sta sfiancando, me ne rendo conto. Guarda che li ho anche io degli occhi, eh! Anche se non sono una mutante.»
La ragazza tirò un sospiro di sollievo e iniziò ad avviarsi nuovamente verso la sala da bagno.
«Stai tranquilla, mia cara. Io sto benissimo!» disse infilandosi sotto la doccia. Di nuovo, si insaponò i capelli, li sciacquò, li asciugò e applicò la crema sul viso e sulle mani. Mise anche del correttore per coprire le occhiaie causate dal poco riposo.
Quando si fu infilata i vestiti, scese in cucina, prendendo la busta con la colazione e baciò suo padre e sua madre.
«Ciao genitori!» li salutò prima di richiudere la porta alle sue spalle.

Al suo arrivo nell'aula dove si sarebbe tenuto il corso di citologia, trovò molti posti già occupati: individuò George e provò a sorridergli. Lui, per contro, scrollò la testa e posò la borsa sullo sgabello accanto a lui per segnalare che il posto era occupato. Più arrabbiata che mai, la ragazza si sedette al primo banco libero che trovò, poi estrasse il suo quaderno per gli appunti e scarabocchiò qualche parola. Di nuovo si voltò verso il suo amico e vide che stava parlando con Peter Mobb, uno dei loro compagni. Entrambi si voltarono contemporaneamente verso di lei e cominciarono a sghignazzare. Con le lacrime agli occhi, Meg si voltò e iniziò ad arricciarsi una ciocca di capelli attorno a un dito.
Che cos'ho fatto di male?, si chiese.
Fu allora che la accusò per la prima volta. Un'emicrania la scosse nel profondo facendole annebbiare la vista e girare la testa. Poi una voce, che solo lei parve sentire, le parlò.
«Non affliggerti, Margaret. Un giorno, riuscirai a trovare il tuo posto, ma devi resistere ed essere forte» disse la voce. Era calma e gentile, ispirava fiducia.
Chi sei? Sto forse impazzendo?, domandò la giovane, imbarazzata all'idea di parlare ad una persona che esisteva solo nella sua testa.
«Non stai impazzendo, mia cara. Io sono il professor Charles Xavier, hai già sentito parlare di me perché hai cercato notizie sulla mia scuola per giovani dotati un paio di mesi fa.»
Scioccata da quella rivelazione, la ragazza fece un gesto istintivo: si portò le mani alle labbra, come faceva di solito quando era sorpresa. La persona che aveva sentito nella sua testa era anziana, forse sulla sessantina e la sua voce le diede di nuovo una sensazione di calma e pace. Per questo non ebbe paura di ciò che aveva sentito: non era sola nel mondo, qualcuno l'avrebbe aiutata.
«Signorina Grant, si sente bene?»
Non mi lasci, professore: ho bisogno di risposte, lo implorò.
«Non sei mai stata sola» disse l'uomo, la voce vagamente divertita.
«Signorina, mi ha sentito?» ripeté il signor Williams, l'insegnante. Margaret scosse la testa e fissò l'uomo confusa. Sorrise per dissipare la tensione.
«Sì... ehm... può ripetere la domanda?»
«Si sente bene?»
«Oh. Sto una meraviglia!»
«Non sembra proprio. Vuole andare in infermeria?»
«No, sul serio. Sto benone» sorrise, per rincuorare più sé stessa che il professore.
«Se lo dice lei... chi vuole ripetermi la lezione della volta scorsa? Signor collins Collins, per esempio?» accantonata ogni speranza di convincere l'allieva ad allontanarsi dalla classe, il signor Williams cominciò la lezione.
Tutta la classe, in un'unico movimento, si voltò a fissare il ragazzo prescelto. Era sbiancato. Un sorriso malefico sfuggì al controllo di Margaret.
Ti sta bene, brutto ignorante, ghignò tra sé e sé.
«Con chi stai parlando?» la voce di Xavier riemerse improvvisa e Meg sussultò. Nessuno la vide, per fortuna.
Era riferito ad un mio compagno di corso. Mi scusi, signore, rispose, imbarazzata.
Poi alzò la mano e, su invito del signor Williams, ripeté perfettamente la lezione che dovevano studiare. Poi si voltò verso George, gli occhi iniettati di odio e un sorriso stampato sul volto. La loro amicizia, iniziata sin dal primo istante che la ragazza aveva passato in quella scuola, poteva definitivamente dirsi conclusa.

Quando tornò a casa, dopo le lezioni, Margaret aprì il computer e digitò il nome della scuola per mutanti: Scuola di Xavier per Giovani Dotati. La ragazza sorrise: un buon modo per camuffare la vera identità dei "giovani dotati". In prima pagina si trovava un uomo calvo seduto su una sedia a rotelle. Alle sue spalle si trovavano due donne e un uomo. La didascalia dell'immagine presentava i quattro personaggi. Il professor Charles Xavier, preside della scuola, insieme a tre giovani professori: Ororo Munroe (a destra), Scott Summers (al centro) e Jean Grey (a sinistra). Meg provò a capire perché avessero creato un sito internet per presentare la scuola, ma poi smise di arrovellarsi sulla questione: chiaramente non avrebbe trovato una risposta tanto semplice alla domanda. Chiuse perciò la pagina internet e prese i suoi appunti, iniziando a studiare per gli ultimi esami che le mancavano prima della tanto attesa cerimonia di laurea.

Amore mutanteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora