Capitolo 19 - Una fantastica giornata.

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PDV Simona.

Paola, bastò quel nome per fermarmi... Di solito quando una persona si sentiva tradita, ferita o semplicemente delusa da una persona che reputava importante ella sentiva il proprio cuore rompersi in mille pezzi, io no. Il mio cuore in quei mesi non guarì del tutto e sentendo quel nome la sensazione che provavo era ben peggiore. Quando un cuore si spezzava era un attimo, era come un vetro che cadeva in frantumi, quello che sentivo io era peggio. Mi sentivo come se mi avesse strappato il cuore dal petto e lo stritolasse tra le sue mani, un po' come in Once Upon A Time. Ma almeno lì ad un certo punto concludevano l'opera, riducevano quel cuore in cenere e ponevano fine alle sofferenze del tizio di turno, lei no. Lei continuava con quei suoi scatti, a volte prendeva il mio cuore, ci giocava un po' e alla fine lo rimetteva al suo posto ben più malconcio di come lo ritrovava. Una cosa da dire in suo favore c'era però: non era tutta colpa sua, buona parte era anche mia. Ero io che m'illudevo facilmente e costantemente, ero io che volevo continuare quell'assurda sceneggiata solo per provare a farle sentire la mia mancanza, solo perché pensavo di mancarle, ma forse non era così. Dovevo smetterla d'illudermi, dovevo smetterla di sperarci tanto, mi faceva solo più male e non potevo nemmeno prendermela con lei visto che lei mi disse di non provare nulla da tempo.
«Cos'hai detto?» le chiesi lentamente togliendomi le sue mani di dosso in modo brusco. «Come mi hai chiamata?» continuai in tono decisamente più nervoso mentre lei fece un passo indietro.
«Mi sono confusa.» provò a giustificarsi lei, ma a me sembrava alquanto insulsa come giustificazione.
«Oh capisco. Beh in effetti i nomi Simona e Paola sono molto simili, anche io avrei fatto confusione.» ribattei subito con un tono leggermente più sarcastico ma lei capì comunque che non le stavo dando ragione.
«Non c'è bisogno di prendermi in giro, ok? Ho fatto una cazzata, mi è scappato.» contestò lei in tono offeso quasi, anche se non fui io a chiamarla con un altro nome.
«Io non ti sto prendendo in giro, anzi, sei tu che lo stai facendo con me da ormai un paio di mesi. Tutta questa sceneggiata è opera tua, se tu fossi stata più coerente a quest'ora non staremmo nemmeno qui a parlarne.» replicai io con un tono più nervoso e lo sguardo fisso nei suoi occhi.
«"Io più coerente"? Io sono sempre stata sincera con te, sei tu che hai voluto continuare questa farsa. In questi due mesi ti ho detto spesso di smetterla, di chiuderla qui, ma tu hai voluto continuare e io ti ho assecondato.» ribatté lei con un tono fin troppo sicuro, ma io ero certa del contrario.
«No no, per piacere, adesso non rigirare il discorso a tuo favore. Sai cosa provo per te e se dici il contrario allora fingi solo di non saperlo. Mi hai dato l'opportunità di continuare a starti accanto, di baciarti e fare quello che mi pareva qui a scuola, credevi sul serio che mi sarei tirata indietro?» contestai velocemente con un tono decisamente più nervoso del solito, ma non le diedi nemmeno il tempo di rispondere a quella mia domanda che subito ricominciai a buttarle addosso tutta la rabbia che provavo per lei in quel momento. «Che poi tu non mi dicevi "lasciamo perdere questa storia, non ha senso, chiudiamola qui", tu chiedevi a me cosa volessi fare e quindi è ovvio che nemmeno tu volessi chiuderla sul serio.»
«Ah si? E perché sarebbe ovvio?» mi chiese lei con un sorrisetto quasi divertito.
