CAPITOLO VENTINOVE

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I mobili a soqquadro, le finestre con i vetri in frantumi, e la porta d'ingresso scardinata. Il respiro del ragazzo era fiacco e sconvolto: non credeva che una volta tornato a casa, sarebbe stato quello lo spettacolo presentatosi d'innanzi ai suoi occhi smeraldini.
Lanciò occhiate veloci in ogni angolo, come per accertarsi che non ci fosse effettivamente più nessuno nel piccolo appartamento disastrato, ed una volta che ne fu totalmente certo, entrò. Camminò attentamente, a passo felpato, cercando di non calpestare neppure un foglio caduto per errore. Si fece avanti all'interno dell'ingresso, per poi affacciarsi in direzione del salotto. Sgranò gli occhi sorpreso, mentre il respiro si agitava ulteriormente. Il divano era stato ridotto a pochi brandelli di stoffa lacera: Thomas poteva vedere chiaramente gli innumerevoli fori causati da arme da fuoco -probabilmente mitragliatori, dedusse-. I cuscini si erano ridotti a solo qualche pugno di piume ancora sospeso in quell'aria satura di silenzio e polvere da sparo. Gli sembrava di trovarsi all'interno di un film: la poca luce che vedeva entrava da uno spiragio tra le tende, ed il pavimento era ricoperto da schegge di vetro e proiettili ancora caldi. Proseguì con attenzione, analizzando sempre con occhio vigile ogni più piccolo particolare; la credenza era stata completamente ribaltata, e la sola cosa rimasta in piedi dentro la stanza era il piccolo tavolo in legno rotondo.

Proseguì la propria perlustrazione, sempre camminando con passo felpato, sino alla sua stanza. Vi era una cosa, in particolare, che lo allarmava: la possibilità che avessero trovato il suo nascondiglio nel muro. Improvvisamente non diede più peso al silenzio che si era detto di dovere mantenere -certo che non fosse rimasto nessuno all'interno dell'appartamento-, e scattò in direzione del foro ben nascosto nella parete. Controllò attentamente il contenuto del nascondiglio, e constatò con sollievo che nulla era stato prelevato. Si voltò poi sospirando e passandosi una mano tra i capelli. Si sedette qualche istante sul letto con lo sguardo basso, fino a quando un odore particolarmente forte non gli giunse alle narici. Istintivamente, alzò il viso in direzione di esso, e trattenne a stento un conato di vomito quando riconobbe, sulla sedia dove lo aveva lasciato Duncan, il corpo decapitato del Gentiluomo che avevano catturato.
Thomas poteva vedere con chiarezza il corpo sgozzato, privo di una testa, totalmente ricoperto di sangue. Il completo nero aveva assunto toni tendenti al bordeaux ed il giovane poteva intravedere, all'interno del collo tagliato spietatamente, la trachea tranciata, e l'arteria ormai priva di sangue.
Dimostrandosi più uomo di quanto non fosse, il giovane si alzò -sempre reprimendo la repulsione- e si accostò alla sedia sulla quale il corpo del gentiluomo era ancora legato. Abbassò lo sguardo, incontrando sul pavimento la testa ancora sorridente e con gli occhi spalancati della guardia, per poi serrare le mani in due pugni stanchi, ormai privo di forze.
"Hanno fatto irruzione ed hanno ucciso il nostro ostaggio..." mormorò a se stesso il ragazzo una volta chiusi gli occhi -non riusciva a guardare a lungo quel lugubre spettacolo-. Sospirò pesantemente, per poi riaprirli. Serrò le labbra in un'espressione fredda, per poi chinarsi, poggiando un ginocchio a terra. Mostrava rispetto.
"Per quanto inumano, nessuno si merita una fine del genere." aggiunse dopo breve con voce severa "Soprattutto quando sono i tuoi stessi compagni ad ucciderti."
 

***


Respiri sconnessi, espressioni confuse, sguardi d'improvviso vacui.

Morte.

Non so se vi è mai successo qualcosa di simile;
il mondo sembra fermarsi e l'universo è sul punto di finire. Tu lo sai, non ne conosci la ragione, ma lo sai.
Ehi, sei lì, magari solo o magari con la tua famiglia, e stai per morire. Vuoi piangere, gridare che non è giusto, che è stato tutto troppo veloce, un viaggio troppo breve per potersi considerare tale, ma a che scopo? Ne vale davvero la pena? A che ti serve gridare dal momento che morirai comunque?
Potresti pentirti di ogni tua colpa -pentirti davvero-, o giurare fedeltà ad un Dio che non esiste, ma non servirebbe.
In definitiva, la scelta è morire. E' la strada che percorrerai e che, comunque, in un modo o nell'altro, avresti incontrato. Ed ora, proprio ora che lo hai realizzato, giunge la calma, quella quiete in grado di affogarti lentamente.
E poi ti ricordi, come svegliandoti da un sogno, che è solo immaginazione, che tu sei ancora seduto su una sedia, o steso sul tuo letto, e che il mondo non finirà, e che tu respiri, che sei vivo, e lo detesti. La quiete è ancora lì, reale e tangibile, sull'orlo di avvolgerti il collo per un ultimo, letale abbraccio.

DESERT_ZONEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora