Aprii gli occhi, cullata da quel leggero vento primaverile che entrava dalla finestra semiaperta.
Mi stiracchiai e mi alzai sbadigliando, avvicinandomi alla finestra per affacciarmi e godermi quello splendido panorama che dava su quel bellissimo parco. C’era un bellissimo laghetto, il sottofondo del cinguettio degli uccelli, e…
«Dai, porca troia!»
Non è possibile. Ma dai cazzo, proprio questa volta che stavo riuscendo a scrivere un inizio decente, dovevo essere interrotta da qualche coglione che si metteva a bestemmiare alle nove del mattino. Ma fanculo. Dai! «Dai! Esci, esci, esci!» E seguirono dei versi di sforzo. Ma che cazzo…? Sembrava stesse cagando.
Ovviamente non mi ci volle molto per riconoscere quella voce.
Harry. Harry Edward Styles. Mio vicino di casa da ormai diciassette anni. Suo padre, George, e mio padre, Robby Ray, erano migliori amici da praticamente tutta la vita, e quei due rincoglioniti, per non separarsi ‘mai’, anni prima decisero di andare a vivere in due case vicine. Marò, sembravano due migliori amiche zitelle che all’asilo avevano già programmato la loro vita.
Ma George, a causa del suo lavoro, qualche anno prima fu costretto a trasferirsi all’estero. Harry invece era rimasto qui, dicendo che poteva cavarsela da solo. Peccato che oramai aveva vent’anni e che quindi era maggiorenne, altrimenti se ne sarebbe andato fuori dalla minchia, una volta per tutte.
Che ingiustizia. Mio padre invece aveva un lavoro a cui non servivano trasferimenti o cazzi vari. Ed era davvero un peccato, perché l’avrei sicuramente seguito. Tutto, pur di non aver intorno Harry.
George era un uomo magnifico, era come un secondo padre per me. Suo figlio invece era il contrario, l’esatto contrario. Provate a immaginare la più grande testa di cazzo del mondo. Bene, moltiplicatela per sette, sommatela a quindici, e otterrete Harry Styles.
Tornando a noi, mi affacciai all’altra finestra, quella che dava direttamente sulla finestra della camera di Harry: «Harry?»
«Che vuoi?» Sentii una voce in lontananza, seguita dagli stessi versi di prima.
«Potrei sapere che minchia stai facendo?»
«Sono cazzi miei.»
Ma tu guarda questo pezzo di merda.
«Porca troia, falso allarme.»
Si appoggiò al davanzale della finestra e notai che era tutto sudato. Prima che aprissi bocca per chiedere spiegazioni, mi interruppe: «Non usciva il toast.»
Non usciva il toast? Ma non usciva da dove? Cos’è, una specie di nuovo gioco erotico?
Aggrottai la fronte: «In che senso?»
Scosse la testa: «Secondo te? Non usciva il toast dal tostapane.»
Un tostapane? Ma dove cazzo era il tostapane?: «E per quale fottutissimo motivo tu tieni un tostapane in camera?»
«Oddio. Ma fatti i cazzi tuoi, no? Sei sempre lì a vedere ciò che faccio io.»
«Senti Harry, di te non me ne frega un cazzo amaro. So solo che io ero qui tranquilla a farmi beatamente i cazzi miei, quando qualcuno si è messo a gridare ‘Esci!’ e a fare dei versi strani. Come posso non pensare male? E inoltre, mi vieni a dire che ce l’avevi con il tostapane. Voglio dire, spiegami il senso. Che minchia hai in testa?»
«Non lo so Viola, fatti i cazzi tuoi.»
«Ma fanculo.»
«Ma vacci tu.»
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The shit is the less problem
FanfictionQuesta ff non è mia, l'ho trovata su efp e l'ha scritta jawaadskebab. Leggetela fa morire dal ridere fidatevi.