«Perché sei tu che non riusciresti a reggere la pressione delle mille domande, o anche l'assalto che sicuramente ti farà Giorgia, tu non la sopporti e non vuoi che lei ci provi con te costantemente. A me non importa degli altri, possono fare e dire ciò che vogliono, io non resterò più qui a farmi prendere in giro solo per non ascoltare loro.» le spiegai a denti stretti, avevo talmente tanta rabbia dentro che non riuscivo quasi più a controllarmi.
«Nemmeno a me importa del giudizio degli altri, è solo per te che l'ho fatto, per non farti sentire i discorsi dei nostri compagni. Ma pensala pure come ti pare.» ribatté lei con un tono più calmo del mio, ma comunque piuttosto offeso dalle mie parole.
«Bene, allora siamo d'accordo, possiamo anche chiuderla qui. Adesso puoi tornare a divertirti tranquillamente con questa Paola che ha invaso i tuoi pensieri.» conclusi voltandomi verso la porta e smettendola di guardare il suo viso.
Cristina provò a ribattere, provò a convincermi che lei non se la facesse con nessuno ma io non le credevo e non rimasi nemmeno lì a discuterne. Uscii fuori dal bagno e mi avviai verso la nostra classe, lungo un corridoio piuttosto vuoto, mentre Cristina uscì poco dopo di me e mi venne dietro. Senza dire nulla entrammo in classe, dove c'era l'insegnante d'italiano che spiegava, e sotto il suo sguardo stranamente sereno ci avviammo ai nostri posti.
«Di nuovo fuori insieme voi due?» ci chiese con un tono piuttosto divertito.
Non capivo proprio quali fossero i pensieri dell'insegnante d'italiano ma in quel momento preferivo di gran lunga la prof d'inglese, avevo bisogno di qualcuno di stronzo e coerente con cui scontrarmi verbalmente piuttosto che una dolce e gentile come lei.
«Scusateci, non succederà più.» le dissi io senza alzare lo sguardo dal mio posto.
Passai alle spalle di Giorgia e mi sedetti sulla sedia accanto a lei, sentivo gli sguardi dell'intera classe su di me e con la coda dell'occhio vidi la professoressa che guardava entrambe piuttosto confusa. In effetti non mi piaceva come situazione, stare al centro dell'attenzione non era un mio desiderio, ma potevo sopportarlo. Dopo un po' la professoressa riprese l'attenzione della classe, ricominciò a spiegare, ma io non l'ascoltai affatto. Con una matita iniziai a fare dei piccoli scarabocchi sul retro di un quaderno, la professoressa sicuramente si accorse di me ma non mi disse nulla, io e Cristina le stavamo talmente a cuore che potevamo metterci anche a ballare in mezzo alla classe e non ci avrebbe fatto nulla. Forse capì qualcosa e non voleva peggiorare la situazione ma dopo un po' capii che non fu l'unica a capire che qualcosa non andava. Lentamente vidi un piccolo pezzo di carta avvicinarsi sotto ai miei occhi e si fermò al centro del mio quaderno. Smisi di concentrarmi sul punto in alto del quaderno e abbassai lo sguardo su quel foglietto, c'era scritto "stai bene?". Subito mi voltai alla mia destra, dove c'era Giorgia, ovviamente fu lei a scriverlo ma mi sembrò ugualmente strano. Lei non si preoccupava mai di nessuno, in quegli anni la vidi spesso da sola e quando era con dei ragazzi spesso era vittima dei loro scherzi. Non aveva molti amici, né dentro né fuori dalla scuola, e inizialmente mi dispiaceva. I primi anni provai a parlarle, provai a trovare qualcosa in comune e a volte ci mettemmo anche a ridere insieme, ma quando poi ci scoprimmo innamorate della stessa ragazza cambiammo del tutto rapporto. In quel momento non sapevo se le importasse sul serio di come stessi o se in fondo stesse godendo della nostra evidente rottura, ma aveva il viso rivolto verso la prof, forse fingeva di ascoltarla e non sapevo bene cosa avesse in mente. Non sapevo se tenere la mia rabbia per me o se sfogarla contro di lei dicendole che non erano affari suoi, ma mi facevo subito prendere dai sensi di colpa quindi mi limitai a scriverle un falsissimo "si, sto bene". Le lasciai quel bigliettino vicino al suo portacolori viola e lei lo lesse quasi subito, poi prese una penna e scrisse "non sei brava a mentire". Tenne quel bigliettino tra le sue mani e mi mostrò la frase, quando alzai lo sguardo sul suo viso la vidi sorridermi e d'istinto le sorrisi anche io. In fondo aveva ragione, non sapevo mentire, ero pessima con le bugie, ma stavo migliorando. Subito abbassò il suo sguardo sul banco, girò quel bigliettino e continuò a scrivere. "Sicuramente non sono la persona adatta con cui parlare ma se vuoi sfogarti ci sono" scrisse. Io le mimai un semplice grazie ma non aggiunsi altro, già quel breve discorso mi sembrava strano, figuriamoci parlarle dei miei problemi con la ragazza che anche a lei piaceva. Le successive ore passarono in fretta e quando anche l'ultima campanella suonò ci alzammo tutti in piedi e uscimmo fuori dalla classe. Di solito ero sempre una delle ultime ad uscire, più perché aspettavo Cristina e Maria che per altro, in quel momento invece fui una delle prime. In mezzo alle scale c'era un casino infernale, c'erano ragazzi che urlavano, che si spingevano e mi fecero venir voglia di tornare in classe e restare lì per tutto il fine settimana ma in mezzo a quel mare di gente era difficile muoversi all'indietro. Continuai in avanti scendendo giù e maledicendo tutti quei ragazzi fino a quando non fui libera fuori dall'edificio. Il tempo era fantastico, pioveva piuttosto forte e l'alternarsi di lampi e tuoni lo trovavo melodioso. Amavo la pioggia e almeno in quel momento potevo sentirmi libera. Non appena uscii dal cortile della scuola vidi molti ragazzi che si riparavano sotto ombrelli o balconi ma io non ne capivo il motivo. Era una sensazione così bella quella di sentire la pioggia sulla propria pelle e io quel giorno non potevo chiedere di meglio. Non mi andava di prendere il pullman e così mi avviai a piedi verso casa, ma non appena feci due passi fuori dal cancello Davide mi venne in contro con un grande ombrello giallo in mano.
«Ehi dove stai andando?» mi chiese un po' confuso.
«A casa, dove vuoi che vada?» domandai io con un tono forse fin troppo acido, in fondo ce l'avevo con sua sorella non con lui.
«Beh allora vieni che ti do un passaggio, non è un bella giornata per tornare a piedi.» continuò lui con un largo sorriso ma io non avevo intenzione di accettare.
«Per me è una fantastica giornata invece!!» ribattei imitando il suo stesso sorriso, poi con la coda dell'occhio vidi Cristina e liquidai velocemente Davide lasciandolo lì da solo in mezzo ai ragazzi che uscivano.
Lui mi chiamò anche ma io non mi voltai, continuai per la mia strada per quasi un chilometro fino a quando non si fermò una piccola auto rosa accanto al marciapiede su cui camminavo.
«Ti va un passaggio?» mi chiese Giorgia che ovviamente era alla guida di quel "bolide".
Non amavo particolarmente il colore rosa, per un'auto poi lo trovavo raccapricciante, ma da lei mi aspettavo di tutto. Le mancava solo un piccolo chihuahua in una borsa firmata e l'avrei soprannominata Paris Hilton. Rimasi fuori a discutere con lei del perché non volessi un passaggio, ma alla fine accettai, ero fin troppo zuppa d'acqua e mia madre mi avrebbe sicuramente uccisa se fossi tornata a casa in quello stato.

Semplicemente lei.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora