CAPITOLO TRENTATRE

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Con una spinta leggera, il ragazzo aprì la porta della piccola stanza bianca, uguale a tutte le altre, con il medesimo aspetto asettico e poco confortevole. Mosse qualche breve passo dentro il piccolo abitacolo, mantenendo lo sguardo basso ed avvertendo il proprio respiro farsi sempre più pesante. Gli sembrava quasi che le lacrime -che prorompenti si attanagliavano contro i suoi occhi- lo stessero affogando. Forse doveva semplicemente smettere di trattenerle.
Scuotendo il capo e sospirando amareggiato, Thomas scrutò con noia il pavimento lucido sotto i suoi piedi. Le mattonelle incastonate nel cemento sembravano appena state pulite, e quasi poteva mirare in esse il suo riflesso patetico ed annoiato. Detestò quell'immagine. Suo padre non si sarebbe mai mostrato in quello stato, mai. Serrò le proprie mani in due pugni collerici, per poi sputare sopra il proprio riflesso sbiadito e tremolante. Se ne sentì quasi soddisfatto. Eppure, perchè tanto disprezzo nei suoi stessi confronti?
Thomas aveva a lungo compiuto la scelta sbagliata, unendosi prima all'esercito e facendo più e più volte lavori per il Governo. Ora, però, tutto stava cambiando, o meglio, era cambiato. Duncan, tornato dalla Desert_Zone, gli aveva concesso una seconda possibilità, mormorandogli parole che lui aveva atteso per una vita intera. Gli aveva fatto un discorso molto simile ad uno 'svegliati, non lo hai ancora capito? Il mondo sta vacillando e noi siamo al centro di questa fottutissima giostra', e lui ci era stato. Aveva pensato che, combattendo al fianco del militare, sarebbe stato in grado di riscattare il nome di suo padre, quell'uomo che, esattamente dieci anni prima, era stato spedito in quell'orrida prigione fatta di sabbia e desolazione. E forse, la situazione era davvero quella. Magari, portando avanti la rivolta -non si poteva dire che fosse stata lui ad iniziarla, non in seguito ai continui dissensi da parte dei ribelli-, avrebbe dimostrato quanto davvero credesse alle parole di libertà che i suoi genitori gli mormoravano.
Aveva assaltato un ospedale con al proprio interno più di duecento persone, ed ora erano pienamente circondati. Eppure, questo non lo allarmava; non ancora. Provava repulsione verso se stesso soprattutto perchè tutto ciò che gli stava accadendo intorno rischiava letteralmente di schiacciarlo. Quando Duncan gli aveva parlato di quella giostra che rappresentava la rivoluzione, quest'ultimo non aveva mai precisato che ne sarebbe stato Thomas stesso il centro. La recluta si era preso una moltitudine di responsabilità, ma era troppo dannatamente leale per pentirsene.

Fu un sospiro spaventato ad allontanarlo dalla valanga di pensieri che gli stava annebbiando ogni altro ragionamento. Per la prima volta da quando aveva fatto il proprio ingresso nella stanza, Thomas alzò lo sguardo, incotrando quello dell'infermiera che, solo poco prima, aveva visto parlare al citofono. Non disse nulla, mentre quest'ultima teneva una confezione di flebo tra le mani, probabilmente in procinto di cambiarla a Zoey. La donna si era paralizzata alla vista del ragazzo che aveva assalito l'intero ospedale, spaventata di fronte la possibilità di essere stata scelta come vittima del ribelle. Lui non disse nulla, preferendo abbassare nuovamente lo sguardo per dirigersi verso la sedia al capezzale del letto, contro la quale si abbandonò poi mollemente. Infine, puntò i propri occhi in quelli della giovane infermiera, che ancora non aveva mosso un muscolo.
Sbuffò annoiato, per poi parlare "Vuoi muoverti? Cambiale quella dannata flebo."
La donna, udendo la voce del ragazzo parlarle in modo tanto stanco e spazientito, gli obbedì in brevi istanti, e subito si voltò, iniziando a maneggiare  la busta in plastica colma di liquido trasparente. Thomas fissò l'oggetto a lungo, prima di tornare a parlare, soffocato dal silenzio.
"Cosa c'è là dentro?"
L'infermiera si irrigidì, udendo nuovamente il giovane parlare, per poi tornare in brevi istanti al lavoro, timorosa di una sua seconda reazione irata "S-Soluzione Reidratante."
Il ragazzo annuì, sospirando "E' come se la nutriste, giusto?"
La ragazza deglutì. Non si aspettava di essere costretta ad intrattenere conversazione con il proprio sequestratore "P-Più o meno." rispose con la voce tremante "Si tratta principalmente di soluzione salina... E contiene minerali fondamentali per l'organismo umano."
Il silenzio si posò poi tra i due, mentre la donna finiva di sistemare la flebo di Zoey. Il solo suono che, costante e continuo, interrompeva quel nulla tra i due, era il macchinario che segnalava le pulsazioni della rossa. Thomas osservò lo schermo nero percorso dalla linea rossa a lungo. Poi, una domanda si stagliò improvvisamente nella sua mente. Proprio in quel momento, la ragazza finì di sistemare la flebo.
"Una persona in coma è in grado di sentire quando le parli?"
L'infermiera corrugò la fronte insicura, per poi prendere un profondo respiro. Il timore le scorreva ancora nelle vene, ed il suo cuore batteva freneticamente alla vista della fondina nei pantaloni del ragazzo "Non lo so."
"Le ho detto così tante cose che..." tentò di parlare Thomas, per poi mordersi il labbro inferiore incerto. Era terrorizzato. Aveva paura che Zoey si svegliasse, magari ricordandosi della sua confessione mormorata, e  che non gli rivolgesse più la parola. Si sentiva meschino per essersi innamorato della promessa sposa del suo migliore amico -quello che considerava un fratello-.

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