At school.

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Aprii gli occhi, e mi alzai con il busto per stiracchiarmi, ma un dolore immediato alla schiena mi costrinse a ridistendermi lungo il divano. Dopo aver bestemmiato in aramaico antico, riuscii a sedermi tenendo una mano sulla schiena, e, non appena aprii gli occhi, scorsi Harry sulla soglia della porta che mi guardava con un sorrisetto soddisfatto.

Che minchia aveva da ridere? La sera precedente avevamo litigato, e lui adesso era contento. Cioè, anche io ero contenta se non parlavamo, però, voglio dire.

Lasciamo perdere.

«Che minchia hai da sorridere?»

Fece spallucce e sorrise ancora di più lasciandomi intravedere i denti.

«Invece di stare lì come un coglione, renditi utile e dimmi che ore sono.»

«Diciamo che è l’ora di andare a scuola.»

Merda è vero, era lunedì. «Grazie al cazzo. Che ore sono?»

«Mancano esattamente dieci minuti all’inizio delle lezioni.»

Oh, minchia. Per un momento mi era sembrato di essere in ritardo, e invece…

Occazzo.

«Cosa?!»

«Buona fortuna.» Dopo avermi fatto l’occhiolino uscì di casa e mise in moto l’auto.

Brutto figlio di pu…vacca.

Cercai di alzarmi velocemente, ma caddi a terra ribaltando anche il tavolino. Dopo aver imprecato in rumeno, mi rialzai immediatamente e, nonostante il mal di schiena, trovai la forza di arrivare a scuola.

I corridoi erano deserti, segno che oramai tutti erano già in classe. Bene, ero nella merda.

Tutto per colpa di quell’essere riccioluto con un nome che fa cagare le pigne. Oltre ad avermi fatta dormire sul divano, mi aveva svegliata tardi. Anzi, neanche quello. Stronzo.

E pensare che la situazione sarebbe continuata allo stesso modo per altre tre settimane. Giuro che mio padre non mi era mai mancato così tanto fino a quel momento.

Mentre camminavo velocemente sorpassando le continue rotture di coglioni da parte dei bidelli, pensavo al professore che quella mattina avrebbe dovuto fare supplenza, e sperai vivamente che non ci fosse la professoressa di matematica.

Quella donna mi odiava. Solamente perché il primo giorno di scuola della prima liceo, le avevo detto che per me la matematica era simpatica quanto un mandarino in culo, e che sarebbe stata totalmente inutile per il mio futuro di accarezzatrice di materassi professionista.

Come diceva Mr. Dinklage, il professore di educazione fisica, una volta che sai contare fino a sessantanove sei a posto.

Appena arrivata di fronte alla porta della mia classe, tirai su la manica destra della felpa per vedere l’ora, ma solo in quel momento ricordai che non avevo mai portato un orologio in vita mia. Sbuffai maledicendo mentalmente tutti i venditori di orologi, e sussurrai unendo le mani: «Prometto che aiuterò le vecchiette ad attraversare la strada o a portare la spesa, prometto che studierò molto, prometto che non dirò più parolacce, che scorreggerò e rutterò di meno, ma per favore, fa’ che in classe non ci sia la Griffith, ti prego.»

Abbassai la maniglia, e iniziai ad aprire la porta con estrema lentezza. Era per fare scena, così tutto sembrava svolgersi a rallentatore.

«Potrei sapere che stai facendo?»

La Griffith. Era la voce della Griffith.

Fanculo a tutti. Se prima c’era la minima speranza che potessi aiutare le vecchiette ad attraversare la strada o a portare la spesa, a studiare tanto, a non dire parolacce, a ruttare e scorreggiare di meno, ora si era spenta del tutto.

Spalancai la porta e appena l’incarnazione di Satana capì che ero io, socchiuse gli occhi sospirando: «Signorina Hastings, l’ennesimo ritardo.»

Sbuffai leggermente sperando che quel troione non mi avesse sentita, e dissi il più cordialmente possibile: «Questa volta non è così esagerato, insomma, l’altra volta sono entrata addirittura all’ultima ora e…»

«Viola, venti minuti di ritardo.»

Mi guardava.

La guardavo.

«Ora voglio una scusa plausibile.»

Beh, per una volta avrei potuto dire la verità, la scusa di Harry era abbastanza plausibile.

«Vede, mio padre…»

«Sappi che questa volta non accetterò la scusa di tuo padre che ha comprato un drago da un vucumprà fasullo, e che hai ritardato perché ti aveva involontariamente sputato del fuoco sulla mano, e tu sei stata costretta a correre in ospedale.»

Sorrisi al ricordo di quella scusa, era così geniale. Pensate che mi ero anche fasciata la mano destra per rendere tutto il più realistico possibile.

«No, questa volta il drago non c’entra nulla, l’abbiamo dato via. Aveva sempre il raffreddore, poverino. - guardai un punto indefinito davanti a me - mi manca così tanto quel ragazzo, Norberto.»

Spostai lo sguardo sulla Griffith, e vidi che mi stava guardando.

La guardavo.

«Tralasciando il fatto che tu abbia avuto il coraggio di chiamare un drago Norberto, non ho voglia di scherzare.»

Capii che forse era il momento di smetterla, così mi decisi a dire la verità: «Mio padre è in viaggio per lavoro, e per tre settimane io sarò costretta a stare dal mio vicino di casa. Questa mattina, quello str…avagante ragazzo, si è dimenticato di svegliarmi e così sono arrivata in ritardo.»

Mi guardava.

La guardavo.

«Uhm, questa è l’ultima volta che la passi liscia, chiaro?»

«Non ruvida?»

«Eh?»

«Lei mi ha detto che l’ho passata liscia, e io le ho detto che la passo ruvida.»

Mi guardava.

La guardavo.

Tornò a guardare il libro che teneva sulla cattedra: «Ok ragazzi, stavamo dicendo che gli assiomi…»

Si, fanculo te e gli assiomi. Qualunque cosa siano.

Andai a sedermi al mio banco, e iniziai a pensare ai cazzi miei, sentendo in sottofondo l’insopportabile voce della Griffith. Pensai al fatto che era la prima volta in tutta la mia vita che ero contenta di trovarmi a scuola, perché a casa avrei trovato Harry. Che tristezza. Io che ero contenta di stare a scuola? Maddai, piuttosto avrei preferito farmi inculare ripetutamente da un frullatore o da un tostapane acceso.

Appena pensai al tostapane, mi si presentò in mente la faccia di Harry. Visto? Pensavo sempre ad Harry. Era una preoccupazione talmente elevata che mi tartassava ventiquattro ore e mezza su ventiquattro.

Ad un tratto, la voce della Griffith mi risvegliò: «Hastings!»

Dallo spavento, gridai: «Oddio!»

Mi guardavano tutti.

Li guardavo tutti.

«Viola, sei presente?»

«No, passato.»

The shit is the less problemDove le storie prendono vita. Scoprilo ora