Capitolo 2 - Destino.

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Passò un mese da quella rottura, inizialmente mi sentivo svuotata, non avevo la testa per pensare a nulla ma non volevo tornare sui miei passi. Se c'era una cosa in cui credevo fermamente era che se si lasciava una persona non si poteva tornare indietro, o almeno non subito, non ci si poteva far prendere dai sensi di colpa se non si sapeva cosa si voleva, e io non lo sapevo... In quel mese non piansi, non versai nemmeno una lacrima, forse significava che credevo di aver fatto la scelta giusta, forse davvero non m'interessava avere un futuro con Simona, o forse dentro di me credevo che lei mi avrebbe atteso per sempre. Tutto quel casino che avevo in testa non rifletteva l'ordine della mia stanza, sembrava quasi che avessi due personalità differenti, e con tutti quei dubbi in testa non riuscivo a concentrarmi. Era il 7 settembre, la scuola (e di conseguenza l'ultimo anno di liceo) sarebbe iniziata una settimana dopo e io non sapevo come lo avrei affrontato. L'anno precedente lo conclusi alla grande con Simona e Maria, stare con loro a ridere e scherzare (soprattutto quando gli insegnanti non se ne accorgevano) era bello, faceva passare velocemente ogni singolo giorno di scuola. Quell'anno invece non sarebbe passato tanto facilmente, l'esame era l'ultimo dei miei problemi, la stalker ossessiva (la ragazza che aveva una cotta per me dalle medie) la evitavo bene, ciò che mi preoccupava di più era Simona. In quel mese parlammo quasi ogni giorno, volevo farle capire che in un certo senso c'ero ancora per lei, ma sentivo che non era più la stessa. Non mi provocava più, non faceva più battute stupide o altro, e alla fine decisi di evitare di scriverle, sebbene spesso fu lei a chiedermi come stessi. Le rispondevo semplicemente dicendole che stavo bene, seppur non mi sentissi completamente bene, e lei buona parte delle volte mi rispondeva lo stesso. Altre volte mi diceva che le mancavo, che la sua vita senza di me non aveva senso, e leggendo quelle frasi io stavo male. Ripensando ai momenti felici che passammo mi sentivo male e pensai anche a tornare indietro, ma qualcosa mi bloccò. Ero nella mia camera seduta a terra con le spalle contro una parete, avevo accanto un'ampia libreria piena di libri (molti sul genere fantasy, che adoravo), di fronte c'era la scrivania e poco più distante verso la mia sinistra c'era il mio letto da una piazza e mezzo, mentre l'armadio era sulla parete opposta al letto, quasi accanto a me. Le pareti erano dipinte di blu, su una, quella libera dove c'era solo una piccola finestra, ci appesi tante foto, in molte c'eravamo io e Simona e in altre c'erano momenti importanti della mia vita, o semplicemente persone della mia famiglia. Mi piaceva tenere le foto accanto alla finestra, per me quelle foto rappresentavano la luce che entrava nella mia stanza al mattino, loro erano la luce che avevo dentro. Ma in quel momento la mia luce si spense e quel giorno tolsi tutte le foto dal muro, anche foto in cui Simona non c'era, non mi andava di vederne nessuna. Presi una vecchia scatola di scarpe e ci misi dentro quelle foto, erano almeno una cinquantina, più della metà raffiguravano il sorriso di Simona. Amavo davvero tanto quel suo sorriso e ogni volta che potevo la fotografavo, mi piaceva la fotografia e lei mi regalò una piccola macchina fotografica digitale dopo una settimana che stavamo insieme. Disse che era per il mio compleanno, sebbene fosse in ritardo di qualche mese, ma lo apprezzai davvero tanto e portai quella fotocamera ovunque andassi. Dopo qualche mese si pentì (ridendo) poiché fotografavo qualcosa ad ogni metro che percorrevamo, ma il mio soggetto preferito era lei. Riposi anche quella fotocamera nello scatolo con le foto e rimasi per qualche minuto a terra, proprio accanto alla libreria, a fissare una di quelle tante foto. Non si vedeva nulla attorno, non c'era spazio per nient'altro nel mio obiettivo, c'era solo il suo viso di profilo col suo bel sorriso. Nonostante tutto ricordavo quella foto, la scattai pochi mesi prima, era l'ultimo giorno di maggio e noi invece di andare a scuola andammo al mare. Volevamo vederlo prima che si riempisse di gente e arrivarci a piedi era facile, sebbene ci mettemmo quasi un'ora per arrivare. Alla fine trascorremmo una bella giornata, una fantastica giornata, e mentre ero con lei pensai che fosse tutto perfetto, che lei fosse la ragazza con cui sarei stata per tutta la vita, ma purtroppo non feci i conti con la mia testa. All'improvviso un suono fastidioso risuonò per tutta la stanza e io smisi di pensare al passato. Sentii una lacrima scendere lungo la mia guancia destra ma subito l'asciugai, misi quella foto nello scatolo, chiusi quest'ultimo col coperchio e lo spinsi sotto al letto. Poi mi alzai in piedi e abbassai lo sguardo sulla scrivania. Il rumore che sentii era del mio cellulare, lasciai la vibrazione, non usavo la suoneria, e quella si sentiva comunque. Al telefono era Maria che mi stava chiamando, dovevamo incontrarci a casa sua per uscire, ma me ne dimenticai completamente. Subito presi il cellulare e risposi alla chiamata aspettandomi il peggio.
«Pronto..» dissi schiarendomi la voce.
«Ah ma allora sei viva?» mi chiese lei con un misto tra sarcasmo e nervosismo. «Ti sto aspettando da un'ora, mi hai detto che stavi scendendo ma dove sei?? Sai che da casa mia a casa tua ci vogliono cinque minuti, si?!»
«Sì, lo so, ero impegnata a fare una cosa, adesso scendo sul serio e ti raggiungo...» risposi provando a tranquillizzarla.
«Ti aspetto, non fare tardi come tuo solito!» mi rimproverò lei prima di salutarmi e staccare la telefonata.
Io per tutto il tempo non feci altro che tenere lo sguardo fisso sul letto, il pensiero era a quelle foto in quello scatolo e a Simona... Quella lacrima che mi scese sul viso fu la prima dopo tanto tempo e ciò significava che mi mancava sul serio, che quindi sapevo di aver fatto una cazzata, e c'era un'unica cosa che io dovessi fare: andare da lei e scusarmi per il mio stupido comportamento sperando che mi perdonasse. Subito mi misi il cellulare in tasca e uscii dalla mia stanza. Durante il tragitto dal corridoio all'ingresso incontrai mia madre, o meglio, quasi mi scontrai.
«Dove stai andando?» mi chiese notando il mio passo svelto.
«Vado da Maria, ci vediamo stasera.» risposi subito io fermandomi davanti alla porta di casa.
«Ma ci sono delle persone che si stanno trasferendo al piano di sopra, vai più tardi, aspetta che finiscono.» continuò lei con un tono incerto.
«Quindi sul serio sono arrivate delle persone per trasferirsi? Stavamo così tranquilli quando quegli altri se ne sono andati...» commentai io tristemente.
Odiavo il trambusto che facevano i miei vicini ogni giorno, sia quelli al piano terra che quelli al secondo piano, noi stavamo giusto in mezzo. Per fortuna quelli del piano superiore se ne andarono, non sapevo bene il motivo ma non m'importava. Se ne andarono un paio di settimane prima e io finalmente mi godetti un po' di tranquillità, ma sapevo che non sarebbe durata per sempre.
«Sì, sono arrivati dieci minuti fa col furgone pieno di roba, quindi aspetta che finiscano di portare su le loro cose.» rispose lei con un tono speranzoso.
In quella zona non c'erano molte persone che ci "apprezzavano" molto, con alcuni ci litigai io poiché erano delle autentiche rotture di scatole e mia madre non voleva che rovinassi anche un eventuale buon rapporto che avrebbe potuto avere con loro, ma io avevo da fare e dovevo sbrigarmi se volevo parlare con Simona.
«Mica mi devo trasferire io? Devo solo passare dal portone e dal cancello, non credo che si siano messi a fare un falò lì in mezzo.» ribattei io sarcasticamente.
Subito dopo salutai mia madre e uscii fuori, avevo già perso un'ora per pensare ai fatti miei, e Maria era sicuramente molto incazzata con me, quindi se volevo fare tutto dovevo sbrigarmi. Scesi giù velocemente, arrivai davanti al portone per metà aperto e vidi uno scatolone quadrato, piuttosto grande, portato dentro da due mani femminili, quella destra aveva un paio di graffi sul dorso. La prima anta del portone si bloccava sempre a metà, non si apriva del tutto, l'altra anta invece non ci provarono affatto ad aprirla, essendoci due bici davanti (la mia e quella di mio fratello). Rimasi a guardare quella persona per altri pochi minuti, ero un po' incerta su cosa dovessi fare, ma il mio istinto e la mia dannata coscienza mi urlarono di aiutarla, e lentamente mi avvicinai a lei. Quella persona fece un paio di passi all'interno del palazzo, ma subito si scontrò con la maniglia di ferro di quel portone e quasi le cadde lo scatolone dalle mani. Si piegò sulle ginocchia, tentando di riprendere al volo quello scatolo, ma io la intercettai. Lei non sapeva che ci fosse un'altra persona lì con lei e quando, per prendere lo scatolone, toccò una mia mano, d'istinto si staccò subito. Si mise in piedi, facendo un passo indietro, e mi guardò dall'alto in basso mentre io alzai lo sguardo su di lei. Quelle sue mani mi fecero capire già due cose: che era una ragazza e che aveva un gatto, o le piaceva giocare con qualcosa di affilato. Quindi quando la vidi e notai che era una ragazza non mi sorpresi molto, anche se rimasi comunque affascinata dai suoi occhi meravigliosamente scuri.

Semplicemente lei.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora