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Lottie
Gratto con estremo nervosismo anche l'ultima pellicina sottile dal mio pollice sinistro, provocando ancora una volta un leggero bruciore dovuto al contatto con la bocca, per succhiarne via la linea di sangue.
È questo che faccio da dieci minuti a questa parte per l'ansia, ma di questo passo mi ritroverò senza dita.
«Lottie! Bambina mia!» grida in un sussurro mamma mentre mi viene in contro.
Subito dietro di lei, appare papà.
«Tesoro. Ci hai fatto spaventare... Ma racconta, che ci fai qui? Che è successo?»
«Aspetta caro, vado prima a prendere del thè caldo alle macchinette. Ho bisogno di calmarmi» interviene nuovamente mamma, e le credo: ha mani e gambe ancora tremanti, proprio come la sottoscritta.
Li osservo allontanarsi verso la "saletta caffè", quando noto una donna ed un uomo entrare con affanno.
Si dirigono al reception, parlano gesticolando molto, sudando, la signora sta pure piangendo.
Poi i loro volti mi sono più chiari, non appena la ragazza dietro il centralino mi indica.
Volti sciupati dalla disperazione, dalla paura, dall'ansia, dal pianto, e dal dolore di non sapere.
Identifico nell'uomo, molti dei lineamenti di Mark. È suo padre, non ci sono dubbi.
«Signorina, mi chiamo Trevis. Lei inveve è mia moglie, Olivia...» schiarisce la voce, mentre alle sue spalle la consorte rimane tacita tra i singhiozzi, «Ci dispiace presentarci a questo modo, ma sei tu la ragazza che ha trovato nostro figlio?» domanda con voce solenne, ma ricca di preoccupazione.
«Si, signore. Sono-» mi blocco.
Sono...?
Sono una sua amica?
Una sua compagna di classe?
O sono la causa del suo stato attuale?
«... Lottie» concludo senza davvero dire nulla.
Come posso anche solo farmi vedere dai suoi genitori?
Avrebbero tutti i diritti per sbattermi in faccia la feccia che sono.
Se sapessero che...
«Non ci hanno ancora detto nulla, se non che è qui. Tu puoi dirci di più?» continua sedendosi al mio fianco con la moglie, facendomi quadi sussultare.
«Io... Io non so».
Mi sento così colpevole...
«Certo, probabilmente non hanno detto nulla nemmeno a te. Scusami».
Perché si scusa?
Mi sento così male?
«Speriamo non sia nulla di grave» ridacchia in preda all'ansia.
Mi viene...
Porto in fretta le mani verso la bocca, ma questo non basta.
È troppo tardi per impedire il mio conato di vomito.
La prima ad accertarsi su come mi sento, è proprio la madre di Mark, il che peggiora il mio stato.
Sento tutto intorno a me, girare.
Vedo la receptionist chiamare qualcuno dal telefono, poi noto avvicinarsi mamma e papà con i piccoli bicchieri di thè bollente sulle mani, infine a terra.
Maledizione.
Perché sto male io? Perché guardano me?
Non merito il vostro soccorso.
Sono io che ho causato tutto.

Per una Semplice Cifra SbagliataDove le storie prendono vita. Scoprilo ora