Capitolo 4

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Ashley

Ecco qua… è giunto il grande momento sperando con tutta me stessa che Steven non piombi a casa all'improvviso, perché se vede che non ci sono solo ragazze succede solo Dio sa cosa.
Luke è stato imprevedibile nel venire in anticipo  trovando la scusa di montare l'impianto. Mentre studia come sistemare, io sono sul divano intenta nel controllare le varie home dei social e mi imbatto per puro caso nel profilo che mai pensavo di poter rintracciare. L'account del diavolo biondo, la mia nemica per eccellenza ai tempi del liceo e soprattutto colei che potrebbe far saltare la mia copertura da un momento all'altro. Inizio a scorrere le sue foto e noto che non ha subito nessun cambiamento, possiede sempre il solito sguardo malefico e l’aria da ragazza prepotente e bulla dei poveri.

«Ash, cosa dici? Potrebbe andare qui?» domanda Luke osservandomi mentre pone le mani nelle tasche dei jeans.
Ha spostato il tavolo vicino all'unico spazio vuoto situato dalle parti del frigorifero e lì ha montato l'apparecchiatura.

Il mio soggiorno non permette di organizzare party in grande stile essendo che appena si entra c'è un piccolo mobile dove si possono lasciare ogni tipo di oggetto: occhiali, chiavi, borsellini e così via; vicino alla porta d'ingresso, sulla destra c'è un appendiabiti per gli ospiti.
C'è un piccolo spazio di passaggio per poi trovare sulla sinistra un divano a penisola di pelle beige foderato da un copri divano di camoscio della stessa tonalità; di fronte al divano, al centro della stanza è situato un tavolo rettangolare marroncino chiaro ricoperto da una tovaglia brillantinata   con sei sedie che lo circondano. Dietro al tavolo c'è la cucina sulla sfumatura del tortora, vicino c'è il frigorifero e prima di trovare la televisione è situato un piccolo spazio che ora è occupato dal tavolo che Luke ha chiuso per poi riporlo in quell'angolino. Di fronte a capotavola, da sinistra c'è un televisore nero al plasma attaccato al muro e sotto una mensola con lettore dvd e stereo.

«Sì… ma il cibo dove lo poggiamo se il tavolo è già utilizzato?»
«Dovresti fare spazio sul piano della cucina.»
«Non posso staccare i fornelli!»
«No, scema! Devi riporre gli utensili altrove. Non hai un anta dove poggiarli il tempo della festa?»
Acconsento sorridendo e inizio a collaborare con il suo sguardo fisso sul mio corpo. Se non finisce di fissarmi il sedere, giuro che gli arriva  qualche oggetto in piena faccia, e indosso un misero pantalone della tuta! - che tra poco devo cambiare.
Una volta completato l'incarico, vedo Luke seduto sul divano con il telefono e di conseguenza vado a sedermi vicino mantenendo le giuste distanze.

«Non pensavo di passare una serata con te in poco tempo dal mio invito.»
«È solo una festa.»
«Ma considerando che siamo solo noi, possiamo sfruttare il momento per fare conoscenza.»
«Per quale motivo?»
Mi guarda come se avesse visto un alieno.
«Perché due persone normali che non si conoscono fanno così: parlano, fanno domande e instaurano un rapporto, e con il passare del tempo si decide l'entità di tale legame.»
«C'è un'allusione in questa frase, ammettilo.»
«Beccato!» Esclama lui alzando le mani
«Uomini… tutti uguali.» sospiro scuotendo la testa in dissenso.
«Nessuno è perfetto come me, baby.»
Alzo gli occhi al cielo. Mamma mia quanto è sicuro di sé il ragazzo.

"Sareste bene insieme. Due palloni gonfiati.”
“Non infierire. Non ho bisogno di determinati  consigli da te.”

«Certo!» rispondo in tono ironico.
«Allora, inizio io?»
Mi stringo nelle spalle essendo che mi è indifferente chi comincia. Possiamo anche non proferire parola pensando ognuno ai fatti propri aspettando che arrivi la restante parte degli invitati.

«I tuoi genitori?»
«Non ci sono. Vivono a New York.»
«Quindi non sei di Los Angeles.»
«Esatto.»
«Come mai ti sei trasferita in questa città con college prestigiosi di giurisprudenza che possedeva New York?»
In questo preciso momento sembra a me di aver visto un alieno. Questa domanda non era prevista nell'elenco. Non ho mai saputo rispondere a questo dilemma.
«Semplicemente per cambiare aria. La convivenza con i miei genitori era diventata insostenibile. Mi sentivo in prigione.»

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