Capitolo 20 - Andare avanti.

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PDV Simona.

Quella era la prima volta che entravo nell'auto di Giorgia, nemmeno credevo che lei avesse la patente, non che fosse una ragazza che non studiasse ma aveva semplicemente altre priorità, Cristina era una di quelle. L'interno era anch'esso piuttosto rosa, mise un coprivolante di stoffa di quel colore, i coprisedili uguali, e aveva anche dei piccoli peluche sparsi in ogni angolo dell'auto. Sembrava più la cameretta di una bambina piuttosto che l'auto di un adolescente. L'aria condizionata era accesa, in quell'auto faceva abbastanza caldo, anche lo stereo era acceso ma il volume era piuttosto basso, lo abbassò proprio quando mi chiese di salire su.
«Non è tutto troppo rosa?» le chiesi sarcasticamente poco prima che ripartisse.
«Sembri mio padre...» rispose lei sorridendo. «Adesso puoi spiegarmi cos'è successo tra te e Cristina?» mi chiese con un tono più serio.
«Così poi potrai ridere alle mie spalle?» ribattei io innervosendomi leggermente.
«Credi sul serio che io sia così cattiva?» domandò in tono un po' offeso. «Cioè ok che sono innamorata di Cristina, e ok anche che spesso ho sperato che vi lasciaste, ma non ho mai goduto quando qualcuno stava male.»
«Quindi vorresti dire che una notizia del genere non ti farebbe piacere?» continuai io piuttosto confusa, forse l'avevo giudicata male o forse sapeva solo fingere bene.
«Non esattamente, se vi lasciaste avrei la mia occasione per provarci ma credo che alla fine tornereste comunque insieme.» commentò lei con un tono quasi rassegnato ma io non ne capivo il motivo.
«Fidati che io e lei non ritorneremo insieme, lei vuole "divertirsi" io no. Io voglio amare qualcuno e allo stesso tempo voglio qualcuno che mi ami, qualcuno con le idee chiare. Non voglio qualcuno che si lasci andare con chiunque anche dopo esserci lasciate da poco, voglio qualcuno che anche dopo avermi lasciato stia male, ma non male come me che ho pianto settimane intere, male nel senso che ci pensi bene. Voglio che pensi "ma ho fatto bene? Era davvero l'unica cosa da fare? Lo voglio davvero?". Lei a quanto pare non era la persona adatta, pazienza.» commentai io lentamente.
Tutto ciò che dissi non lo pensavo sul serio, ero solo incazzata con Cristina ma in fondo l'amavo ancora, era ancora l'unica persona che volevo accanto, ma a lei probabilmente nemmeno importava più di me. Aveva in testa un'altra, una certa Paola, forse la stessa che le fece quello stramaledetto succhiotto. Quello era il primo segnale, dovevo ascoltarlo, dovevo lasciar perdere tutto già in quel momento così non avrei sprecato altri mesi ad illudermi.
«Quindi vi siete lasciate sul serio?» mi chiese con un leggero accenno di tristezza, ma non credevo lo fosse tanto.
«Si, ma non so quanto ti convenga provarci.» risposi io voltandomi a guardare fuori dal finestrino, ormai eravamo piuttosto vicine a casa mia e il tempo si era calmato un po'.
«Tu hai detto che lei vuole divertirsi, e io non voglio di certo chiederle di sposarmi.» replicò lei con un tono ironico.
«Tu sei stracotta e non te lo consiglio, magari in futuro anche lei vorrà qualcosa di più duraturo ma ora non ti conviene, è solo un continuo sbatterci la testa, ti fai solo male. Non te lo dico perché mi piace ancora, ma lo faccio perché l'ho provato sulla mia pelle, fa male da morire.» le spiegai provando a convincerla a lasciar perdere, non m'importava più che qualcuno ci provasse o meno, era ovvio che qualcuno era già entrato nella testa di Cristina ma non ero sicura che fosse passato anche dal suo cuore.
«Ogni storia d'amore che finisce fa male, soprattutto per chi prova ancora qualcosa, e io infatti non ho intenzione di aprire nessuna storia. A me piace, è vero, e lei continua a rifiutare ogni mia proposta quindi forse dovrei smetterla di perderci tempo, ma non mi arrendo facilmente.» ribatté lei con un tono molto sicuro, lei aveva già dimostrato in quegli anni di non essere una che si arrendeva subito.
«Sono anni che le vai dietro, lascia perdere, dimenticala.» continuai io quando lei parcheggiò accanto al marciapiede davanti a casa mia.
«È quello che farai anche tu? La dimenticherai?» mi chiese con un piccolo sorriso sul viso, sapeva bene che non lo avrei fatto.
«Ovvio!» mentii io, non mi andava di passare ancora per "la ragazzina innamorata". «Quindi dovresti farlo anche tu.» aggiunsi.
Lei annuì, disse un semplice "va bene" nemmeno troppo convinto e io la salutai. Uscii dall'auto, aprii il cancello con le chiavi che tenevo nello zaino e Giorgia se ne andò. Salii velocemente su al primo piano, entrai in casa e mi diressi subito verso la mia camera senza pensare a mia madre che non appena entrai mi venne in contro ma io la evitai e chiusi la porta alle mie spalle. Lasciai lo zaino a terra, accanto all'armadio, lanciai la giacca sulla sedia già colma di vestiti e io mi sdraiai sul letto ancora disfatto.
«Ma ciao eh.» disse mia madre entrando nella mia camera.
«Sì, ciao...» biascicai io senza guardarla, mi tolsi le scarpe e mi misi ancora più comoda su quel letto.
«Com'è andata a scuola? Mi sembri strana. È successo qualcosa?» mi chiese avvicinandosi al letto e sedendosi sul bordo accanto alle mie gambe.
«Niente di che, è stata una noia come al solito.» risposi prendendo il cellulare dalla tasca dei miei jeans e sbloccando lo schermo.
«E allora che cos'hai?» continuò lei, ma io avevo solo voglia di stare da sola.
«Non ho niente, va bene?? Ho solo litigato con dei professori.» mentii io sperando che mi desse retta e se ne andasse fuori.
«E questi capelli?» domandò avvicinandosi a me e passandomi una mano tra i capelli quasi completamente bagnati. «Sei tornata a piedi?»
«Il pullman ha fatto tardi, la fermata era piena di gente e posti al coperto non ce n'erano, adesso puoi andare per piacere?» le spiegai io togliendomi la sua mano dalla testa in modo fin troppo brusco e subito mi pentii di ciò che feci ma non le chiesi scusa.
Mi voltai verso il cellulare e scorsi in modo casuale le varie app che avevo sul cellulare fingendo di essere impegnata a fare altro, sentivo i sensi di colpa farsi strada verso il mio stomaco e fermarsi lì per dei lunghi giri di valzer, ma ero anche nervosa e non ero in vena di raccontarle tutto.
«Va bene, ti lascio da sola. Dopo vieni di là che ti cucino qualcosa.» disse alzandosi in piedi e allontanandosi lentamente da me.
«Non ho fame...» commentai semplicemente voltandomi sul fianco destro e dandole le spalle.
Lei non rispose, di solito perdevamo ore a discutere sul perché non avessi fame, soprattutto in quegli ultimi mesi, ma in quel momento mi lasciò stare e chiuse la porta dietro di se. A me non piaceva discutere con mia madre, lo faceva già abbastanza mio padre e io non volevo minare di più la sua serenità, soprattutto quando lui non era a casa (che era il momento in cui mia madre si sentiva più calma e senza stress). Lei e mio padre litigavano quasi ogni giorno, spesso per i soldi che non c'erano mai, e io cercavo sempre di tranquillizzarla anche se in quel momento feci il contrario, ma non mi andava proprio di tenermi tutto dentro. Avevo voglia di esplodere, voglia di urlare, voglia di strapparmi il cuore dal petto e lanciarlo fuori dalla finestra. Tutta la rabbia che avevo dentro, che provavo per Cristina e per me stessa dopo aver trattato male mia madre, dopo alcuni secondi esplose e sentii delle lacrime bagnarmi il viso.
«Ma vaffanculo!!» esclamai prendendo il cuscino che avevo davanti a me e lanciandolo violentemente a terra accanto alla sedia.
Subito mi voltai a pancia in giù, col viso rivolto verso il materasso, e provai a calmarmi. Tutta quella rabbia non mi sarebbe passata da un momento all'altro, mi conoscevo bene, sarebbe andata avanti per giorni interi. Dovevo dimenticare Cristina, dovevo togliermela dalla testa, ma come cazzo si faceva?? Mentre ero sdraiata su quel letto, tentando di trattenere quelle dannate lacrime, sentii il cellulare vibrare per un istante e subito abbassai la testa verso di esso. Mi voltai verso sinistra, liberando il mio viso dal materasso e alzai il cellulare verso di me. Era un semplice messaggio, un messaggio di Cristina però.
«Ehi, come stai?» mi chiese, ma non appena lo vidi mi sentii di nuovo male e sbattei il telefono sul materasso.
Rimasi per alcuni minuti a fissare un punto indefinito della mia camera e dopo un po' mi misi seduta al centro del letto, ripresi il cellulare e uscii dalla chat con Cristina. Non avevo intenzione di risponderle, non mi andava più di fingere che stavo bene, ma avevo bisogno di fare qualcosa per andare avanti. Andai sulle note del cellulare e lessi le cose che scrissi in precedenza quando stavo male a causa sua. Scrivere mi aiutava, quando sentivo di non poter parlare con qualcuno, o col diretto interessato, scrivevo tutto ciò che pensavo, tutto ciò che avevo dentro. Credevo che un giorno glieli avrei inviati tutti ma quel giorno non sarebbe mai arrivato, quello era il momento giusto per cancellarli.
«Sai qual è il problema? È che si può fare a meno di chiunque, man mano il dolore diventa sopportabile soprattutto se sai distrarti come si deve. Nessuno è insostituibile, compresa io. Nel mondo ci sono tante di quelle persone simili a noi che potremmo facilmente cambiarne una al giorno, ma il punto è che non voglio fare a meno di te. Potrei, dopo un po' diventerebbe anche facile, ma proprio non voglio.» scrissi qualche giorno prima.
In quei giorni, nei due mesi precedenti, lei continuava a chiedermi se volessi continuare a parlarle e mi diceva che se volevo che uscisse dalla mia vita lo avrebbe fatto, ma il punto era proprio che non volevo. Non le inviai quel messaggio, le dissi un semplice "non riuscirei a stare senza di te" e continuai ad illudermi giorno dopo giorno dicendole cose che avrei fatto meglio a tenere per me. In fondo ci credevo sul serio, si poteva fare a meno di chiunque per sopravvivere, ma la differenza era se si volesse o meno fare a meno di qualcuno. Mi asciugai il viso e fissai quel messaggio per altri pochi secondi, alla fine aprii il menu con le varie opzioni ed eliminai quel messaggio passando velocemente a quello seguente.
«Non ho mai avuto abbastanza autostima, non sono mai stata tanto sicura di me, ma quando tu eri con me io mi sentivo bene. Non dovevo lottare contro la mia scarsa autostima, non dovevo fingere sicurezza perché sentivo di stare davvero bene, senza pensieri. Con te accanto mi sentivo felice, con te accanto la mia autostima è cresciuta in un colpo solo e la mia sicurezza è aumentata velocemente. Tu per me eri perfetta e nonostante tutto mi sentivo fortunata ad averti accanto, mi sentivo dannatamente felice, mi sentivo un'altra persona vicino a te, adesso invece mi sento peggio di prima.» quel messaggio lo scrissi una settimana dopo che mi lasciò.
Passavo giorni in cui stavo bene e altri in cui mi sentivo morire, conclusi l'estate sentendomi male quasi ogni giorno. Con lei accanto mi sentii sul serio felice, ogni cosa che dicevo non si fermava prima per un controllo dell'autostima usciva semplicemente dalla mia bocca senza troppi giri, era lei che mi faceva quell'effetto, tutta la sua sicurezza la trasmise anche a me. Dopo aver finito di leggere quel messaggio lo eliminai velocemente senza pensarci troppo, le cose peggiori le scrissi pochi giorni dopo che mi lasciò, quando ero letteralmente distrutta.
«Ogni volta che mi arriva un messaggio spero sempre che sia tu. Per non pensarti mi perdo spesso in varie cose da fare, quando poi prendo il cellulare e noto un messaggio su whatsapp mi faccio subito prendere dal panico, il mio cuore inizia a battere all'impazzata e il mio fiato diventa pesante, inutile dire che quando poi scopro che non sei tu mi sento male da morire. Tutto il mondo mi crolla addosso ogni singola volta che continuo ad illudermi e in quei momenti non posso nemmeno prendermela con te, tu non c'entri, tu mi hai già lasciata. La colpa è mia, la stupida che continua ad illudersi sono io. Dio quanto sono idiota... Ma credo di esserlo ancora di più adesso, ora che ti sto scrivendo tutte queste cose... Sai perché ora sono idiota?? Perché tanto tutto ciò non lo saprai mai, non saprai mai come mi sono sentita, non saprai mai che in fondo ti aspetterò per sempre, non saprai mai nulla perché non t'invierò mai questo messaggio.»
Quel messaggio lo lessi almeno un paio di volte in più di tutti gli altri, dirle quelle cose mi avrebbe liberata tempo prima ma in quel momento era solo memoria in più che occupava il mio cellulare. Non ero più sicura che l'avrei aspettata per sempre, in fondo non ero più nemmeno sicura di essere nel suo cuore.
«Mi sento come un calciatore di una squadra di calcio, una squadra che potremmo definire la tua vita di cui tu sei l'allenatore. Mi alleno tutti i giorni insieme ai miei compagni, mi faccio un mazzo tanto per farmi notare da te, ma nonostante il mio impegno tu non mi dai mai la possibilità di entrare in campo e giocare 90 minuti. Al massimo mi concedi gli ultimi 5, quelli che servono per far rilassare un po' un tuo pensiero, e pensando a me in quei pochi minuti ti distrai. Ma vedendomi appunto per soli 5 minuti continueresti a pensare che la squadra, e quindi la tua vita, vada bene anche senza di me, quindi scusami ma io non ci sto. Non ci sto a perdere più il mio tempo nella tua vita se non mi reputi importante, preferisco che tu mi ceda a qualcun altro, un'altra squadra mi apprezzerebbe sicuramente di più.»
Quel giorno, quando scrissi quel messaggio, mi sentivo particolarmente furiosa con lei. Lo scrissi due giorni dopo la nostra rottura, mi sentivo come se non contassi nulla per lei e volevo che lo sapesse ma non lo inviai. Il mio parlarle per metafore era un modo per farle capire come mi sentivo, ma probabilmente anche se glielo avessi inviato non avrebbe capito. Io seguivo il calcio grazie a mio padre che m'insegnò tutto, spesso andavo anche in una villetta al centro della città che aveva un campetto da calcio, a me piaceva molto a lei no.
«Spero che quando (e se) ripenserai a me tu non ti penta di nulla, spero che tu non abbia rimpianti di nessun genere.»
Quello lo scrissi una settimana prima dell'inizio della scuola, il giorno stesso in cui c'incontrammo sotto casa di Maria e ci baciammo. Con quel bacio continuai ad illudermi anche se con le sue parole crollò tutto ugualmente, non sapevo cosa pensare ma speravo che non si pentisse perché se fosse tornata sui suoi passi io non sapevo se sarei riuscita a mandarla via, e non mi andava di stare male.
«Mi sento una stronza anche quando ho ragione ad essere arrabbiata, quando ho ragione a pensar male di una persona, quando l'unica cosa che dovrei fare è dirgliene quattro e invece resto ferma al mio posto senza dire nulla. Mi sento una stronza perché vorrei ringraziarti per avermi fatto male, perché vorrei dirti che ciò che hai fatto è servito a qualcosa: a farmi diventare ancora più insicura, a far creare intorno a me muri ancora più alti e robusti, ma soprattutto ha fatto crollare del tutto la fiducia che avevo nel prossimo. Mi sento una stronza perché vorrei dirti queste cose: "sto bene, finalmente sto bene anche senza di te. Questa cosa mi è servita, ma servita sul serio, perché mi ha fatto capire una cosa: per quante bugie io possa dire ce ne sarà sempre una a cui non riuscirò più a credere come prima, quella dello star bene da sola. Stando con te ho capito che prima di conoscerti fingevo di star bene, fingevo che non m'importasse di nulla e invece m'importava di tutto. Ma grazie a te adesso posso andare avanti. Forse avevi ragione, non sei fatta per queste cose ma io voglio sul serio tutto questo. Voglio qualcuno che mi ami, qualcuno che apprezzi tutto ciò che faccio, che rida quando magari faccio una pessima figura davanti a lei, qualcuno che mi faccia sentire davvero speciale, e vorrei ricambiare tutto ciò, vorrei far star bene l'altra persona. Lo hai detto tu: magari troverò qualcun'altro, m'innamorerò e ti dimenticherò. Ma sai che c'è? Tutto questo non è così scontato, il mondo è bello grande, di gente ce n'è molta, e io spero sul serio di trovare questa persona. Magari non troverò nessuno come te, perché continuo a pensare che non ci sia nessuno come te, ma sarà meglio così, io non voglio qualcuno che si stufi di me da un giorno all'altro, quindi se non sarà come te sarà meglio!!", ecco... Quelle ultime frasi mi fanno sentire un'autentica stronza e non posso farci nulla.»
Quando confessavo a Cristina che stavo male, quando le dicevo che mi mancava, lei mi rispondeva che avrei di sicuro trovato qualcun'altro e quando lo diceva non volevo crederle, ma in fondo aveva ragione. L'unico intoppo ero io, ero io che non avevo più voglia di innamorarmi, non volevo più lasciarmi andare completamente con qualcuno quindi mi tenevo alla larga da possibili nuove conoscenze. Scrissi quei messaggi per sfogarmi, avrei dovuto mandarglieli ma avevo paura di giocarmi anche l'ultima eventuale occasione che avevo di stare con lei, nel caso ci fosse stata. In quei mesi continuai a sperare in un suo ritorno ma in quel momento ero stanca di sperare, ed ero stanca di dare tanta importanza ad una persona che non mi considerava minimamente. Rileggendo quei messaggi, prima di cancellarli, sentii l'odio crescere dentro di me e non era solo per Cristina, era anche per l'amore in generale. Non avrei più provato a conquistare nessuno, mi sarei tenuta lontano da chiunque, non volevo più rischiare di stare male. Le cose molto spesso però capitavano quando si smetteva di aspettare, quando si pensava ad altro, e fu ciò che successe quella sera.

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