22

3.2K 230 33
                                    



Il dolore alla testa, le gambe tremanti, le labbra secche, il magone, gli occhi lucidi, la pelle fredda— niente di tutto ciò è comparabile alla lacerazione nel mio petto. Sono vuoto, sono completamente privo di ogni forza.

Percorro le scale del mio palazzo coprendo la bocca con le mie stesse mani per non sentire i miei singhiozzi risuonare in ogni angolo e soffocare il mio cervello. Sono stanco di piangere, pensavo di aver esaurito lacrime, rimpianti, debolezze, e invece no. Questa volta sembra far male più di prima e più di sempre.

Mentre le mie dita si muovono nervosamente per trovare la chiave giusta, non riesco a trattenere un maledetto singhiozzo e in pochi secondi mi ritrovo a piangere di fronte alla porta di casa mia, da solo.

Me lo merito.

Merito di soffrire perché sono stato un egoista.

Ho desiderato di toccare la sua pelle ancora una volta, ho voluto rimanere lì a guardarlo negli occhi convinto che fosse ancora mio, ho stretto il suo corpo così fortemente che credevo di potergli fare male, credendo di non poterlo lasciarlo andare e invece l'ho fatto. Mi sono preso tutto e poi l'ho lasciato andare.

Sono scappato per paura, terrore, agitazione, senso di colpa. Sono scappato e basta.

-Fanculo, cazzo.- la mia voce spezzata rimbomba nel palazzo mentre giro velocemente la chiave nella serratura. -Vaffanculo!- urlo sbattendo la porta.

Faccio qualche passo guardandomi attorno, cominciando a sentire le guance umide. Scorro le dita tra i miei capelli sentendo una vampata di caldo del tutto anormale, fa improvvisamente caldo ed io sto morendo di freddo.

Sono solo.

Scoppio a piangere, come un bambino.

Con le mani tremanti copro il mio viso per nascondere il terribile senso di amarezza che comincia a riempire il mio palato, arrivando dritto allo stomaco. Poso una mano sul tavolo per sorreggere il devastante peso del mio corpo e del vuoto che sta facendo a pezzi la mia anima, lasciandomi senza respiro.

Cerco frettolosamente il telefono sapendo già cosa fare, e quando riesco ad aprire la rubrica, prendo un profondo respiro prima di accostarlo al mio orecchio.

Dopo un paio di squilli inizio a sentire qualche rumore così socchiudo le labbra per poter dire qualcosa, ma il magone ha la meglio sulla mia voce che non esiste più, costringendomi ad ansimare miseramente.

-Jimin-ah?-

-Tae..- sussurro, incapace di aggiungere tutta la raffica di parole senza senso che continuano a fare casino nella mia testa.

Sento un leggero sbuffo. -Dimmi che sai che ore sono.-

-Ho bisogno- di te, ti prego- -. singhiozzo, incapace di aggiungere altro.

Per qualche secondo non sento nulla ed inizio a preoccuparmi seriamente di tutto ciò che sono e che sto causando; il mio stato mentale, il mio corpo tremante, le lacrime dello stesso ragazzino di diciannove anni con il cuore spezzato.

-Sto arrivando.-

Lancio il telefono sul tavolino di fronte a me prima di togliere il cappotto che sa ancora di lui, e ancora nostalgico del suo sapore, lo avvicino al viso inspirando lentamente il suo profumo. I miei occhi cominciano ad appannarsi più di prima così, stanco di combattere, chiudo le palpebre e lascio che le lacrime bagnino il tessuto che stringo tra le dita.

-Ti odio.- mormoro nervosamente, parlando più a me stesso.

Perché non dovevo, perché non potevo.

the good side - JikookDove le storie prendono vita. Scoprilo ora