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Mark
Sferro un paio di colpi sul suo volto.
La rabbia mi divora, insiste perché io continui, ma la ragione d'un tratto torna in me appena sento i guaiti disperati di Jill, che terrorizzata non comprende la situazione... Non comprende perché io stia esercitando tale violenza.
Perfino lei ha capito che non è la cosa giusta. Che è tutto sbagliato. Che io non sono così.
«Che c'è? Sei già stanco?» sogghigna Steve a fatica per il dolore.
Il desiderio impellente di continuare a martorargli il volto si impossessa nuovamente di me, ma l'asfalto ruvido sulle mie nocche rosse, cessa una volta per tutte la mia furia.
«Sei un vigliacco anche durante i confronti corpo a corpo, eh?» continua, esercitando pressione sul mio busto, per allontanarmi da sé.
Non ha tutti i torti. Sono stato un vigliacco fin dal principio. Avrei solo dovuto essere sincero con lei, sincero con Steven, e soprattutto sincero con me stesso.
Avevo così paura di perdere la sua amicizia, la mia faccia e gli occhi di lei sui miei per la prima volta... Che alla fine, mentendo ho preso tutto.
Preso come sono dal biasimarmi non mi rendo conto di essere nuovamente a schiena a terra, con lui a cavalcioni sopra di me.
I suoi colpi sul mio viso sono pontenti, riesco a vederlo, eppure la sensazione sulla mia mandibola è docile. Ogni volta che il suo pugno incontra la pelle o un osso, immagino lo schiocco sonoro, ma quel che sento sono solo piccoli colpi in lontananza.
Continuo a girare e rigirare il volto dopo ogni suo gancio, per poterlo fissare in quegl'occhi pieni di odio, fino a non riuscire più a distinguere la luce, le figure, ed i colori.
«Merda!» sento con l'udito ovattato, mentre il mio corpo si fa più leggero ed i suoi passi veloci, sempre più distanti.

Lottie
Mi rialzo in piedi.
Sfioro le guance con l'intenzione di asciugare le ultime lacrime, già secche però sulla mia pelle bollente.
Mi fisso attorno, in cerca di identificare il posto in cui mi trovo, quando noto un cane girovagare con fare allarmato.
Incontra e si avvicina ad un passante, un anziano signore, che però lo scaccia malamente con il bastone, infastidito dal continuo guaito dell'animale.
«Vecchio bastardo» sussurro a denti stretti.
Come può trattare a quel modo una povera creatura già sofferente.
Lo vedo dai suoi occhi umidi, dalla camminata stremata, dal pelo arruffato e sporco di terra, come il naso secco.
Mi avvicino per dargli aiuto, con la cautela che si può avere con un animale randagio.
Si siede a terra, esausto, mentre cerca di comunicarmi con gli occhi il dolore che prova.
È calmo, e impaurito.
Trema talmente tanto da farmi provare sofferenza al posto suo.
Gli sfioro il pelo, constatandone la durezza provocata dalla terra secca sulle punte.
Lamenta con un filo di voce appena le sfioro l'addome. Chissà quanta gente l'avrà allontanato a quel modo, se non peggio del vecchio.
Carezzo il suo corpo per dargli conforto, fino a trovare le dita incastrate nel collare nascosto dalla lunga pelliccia.
Non è randagio.
Noto solo ora anche la piccola stringa di un guinzaglio che dev'essersi rotto durante il suo viaggio.
«Ti sei perso?» domando, quasi speranzosa che possa rispondermi.
Sorprendentemente sembra capire qualcosa, tanto da balzare sulle zampe, con non poca fatica.
Inizia a ululare con forza, mentre indica ogni tanto con il muso, dritto avanti a sé.
Prende a muoversi zoppicante, e tacita decido di seguirlo.
Sembra sapere benissimo dove andare.
Attraversa la strada, deserta vista l'ora tarda. Percorrere per alcune centinaia di metri il lungo marciapiede, illuminato solo da un paio di lampioni.
L'atmosfera è decisamente inquietante.
Ma la frustrazione che provo ancora in corpo per gli avvenimenti accaduti prima, cancellano ogni mio timore, tanto da rendermi consapevole della mia spericolatezza.
Sto seguendo un cane nel cuore della notte, in un vicolo buio e deserto.
Il telefono vibra per l'ennesima volta, e finalmente mi decido a rispondere.
Noto nello schermo la parola Mamma, e d'istinto porto lo sguardo sull'ora: le 21.37 .
«Lottie! Piccola figlia sciagurata! Hai idea di che ora sono?!...» yep, ora lo so, «... E quando pensi di rientrare in casa? Sai che non ho problemi sul fatto che tu esca, ma avvisami. Hai idea di quanto sia in pensiero? Dove sei vengo a prenderti!» vorrei saperlo pure io.
Nel frattempo il mio amico a quattro zampe si arresta di  colpo, puntando il naso qualcosa che non riesco a distinguere, è forse spazzatura?
«E sappi che sei in punizion-».
Si interrompe appena il mio grido la raggiunge dall'altra parte della linea.
Col il telefono ben saldo all'orecchio, ma la mano tremante, cerco di emettere qualche parola.
«Tesoro, che succede!? Tesor-» «M-mamma, d-devo riattaccare. Un... Un ambulanza, ho bisogno di un'ambulanza»
«Lottie, che succede? Che stai dicendo? Stai male?... Tesoro, rispondi ti prego»
«T-ti chiamo dopo, ora devo chiamare con urgenza un'ambulanza» ripeto sempre più confusa e terrorizzata.
La sento dire con affanno qualcos'altro, ma non la lascio finire che riaggancio.
Senza esitazione apro google maps per rintracciare la mia posizione, poi chiamo il primo soccorso.
Ascolto l'operatore, fornisco tutte le informazioni possibili sulla situazione, e sul luogo, per dar loro modo di arrivare.
«Arriverá in non più di 5 minuti. Nel frattempo le chiedo di non muovere il ragazzo, potrebbe rischiare di peggiorare le cose. Attenda lì»
«D-d'accordo».
Quando la chiamata termina, l'adrenalina in corpo, lascia spazio alla disperazione.
Non mi sbaglio, è proprio «Mark?».
Provo a chiamarlo, ma non ricevo alcuna risposta.
Il cane si sdraia al suo fianco, mentre lecca dal suo volto il sangue ormai secco... Che ora capisco essere in parte sul manto dell'animale. Non è sporco di terra, ma del sangue di lui, ormai seccato.
Da quanto sta cercando aiuto?
Da quanto lui è ridotto così?
Perché è ridotto cos-...
Lo stomaco si contorce in un nodo di budella appena il solo pensiero mi sfiora.
No... Non può essere stato Steven, giusto?
«Mark?» continuo, senza alcun risultato.
Le lacrime iniziano a scivolare copiose sulle guance già rigate, poi finalmente ecco la sirena e le luci dell'ambulanza farsi sempre più vicine.
Scendono due uomini, uno corre subito verso il corpo immobile di Mark, l'altro afferra la barella.
«Signorina per favore, si sposti!» incita con fretta uno dei due.
Devo... Devo reagire!
Non posso essere un peso, non ora che Mark ha bisogno di me.
Mi alzo con forza e rapidità che non pensavo di avere.
Lascio i due uomini agire indisturbati.
«Lei è una patente?»
«No, sono una compagna di classe».
Mi fissa perplesso a questa risposta, ma del resto è l'unico appellativo che posso darmi, non ho il diritto di potermi considerare qualcos'altro, non quando per causa mia lui... Lui è ridotto a questo modo.
«Ha visto quel che è successo?»
«No, io... L'ho trovato così».
Sembra ancora più confuso, ma non pone altre domande.
«Le devo chiedere di salire con noi. Una volta in ospedale chiameremo un parente da telefono cellulare del ragazzo».
Faccio come dice, poi sento il piccolo lamento dell'animale riportarmi alla realtà.
«Mi scusi, anche lui avrebbe bisogno di cure, ed è il cane del ragazzo» credo, ma non vedo altre spiegazioni al comportamento così attaccato del cane. Non credo si comporterebbe così per un estraneo.
«Avete anche un ambulatorio veterinario, no? Non darà problemi, starà seduto tranquillo» sono sicura sarà così. Non riesce quasi più a reggersi in piedi.
L'uomo sospira con un sorriso, rassegnato forse dalla mia testardaggine.
«Va bene, ma siederà davanti con te, George. Non abbiamo sufficiente spazio dietro. Andiamo!».
Accomoda con cautela il cane accanto al conducente, poi apre il portellone del retro dove giace Mark.
In un lampo ci troviamo a sfrecciare per le strade.

Scrivere questo capitolo mi ha fatto sudare, ma spero possiate apprezzarlo.
Fatemi sapere nei commenti che ne pensate 😔

Per una Semplice Cifra SbagliataDove le storie prendono vita. Scoprilo ora