CAPITOLO TRENTAQUATTRO

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Il grido di Thomas, quel 'No' così sofferto, riecheggiava da interi minuti tra le mura dell'ospedale. La voce del ragazzo era risuonata graffiante e ferita mentre, aggrappato al vetro sporco della finestra da cui spiava l'esterno, osservava quell'aberrante scenario fatto di sangue, torture e morte. Aveva appena assistito ad un'esecuzione priva di pietà od accuse. I propri occhi, solitamente di un verde vivo ed acceso, si erano improvvisamente spenti, come ricoperti di una leggera quando letale patina. La recluta osservava impotente il corpo privo di vita dell'uomo di mezza età, e tutto ciò a cui riusciva a pensare era che, seppur in un modo molto distante e innocente, era lui la causa di quella morte. Deglutì a vuoto, per poi posare il proprio sguardo sulle nocche graffiate del cadavere. Sopra esse spiccava quella scritta impressa ad inchiostro nero, una calligrafia disordinata, un tatuaggio fatto di fretta in un folle tentativo di rivolta. Lui riconosceva molto bene quella parola, ed in particolar modo sapeva cosa stava a significare quel tatuaggio.

Avvertì una mano poggiarsi sulla sua spalla, ed istantaneamente si riprese, come risvegliandosi dai suoi pensieri. Si voltò, incontrando il volto allarmato di Geoff. Il biondo reggeva tra le mani uno dei mitragliatori che gli aveva consegnato Thomas.
"Tutto a posto?"
Il giovane deglutì a vuoto, per poi annuire. Si morse il labbro inferiore, mentre notava che tutti quelli che si trovavano in quella sala lo stavano osservando allarmati. Si voltò un'ultima volta in direzione del corpo ormai abbattuto, ed un conato di vomito minacciò di assalirlo. Lo respinse immediatamente. Mostrarsi debole era severamente vietato.
Notando il comportamento della recluta, Geoff si affacciò al piccolo squarcio che gli permetteva di vedere l'esterno, ed immediatamente comprese la situazione. Uno dei repressori reggeva ancora tra le mani l'arma del delitto, sorridendo soddisfatto del lavoro svolto.
"Mi dispiace, Thomas." mormorò poi all'amico, abbassando lo sguardo "Non è colpa tua, lo sai vero?"
"Quell'uomo si è fatto avanti perchè era d'accordo con noi. E' colpa mia, eccome."  sentenziò in un sibilo colmo d'ira la recluta, stringendo la mascella in modo quasi doloroso "E poi era-" si interruppe, temendo di potere crollare. Geoff lo osservò non capendo. Cosa stava cercando di dire Thomas? Perchè stava soffrendo tanto?
"Thomas, cosa stai cercando di dire?"
Gli occhi color smeraldo del giovane si voltarono un'ennesima volta in direzione del cadavere all'esterno. Cercò di non soffermarsi troppo sul sangue che, copiosamente, fuorisciva dalla ferita che lo aveva portato alla morte, eppure non ci riuscì. Immediatamente la repulsione tornò ad annebbiargli la mente. Immaginò come ci si potesse sentire con il volto immerso nel proprio stesso sangue, un liquido denso e disgustosamente caldo, dal sapore ferroso. Si domandò come si sarebbe sentito se, proprio in quell'istante, si fosse ritrovato in procinto di morire soffocato a causa di esso. Immaginarsi di non potersi alzare da quella pozza vermiglia, mentre la senti entrarti nel naso, nella bocca e nelle orecchie. Tossire alla disperata ricerca d'aria, annaspare in cerca di aiuto, ma ritrovarsi comunque costretti ad arrendersi. Morire soffocati da proprio stesso sangue.

Avvertendo nuovamente i conati di vomito, Thomas puntò il proprio sguardo sul pugno ancora stretto dell'uomo.

'Free'.

"Quel tatuaggio..." mormorò il ragazzo, storcendo il naso ed indicandolo a Geoff "Quello rappresenta molto più di quanto tu possa immaginare."
Il biondo mosse qualche passo in direzione della piccola finestra, assottigliò lo sguardo, ed immediatamente riconobbe le lettere che spiccavano incise sulla mano dell'uomo. I tatuaggi erano severamente banditi sotto il Governo; venivano considerati impuri, un profano tentativo di macchiare la pelle. Chi ne possedeva uno, era costretto celarlo con parsimonia.
Geoff dedusse che, probabilmente, quell'uomo doveva avere passato tutta la propria esistenza, indossando un paio di guanti, e si domandava perchè proprio in una simile situazione avesse deciso di sfilarseli.
"Chi porta quel marchio sulle nocche della propria mano destra, appartiene alla primissima resistenza anti-Governo mai creata." tornò a parlare Thomas, mormorando appena, incurante del fatto che tutti i presenti lo potessero udire "Si tratta dei ribelli sopravvissuti alla presa di potere di ventiquattro anni fa."
Geoff schiuse le labbra sconvolto. Credeva che i primi ribelli fossero ormai stati tutti soppressi ma, evidentemente, si sbagliava. Dal viso della recluta trapelava una certezza disarmante.
"Il Governo si è fatto scappare bottini del genere? La perfezione era crepata già all'inizio del tutto?" domandò confuso il biondo, facendo sorridere sghembo l'altro.
"Perfezione?" sputò Thomas con lo sguardo accesso di odio "Quella non esiste. Non è mai esistita. Non esisterà mai." La recluta si prese una pausa, abbassando lo sguardo per riflettere. Il biondo continuava ad osservarlo incerto, ma attento.
"Se quell'uomo apparteneva alla resistenza, c'è la possibilità che essa esista ancora, no? I tatutaggi vengono fatti probabilmente in case comuni, illegalmente." si lasciò sfuggire il giovane mentre rifletteva. A quel punto, Geoff intervenne.
"Come puoi essere tanto certo? Come sai cose risalenti a così tanto tempo fa?"
"Perchè anche mio padre portava quel tatuaggio."
 

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