Capitolo 7

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Bucky non chiuse occhio quella notte, mille pensieri vorticavano nella sua mente ed ogni volta che provava ad annullarli o che chiudeva gli occhi vedeva le immagini di ciò che l'Hydra gli aveva fatto. Se Iris non gli avesse detto che "la porta era aperta", sarebbe potuto cadere di nuovo vittima dell'Hydra? Gli avevano tolto quella cosa dal cervello, certo, ma con quella specie di varco quanto ci avrebbero messo a rimettergli tutto? Forse solo pochi giorni, forse solo qualche ora.

E poi pensò ad Iris, a quanto era strana. Voleva dimostrarsi forte, impassibile, insensibile, ma avrebbe impedito la morte di quel ragazzo e glielo aveva detto chiaramente. Credeva che quello sguardo non sarebbe mai stato confermato da una parola o da un gesto, ed invece il mattino seguente lei gli aveva spontaneamente confessato che lo avrebbe fatto senza che lui accennasse minimamente al discorso e ancora non riusciva a comprendere il motivo di tanta onestà da parte sua.

Poi aveva accettato di aiutarlo e si era confidata con lui, e questa era una cosa davvero molto rara. Certo, lui l'aveva messa alle strette, ma lei non si era minimamente opposta. Forse il desiderio di aiutarlo, per un attimo, aveva preso il sopravvento, o forse si stava solo illudendo che lei fosse più buona di quanto non volesse realmente ammettere.

Però, si fece una promessa, e l'avrebbe mantenuta proprio come lei faceva con le sue: se anche un briciolo di bontà risiedeva nel suo cuore, lui avrebbe fatto di tutto per tirarlo fuori affinché lo mettesse al servizio degli altri e non ripetesse gli stessi sbagli del soldato che lui era stato e che ancora lo tormentava.

[...]

Erano circa le nove quando Iris decise di alzarsi, sotto lo sguardo vigile di Rock che la seguiva in cucina. Quella mattina non aveva voglia di cucinare e quindi si limitò ad una tazza di cereali al miele, perché quelli al cioccolato li detestava. Ne lanciò un paio al volo a Rock che li prese e li sgranocchiò scodinzolando, facendole accennare un sorriso. Proprio in quel momento il soldato fece il suo ingresso, silenzioso come suo solito.

«Buongiorno.» le disse, facendola voltare di scatto. «Sei così silenzioso quando cammini, un giorno mi farai venire un infarto.» ironizzò la ragazza «Vuoi dei cereali?» continuò, ma lui fece segno di no con la testa, sedendosi su una delle sedie di fronte a lei. «Sei ansioso?» domandò sperando di fare almeno un po' di conversazione per smorzare la tensione che si stava creando, lanciando un altro po' di cereali al suo cagnolino. «No, so che puoi farcela. Mi hai dato la tua parola.» lei sorrise di rimando a quell'affermazione.

«Sembra quasi un ricatto, questa cosa delle promesse.» spiegò.

«Conosco il tuo punto debole, dovrò anche trarne qualche vantaggio.» si difese il soldato.

«Bene, allora sarà meglio strappare via questo cerotto una volta per tutte, senza prolungare ancora l'attesa.» prese l'iniziativa, posando la tazza nella lavastoviglie. «Aspettami sul divano, arrivo tra un attimo.» continuò.

[...]

La corvina raggiunse il soldato sul divano, spiegandogli cosa avrebbe dovuto fare.

«Allora, Soldato, adesso devi collaborare anche tu: devo congiungere le nostre fronti, così il collegamento sarà ancora più stabile e magari riuscirò a recuperare anche qualche minuto, che potrebbe essere prezioso. Mi serve che tu non fiati, non so se vedrai qualcosa o la vedrò io, quindi non so a cosa stiamo esattamente andando in contro. Se ciò che vedi non ti piacerà, cercherò di farlo durare il meno possibile, ma non devi assolutamente bloccare la tua mente, perché non so se potrebbe portare problemi anche a me. Ultima cosa, ti imbarazza se mi siedo su di te?» probabilmente non aveva mai fatto un discorso così lungo con il moro, ma quelle cose erano davvero essenziali. «No, tranquilla. Sono pronto.»

