CAPITOLO QUINDICI

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"Usciamo..."
La sua voce era risuonata dopo ore di completo e costante silenzio, tempo nel quale nessuno dei due aveva avuto il coraggio di parlare, completamente offuscato da timori e pensieri frenetici. Eppure, nonostante il silenzio fosse stato padrone di quei lunghi momenti, la presenza di lui c'era sempre stata. Lui era rimasto vicino a lei, ad abbracciarla con apprensione ed amore, come un fratello consapevole e responsabile. Le aveva tenuto la mano stretta tutto il tempo, placando i suoi tremori dettati dalla paura, e l'aveva cullata con affetto contro il suo petto, totalmente concentrato nel'aiutarla.
"Cosa?"
Le parole di lui l'avevano sorpresa. Dopo tutto quel tempo pieno di mutismo, lui aveva esordito con quella proposta netta, molto più somigliante ad un obbligo che ad una domanda gentile.
"Dobbiamo. Non possiamo restare qui all'infinito, Gwen" le aveva mormorato all'orecchio Scott, cercando di mantenere il proprio tono di voce pacato, nonostante nascondesse oltre esso una costante tensione. Erano rimasti rinchiusi in quel nascondiglio probabilmente un intero giorno. Il tempo gli era passato di fronte agli occhi infinito, ed oltretutto immaginava che ormai, chiunque avesse assediato la casa, se ne era andato.
"Ma ho paura..." aveva risposto sincera la bambina, nascondendo il viso nel petto giovane di lui. Erano solo due bambini, completamente estranei a cosa effettivamente significasse la morte, la felicità e tutte quelle altre possibilità che, sin dalla nascita, li erano state negate.
"Ma io sono qui, no? Non devi avere paura, Gwen..." l'aveva esortata lui, sorridendole nel buio. L'aveva sentita annuire, seppur dopo qualche secondo di titubanza, ed aveva poi aperto la porta del piccolo nascondiglio.

Tutto ora se lo ripeteva Scott, che se solo avesse saputo che una volta uscito avrebbe trovato i corpi privi di testa dei loro cari, non sarebbe mai uscito da quel piccolo stanzino.

Il giorno dopo giunse velocemente, troppo a parere della giovane recluta, incredibilmente in ansia alla sola idea di dovere incontrare i ribelli. Era inequivocabile: stavano correndo un enorme quanto fondamentale rischio. Gwen e tutta la resistenza necessitavano disperatamente di nuovi uomini, eppure non era così certo il fatto che questi -tanto popolari e ricercati- ribelli si sarebbero tanto facilmente piegati dalla loro parte. La sola cosa che era rimasta all'intero gruppo era qualche briciola di speranza, ahimè decisamente scarseggiante. Ormai il miracolo era divenuto sopravvivere, e non più evadere. Adesso tutto stava iniziando a farsi sempre più intricato e, nonostante nessuno lo avesse ancora detto apertamente, nel cuore di ognuno aveva iniziato a primeggiare con prepotenza ed esuberanza una costante inquietudine.
I Gentiluomini potevano fare irruzione nell'appartamento da un momento all'altro, nelle strade i repressori erano perenni e c'erano poi altre centinaia di diversi generi di guardie, tutte incredibilmente pericolose. Duncan, forse, sarebbe riuscito ad aiutarli ancora per qualche tempo, ma presto al dipartimento centrale avrebbero notato come un morto di fosse fatto tanto spesso vivo, ed avrebbero ribadito l'uccisione del rinomato repressore.

"Sì?"
L'uomo che aveva aperto la porta ai ragazzi, aveva semplicemente domandato quello. Sembrava decisamente calmo, ben poco spaventato alla sola idea che i giovani di fronte a lui potessero avere idee bellicose nei loro confronti. Thomas si fece avanti.
Scott, Duncan, Gwen e la recluta si erano diretti all'indirizzo al quale le lettere facevano con più frequenza riferimento. Avevano lasciato il resto della resistenza dentro l'appartamento, con il severissimo ordine di mantenere il silenzio. 
Avevano bussato un paio di volte alla porta e, nonostante in un primo momento nessuno era parso intento ad aprire loro, si era poi fatto vivo un uomo alto e distinto. I capelli erano neri ed ordinati ed il viso contratto in un'espressione seria ed intransigente. Thomas, dopo essersi fatto più vicino, gli aveva porto le lettere con attenzione. L'uomo le aveva semplicemente guardate, probabilmente accertandosi del mittente, per poi farli entrare semplicemente, senza aggiungere nulla.
I quattro ragazzi si mossero dentro il locale diffidenti. Si guardarono intorno, notando come l'interno non rimandasse affatto ad una possibile base ribelle, quanto, piuttosto, ad un comunissimo appartamento perfettamente omologato a tutto il resto. Duncan si accostò presto all'amico, molto diffidente.
"Sicuro che questo sia il posto?" gli domandò con un filo di voce all'orecchio. L'altro annuì immediatamente.
"Se così non fosse stato... Avrebbero fatto qualche domanda... Credo"
"Ecco... Li?" intervenne una voce estranea, decisamente confusa dalla presenza di accompagnatori al fianco della recluta. I nuovi arrivati alzarono il volto in direzione della persona che aveva parlato, incontrando così un uomo sorridente ma allo stesso tempo confuso di fronte a loro. Era decisamente meno formale rispetto all'uomo che li aveva accolti alla porta, sia per l'atteggiamento, che per come indossava il completo imposto dal governo. La giacca era completamente slacciata, mentre la camicia era stata sistemata frettolosamente, completamente sgualcita e disordinata. Aveva i capelli neri tirati all'indietro, e all'apparenza sembrava decisamente più vecchio dei ragazzi di fronte a lui.
Nessuno rispose a quella sua esclamazione, e fu di nuovo l'uomo a parlare. Si portò le mani in tasca in modo trasandato, per poi muovere qualche passo in direzione dei quattro.
"Vedo che non siete di molte parole... E che non siete solo uno" commentò con ovvietà "Mi aspettavo di vedere solo il giovane Thomas ed invece... Ecco che abbiamo al nostro cospetto un..." si fermò qualche secondo di fronte a Duncan, studiandolo con attenzione, prima di sorridere "Rinomato repressore ed... Un paio di sconosciuti! Non so che dire..."
Nemmeno gli altri seppero come rispondere. Duncan si era irrigidito non appena l'uomo lo aveva riconosciuto, e la bocca gli si era immediatamente seccata. Dall'altra parte, gli altri tre erano profondamente confusi dalla schiettezza e leggerezza che l'uomo ostentava.
"Volete dirmi i vostri nomi? Parlo con i due sconosciuti, ovviamente... Duncan Smitt e Thomas No-One sono esclusi dal discorso" tornò a parlare quello che -avevano concluso- doveva essere colui che era a capo dei ribelli.
Gwen e Scott si osservarono diffidenti, seppur con le spalle al muro. Fu la ragazza a farsi avanti per prima, sospirando pesantemente, sapendo bene che se voleva ottenere ciò di cui necessitava, ciò significava anche piegarsi a qualche pretesa "Il mio nome è Gwen..." Prese una breve pausa, per poi intervenire prima del rosso, già in procinto di parlare "E lui si chiama Scott"
"Piacere!" esclamò sorridendo l'uomo, per poi voltarsi, incamminandosi verso un'altra stanza. I quattro giovani restarono fermi all'interno del locale qualche secondo, prima di trovare la forza di seguire quella bizzarra e misteriosa persona.
Sicuramente, tra le decine e decine di supposizioni che avevano attraversato loro la mente, non era minimamente apparsa quella che un uomo sulla quarantina, particolarmente allegro, li avrebbe accolti.

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