CAPITOLO VENTISETTE

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Erano passate ore da quando aveva varcato la soglia di quella piccola stanza bianca ed asettica. Le poche cose presenti erano il letto ed un macchinario collegato ad esso. Sulla parete opposta a quella dove si trovava la porta, spiccava una finestra non troppo grande e chiusa. Thomas si era fatto largo nel piccolo abitacolo, trattenendo il respiro, camminando a passo felpato -timoroso che in quel tanto profondo silenzio, anche solo un lieve rumore potesse distruggere tutto-, e tentando di trattenere le lacrime che ormai lo stavano privando di vita. Lentamente si stava prosciugando; si domandava che fine avesse fatto quella 'scintilla' che Duncan gli aveva rivelato di avere visto in lui, quell'energia in grado di fare scoppiare una rivoluzione. Era tutto sparito, era andato tutto con l'affievolirsi nell'esatto istante in cui aveva scorto il corpo stremato e privo di sensi di Zoey. Si sentiva così in colpa, così debole ed inutile. Era scoppiato in lacrime, aveva gridato e el mani ancora gli tremavano orribilmente.
In quel momento solo un pensiero gli aveva attraversato la testa, una domanda che anche in quell'istante, mentre restava seduto su una sedia di fronte a lei, osservando quel corpo stremato steso sul letto, gli ronzava rumorosamente nel cervello: Zoey era davvero così importante?
Non vi era bisogno di una risposta, il giovane lo sapeva bene. Quel dolore lancinante al petto era una prova più che tangibile dell'importanza che la rossa aveva nella sua vita. Si morse il labbro inferiore mentre, timoroso, allungava una mano in direzione di quella piccola  ed immobile di lei. La accarezzò, incontrandola liscia e tiepida. La afferrò e la intrecciò alla sua in un gesto così intimo che, se solo lei fosse stata sveglia, lo avrebbe imbarazzato totalmente. Eppure, in quel momento, la vergogna era una sensazione che non lo sfiorava neppure lontanamente. Vi era dolore, paura, confusione, incertezza, colpa, ma non certo imbarazzo. No, neppure un eco di una simile emozione.
Alzò lo sguardo, dalla sua mano al suo viso, incontrando l'espressione tranquilla di lei, totalmente in contrasto con quella disperata e contratta di lui. La sua pelle era stata pulita attentamente, ed ora non vi era più traccia della sporcizia o del sangue rappreso che prima la avevano deturpata disgustosamente. In quel momento era semplicemente lei, quella Zoey acqua e sapone, senza neppure il suo solito tocco di eyeliner e rossetto, ma comunque perfetta. Le guance erano pallide, e non rosate come di loro solito. Anche solo quel piccolo particolare lo fece morire per l'ennesima volta in quel dannato giorno.
Sorrise malinconicamente, passando delicatamente il dorso della propria mano libera contro il volto liscio di lei. Probabilmente, doveva sentirsi  sollevato anche solo di poterla vedere, del fatto che gli avevano permesso di entrare. Scott stesso era andato a pregare i medici affinchè lo facessero entrare nella stanza di lei.
Spostò lo sguardo sul macchinario che era attaccato al suo cuore. Uno schermo segnava i battiti lenti, ma costanti della ragazza. Zoey era in coma farmacologico, e vi era il pericolo che fosse infetta da numerose malattie, conseguenze dei numerosi traumi che il suo corpo aveva subito. Serrò la mascella in un gesto colmo di rabbia repressa, per poi notare i polsi ancora violacei ed i numerosi lividi e ferite sulle braccia, non voleva neppure pensare a quelli che poteva nascondere oltre la maglia. Tentò di sospirare, sperando di calmarsi, ma ciò che fuoriuscì dalla sua bocca risultò un sighiozzo sommesso. Stava per piangere nuovamente, ma non gli importò.
Osservò con attenzione i lineamenti perfetti e gentili del suo viso e, nonostante le lacrime, sorrise.
"Sei bellissima." mormorò Thomas assuefatto, rendendosi conto solo in un secondo istante di ciò che aveva appena detto, ma non ritirandolo. Infondo, nessuno poteva sentirlo. Quel pensiero lo consolò quasi. Erano soli.
"Ricordi quando Duncan ti disse di me?" le domandò, sapendo con dilaniante consapevolezza che lei non avrebbe risposto "Eri così contraria... Ricordo di non avere mai visto la tua faccia così piena di disappunto. Risi immediatamente e tu dicesti a Duncan, guardandomi torva 'Dovrai insegnargli le buone maniere. Non crederanno mai che uno Smitt sia così'."
Con il dorso della mano libera, quella non disperatamente allacciata a quella minuta della ragazza, si asciugò le lacrime che erano ormai divenute una maschera fitta sul suo viso. Gli erano giunte sino alle labbra, facendogli avvertire quel sapore salato, così colmo di sconfitta, quella cosa che lui non era mai stato capace di accettare.
"In quella parola, nel tuo 'così' c'erano davvero tante sfumature di rabbia e disprezzo, che avrei giurato che non ti sarei mai piaciuto. Ma tu..." si interruppe, singhiozzando più forte "T-Tu sei dannatamente unica e dolce." le disse "Se invitavi Duncan ad uscire, invitavi anche a me. Mi salutavi, mi sorridevi persino. Sai, credevo che fossi pazza." rivelò, sorridendo falsamente, nascondendo oltre quella facciata una disperazione in grado di stremare un uomo comune, ma non lui, non Thomas No-One.
"Solo dopo mi sono reso conto che eri semplicemente tu." sospirò, nuovamente triste "Sempre troppo dannatamente dolce." Strinse maggiormente la presa sulla mano di lei e chiuse gli occhi, mentre chinava il capo contro il suo volto, quasi appoggiando la propria fronte contro quella di lei. Tremava totalmente stravolto dal pianto, ma non se ne curò. Nulla era più importante di quel momento.
Spalancò le palpebre, sentendo gli occhi sempre più lucidi. Sorrise, notando la vicinanza che aveva d'improvviso imposto. Pochi centimetri ed avrebbe sfiorato quelle sue labbra ferite e calme.
"Ero certo che nulla potesse ferirmi quanto il dubbio nel sapere se tu fossi o meno innamorata di Duncan, ma mi sbagliavo." le rivelò, sempre sussurrando in modo impercettibile, vicinissimo al suo viso addormentato.
"Niente fa più male che pensarti morta, Zoey." si lasciò sfuggire, mordendosi, sino quasi a farle sanguinare, le labbra. Non gli importava di ferirsi, voleva semplicemente resistere. Non voleva gridare come un bambino, non in una stanza di ospedale silenziosa e tanto inviolata.
"Oddio, ti amo così tanto." sputò infine, respirando con affanno.

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