Lei si mise su di lui, mettendo le gambe ai lati delle sue. Prese il volto del soldato con entrambe le mani, e fece toccare le loro fronti. A quel contatto ebbe una sorta di scarica, ma si disse che era tutto normale. Il moro non aveva ancora mosso un muscolo, ma vedendo che lei era ancora rigida poiché cercava di toccare il suo corpo il meno possibile, le mise le mani sui fianchi e la attirò su di lui, affinché si appoggiasse sulle sue gambe. «Non credo di dover essere l'unico a rilassarsi.» giustificò quel gesto. «Shh.» fece lei di rimando, iniziando a concentrarsi. Sperò che lui avesse gli occhi chiusi come lei, altrimenti l'avrebbe vista arrossire.

Vide un lampo bianco e poi una luce che illuminava solo una parte di stanza. Al centro di questa vi era una sedia con un uomo girato di spalle. Tentò di parlare, ma dalla sua voce non uscì alcun suono. Che fosse circondata dal vuoto? Non sapeva cosa fare, esattamente. Decise di dirigersi verso l'uomo, così lo raggirò e lo raggiunse. Aveva il capo chino, ma i suoi capelli erano inconfondibili: era il Soldato. Lui probabilmente notò la sua presenza, così alzò lentamente lo sguardo, ma ciò che vide la lasciò senza fiato: Dal collo si irradiavano vene di un nero pece che pian piano tentavano di arrivare al volto, così capì quello che avrebbe dovuto fare: assorbire quello sporco per ripulire il soldato fino alla fine. Si guardò intorno un'ultima volta e vide uno spiraglio di luce sul pavimento completamente nero per colpa dell'oscurità: la porta che avevano lasciato socchiusa, avrebbe dovuto chiuderla lei, anche se non si aspettava che la sua metafora fosse così reale. C'era davvero una porta!

Appena toccò l'uomo questo si irrigidì e penso che il moro non si stesse attenendo ai suoi ordini, ma poi lo vide rilassarsi ed allora agì.

Tutto il dolore che il soldato aveva provato, tutto il nero e lo sporco che avevano preso il possesso su di lui, stavano passando nelle sue vene e lei sentiva un dolore straziante. Anche il suo corpo ne risentì, perché quel dolore non era nella sua testa, ma era terribilmente reale: iniziò a sanguinare dal naso e la sua vista iniziò ad offuscarsi, ma non poteva cedere. Se avesse ceduto, sarebbe rimasta intrappolata lì a tempo indeterminato. Richiamò tutte le sue energie e completò la guarigione del moro, che adesso sembrava così simile a quello che aveva davanti tutti i giorni. Lui la guardava senza parlare, ma i suoi occhi, il suo sguardo... Iris pensò che fosse una delle cose più belle che avesse mai visto. A fatica si alzò e si diresse verso l'uscita, barcollando come il peggiore degli ubriachi. Le forze la stavano abbandonando, così uscì praticamente gattonando a fatica, ma con l'ultimo briciolo di forza che le era rimasto, chiuse quella dannatissima porta e la sigillò, poi vide tutto nero.

Quando tornò in sé, prese una boccata d'aria come se non respirasse da secoli, insieme al moro. Il naso stava sanguinando anche nella realtà e si sentiva spossata, anche se molto meno di prima. Si alzò di scatto per prendere un fazzoletto, ma un forte capogiro la colpì, si sentì cadere e si abbandonò a quella condizione, perché sentiva che non era in grado di impedirlo, di muoversi.

Il pavimento, però, non lo sfiorò nemmeno. Il Soldato era riuscito a prenderla e lei sentiva il calore di un braccio ed il freddo metallico dell'altro oltre la sua maglietta che ancora si ostinava ad usare come pigiama.

«Ci sono riuscita, io l'ho mant-» Non riuscì a completare la frase, poiché un senso di vuoto la investì e vide, ancora una volta, tutto nero.

It cannot be all there | Bucky BarnesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora