41.

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Esco dal bar urlando un vaffanculo epocale a quello stronzo, ma sono costretta a rientrare perché quello che sento ha fatto venire fuori la vecchia Mia, tutta in una volta.

<Lasciala andare, è meglio così credimi.> è quello che sento dire da quella maledetta e, quando rimetto il piede dentro al bar, Andrea salta dal bancone, capendo le mie intenzioni, ma non riesce a bloccarmi.

Arrivo davanti a lei, che si era avvicinata a Domenico, mentre lui provava ad allontanarla e la prendo per i capelli trascinandola fino al bancone, le spingo la testa sul quest'ultimo, schiacciando il suo viso.

La rabbia, la delusione, la sconfitta ancora una volta, vengono fuori tutte insieme, tanto da schiacciare, con sempre più forza, la faccia della strega.

Avvicino il mio viso al suo orecchio, e mi rendo conto di non essere nemmeno io
<Ti conviene stare zitta e goderti i miei scarti, ma sbrigati, perché capirà subito che tipo di elemento sei.> la alzo stringendo sempre più forte i suoi capelli, per poi spingerla contro Domenico.

<Siete perfetti insieme, un verme schifoso ed una stronza.> ringhio verso i due.

Ed esco dal bar, mimando uno scusa ad Alessandra e Andrea, prima che escano le mie lacrime.

Ma appena metto piede fuori, mi raggiunge Francesca.

<Mia...>

<No, fammi andare a casa, ho bisogno di andare a casa, ti prego lasciami andare.>

Non se lo lascia ripetere due volte e torna dentro, sicuramente
per finire ciò che io ho iniziato.

Mi sento un completo fallimento, un mix di vari sentimenti contrastanti che mi portano a ricominciare a correre, senza badare alle macchine che sfrecciano lungo la strada, con la vista offuscata dalle lacrime mentre con la testa ripercorro tutto quello che è successo.

Troppe immagini si susseguono nella mia mente, io e Domenico mentre facciamo l'amore, io e lui che ridiamo, scherziamo, ci pizzicchiamo.
Non è possibile, non può essere vero.

Poi mi appaiono davanti le immagini di loro due, lui che le racconta le sue cose, lei le sue e magari ridono insieme di quel casino che è la vita.

I freni di una macchina che stridono vicino a me, mi riportano alla realtà;
Sono ferma in mezzo alla strada e non mi sono nemmeno accorta di essermi fermata.
L'uomo dentro la macchina comincia ad imprecare pesantemente, e le sue parole mi fanno scattare.
Dò un pugno sul cofano dell'auto, mando a quel paese l'uomo alla guida e riprendo a correre fermandomi solo quando arrivo sul posto di lavoro.

Teresa capisce subito il mio stato d'animo e mi da il permesso di andare a casa e di prendermi pure qualche giorno, ma non voglio farlo, lavorare mi permette di non pensare tanto, ma capisco che, proprio oggi, nemmeno un giorno intero in palestra riuscirebbe a calmarmi e così ritorno a casa e solo quando chiudo la porta alle mie spalle, do sfogo al mio dolore, la mia rabbia, cominciando a piangere e a fare avanti indietro per tutto il salone.

Perché?
Perché proprio quella? Perché non mi ha detto prima cosa succedeva?
Perché tenermi nascoste tante cose?
Non poteva dirmi come stavano le cose? Qualunque cosa mi avesse detto, io gli avrei creduto, mi sarei lanciata sul fuoco per lui, avrei messo la mia vita alla mercé di tutti per lui.
Ero ritornata a vivere, a sorridere, a fidarmi di lui, per lui.
E a cosa è servito tutto questo?
Cosa voleva dimostrarmi?
Che sarei stata capace di affrontare un'altra delusione?
No, non ne sono capace, non adesso che il cuore fa fatica ad andare avanti, non ora che il mio cuore vuole smettere totalmente di battere.

Mi chiudo nella mia camera e comincio a lanciare contro la porta tutto ciò che di suo mi capita sotto le mani.

Strappo la sua maglietta con la quale ho dormito diverse notti.
Rompo cornici che ci ritraggono vicini e felici.
Svuoto l'armadio dalle sue cose e mi lascio cadere a terra quando, sotto mano, finisce una foto di noi al mare.

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