Giorno 20. Una trappola per il gatto

292 15 0
                                    

Sabine spolverò la statuetta a forma di coccinella che suo marito aveva esposto in negozio. Da quando Marinette era scomparsa, non era passato giorno che la donna non passasse almeno un quarto d'ora a rimuginare con quell'ornamento tra le mani.
La richiesta di Chat Noir l'aveva turbata. A credere al messaggio giunto loro, il ladro più famoso di Parigi avrebbe rapito loro figlia solo per poter recuperare quell'oggetto. Eppure, non era passato molto tempo da quando Marinette stessa aveva chiamato per far sapere che stava bene. Che fosse stata obbligata a dire quelle parole? Ma non avrebbe avuto senso. In quel caso il riscatto non sarebbe mai stato pagato. E allora cosa era successo?
Sabine sospirò, stringendosi al petto la coccinella in porcellana. Un antica eredità che la sua famiglia si passava di generazione in generazione. Sua nonna amava raccontarle una leggenda, secondo cui quello sarebbe stato il contenitore di un enorme potere che avrebbe aiutato la loro antenata a sigillare l'oscurità.
La donna sorrise. Conclusa la storia, sua nonna si metteva sempre a ridere e le chiedeva quanto di quel mito potesse essere vero.
Sabine stessa aveva raccontato spesso quella leggenda alla sua piccola Marinette.
<Tesoro, dove sei andata a finire?> sospirò la donna, riponendo la statuetta.
In quel momento un omone il doppio di lei, entrò in negozio. <Tom> lo accolse la donna, cercando di mascherare il turbamento e la tristezza. Erano ormai venti giorni che loro figlia mancava da casa.
L'uomo colse immediatamente il soprammobile lucido alle spalle della consorte.
<Consegnamoglielo> disse lui risoluto.
Sabine inclinò la testa di lato, confusa.
<La statuetta, dico. Non so se questo Chat Noir abbia detto la verità, ma conviene provare, giusto?>. Un enorme sorriso gli illuminò il volto, pieno di speranza.
La donna si trovò ad essere contagiata dallo stato d'animo del marito. Tom aveva la straordinari capacità di risollervarle il morale, dandole la forza per continuare ad avanzare nonostante le difficoltà. Una qualità che loro figlia aveva ereditato.
<Hai ragione. Facciamo in modo sappia della nostra decisione>.



Mezz'ora dopo, la pasticceria Dupain-Cheng aveva le serrande chiuse e un enorme cartello con scritto "CLOSED" all'entrata. I passanti fissavano straniti quelle vetrate scure, non abituati a quella visione.
Nel frattempo, Sabine e Tom procedevano spediti verso la stazione di polizia. Avrebbero chiesto al comandante di diramare un annuncio o di avvisarli qualora fosse pervenuto un nuovo biglietto da parte di Chat. Il biondo felino amava burlarsi delle forze dell'ordine e dimostrare di essere in grado di gabbarli nonostante il preavviso.
Di fronte alle scalinate dell'edificio, videro Roger, fermo e immobile come paralizzato.
<Ehi, Roger!> lo richiamò Tom, che tra i due era quello che aveva più confidenza con il capo della polizia.
Come destandosi da un sogno, Roger sobbalzò e si voltò verso la coppia. <Tom, qual buon vento?>.
Scuotendo la testa sconsolato, Tom rispose: <Nessun buon tempo. Marinette ancora non è tornata a casa. Ci sono notizie di Chat Noir?>.
Una fitta colpì Roger alla tempia sinistra. Ogni volta che sentiva nominare quel ladruncolo gli accadeva. Era come se la sua mente si sforzasse di ricordare qualcosa, ma venisse bloccata. Tutto era iniziato un paio di giorni prima, quando aveva fatto quel sogno in cui Chat lo trasportava in casa passando per la finistra.
<Nulla, purtroppo>.
I due coniugi si scambiarono un'occhiata preoccupata.
<Ti ricordi del messaggio che ci è stato inviato?> continuò allora Tom. Roger annuì. Il dolore finalmente sopito.
<Abbiamo deciso di consegnare ciò che richiede>.
Il capo della polizia aggrottò la fronte. La richiesta del ladro gli era parsa strana sin dall'inizio, e ancora non riusciva a comprenderne il motivo. Tuttavia... quella poteva essere un'utile occasione.
Roger sorrise. <Prenderemo due piccioni con una fava, allora> gioì, facendoli entrare per poter parlare in privato nel suo ufficio.

[Marinette]
Erano passati due giorni. Due interi giorni dal nostro bacio.
E io avevo preso una decisione. Dovevo andarmene da lì.
<Marinette> mi chiamò Tikki, uscendo dal suo nascondiglio. Per non farci scoprire da Chat, il piccolo kwamii passava tutto il tempo confinata in camera. Plagg era un problema. Aveva percepito la presenza della coccinella, sebbene non riuscisse ad individuarla.
<Dimmi, Tikki> risposi soprappensiero.
<Sembri triste>.
Le sorrisi. Non ero triste, solamente sconsolata. Dopo un mese (quasi) passato in compagnia del biondo, l'idea di lasciarlo mi lasciava un gusto amaro in bocca. Soprattutto dopo quel bacio.
Ma io ero Ladybug, la supereroina di Parigi, mentre lui era Chat Noir, il più grande ladro di Parigi. Non potevamo stare insieme. E, conoscendoci, nessuno dei due avrebbe abbandonato le proprie idee per l'altro.
<È proprio necessario impadronirsi del suo Miraculous?>.
Il kwamii della fortuna mi fissò con un'espressione indecifrabile. <Sta eliminando le akuma> mi ricordò.
<Lo so. Ma forse possiamo fargli cambiare idea>.
<Ci ho provato un sacco di volte, ma è tutto inutile. Plagg è un tale testardo>.
<Tu non sei da meno>.
Scoppiai a ridere e Tikki con me.
Con la coda dell'occhio notai un'ombra passare di fronte alla finestra. Mi precipitai a controllare, temendo potesse essere un altro attacco da un akumizzato. Invece vidi solamente Chat Noir che, agilmente, si stava allontanando. Fuori il sole era ancora alto, ed era strano se ne andasse in giro in pieno giorno.
<Tikki, seguiamolo>. Mi trasformai e lo rincorsi a distanza.

[Chat Noir]
Era la prima volta che ricevevo un biglietto di sfida dal capo della polizia. Che fosse ancora sotto l'inclusione dell'akuma? Nah, impossibile. Eppure...
Atterrai senza fare il minimo rumore sul tetto dell'edificio attiguo al Louvre. Scrutai in giro, in cerca dei poliziotti sotto copertura che sicuramente stavano attendendo il mio arrivo. Notai il braccio destro di Roger parlottare con un uomo che mi dava le spalle. Individuai altri agenti: uno al chioschetto dei gelati, un altro stava leggendo un giornale e un terzo fingeva di essere un passante casuale.
Mi lasciai sedere, poggiando la schiena alla parete in mattoni dietro di me. La notizia che quella mattina riportavano i telegiornali mi aveva davvero lasciato di stucco. Mai avrei pensato che mi invitassero a rubare un prezioso manufatto. Soprattutto se l'oggetto in questione era proprio il riscatto che avevo richiesto ai genitori di Marinette. Era palesemente una trappola, ma non me ne preoccupavo. La polizia di Parigi non sarebbe ma riuscita a catturarmi. Non senza l'aiuto di Ladybug.
<È giunto il momento di entrare in azione>. Mi lasciai scivolare in una via laterale, annullando la trasformazione. Avrei dato troppo nell'occhio se mi fossi presentato con la mia tuta nera. In quel modo, invece, avrei potuto fingermi un semplice ragazzo in visita al museo.
Calai la frontiera sugli occhi, nascondendoli leggermente. Con passo sicuro mi diressi verso l'entrata del Louvre. Gli agenti mi puntarono gli occhi addosso immediatamente, scontandoli subito dopo. Per loro altro non ero che un semplice ragazzo di passaggio.
Riuscì ad entrare nel Louvre senza particolari difficoltà. Alle mie spalle, Roger si piazzò vicino al desk accettazione dell'entrata. Avvertivo i suoi occhi sulla mia schiena.
<Secondo te mi ha scoperto?> sussurrai nervoso a Plagg. Il kwamii nero si agitò all'interno della tasca della giacca.
<Quel tipo non è mai stato molto sveglio. Sarà una coincidenza. Piuttosto, lo senti anche tu questo profumino di Camembert?>.
Sospirai, scuotendo la nuca. Il mio compagno era proprio senza speranze.
<Cosa pensi di fare?>.
Devia verso i servizi e mi chiusi dentro. Lasciai uscire il kwamii e mi trasformai.
<Semplice, adesso creo un bel diversivo e poi me ne vado con la statuetta>.
Entrai nei condotti che dai bagni si districavano per tutto il museo. Grazie ad essi l'aria condizionata veniva distribuita in tutti i locali dell'edificio, collegando le varie stanze.
Strisciai in cerca della statuetta. Dalle grate potevo gettare un'occhiata in ogni luogo.
La trovai poggiata all'interno di una teca di vetro in una stanzetta alquanto piccina e poco illuminata. Tra le opere esposte non era di certo la più luminosa, ne la più preziosa; eppure catturò la mia attenzione monopolizzandola.
<Bene>.
Con una lima forzai le viti della grata, aprendola. La feci scivolare all'interno del condotto, lasciando libero il passaggio, poi tornai indietro. Qualche stanza prima ripetei l'operazione. Stavolta mi lascia cadere all'interno.
<È giunto il momento di fare un po' di casino>.
Presi la prima opera che mi capitò tra le mani, facendo scattare l'allarme. Conoscendo il sistema di sorveglianza del museo, le guardie si sarebbero precipitate dove era avvenuto il furto. Mi nascosi dietro la porta.
Dopo qualche minuto i passi agitati dei poliziotti mi giunse all'orecchio. Entrarono in massa nella stanza, parlando concitati e chiedendosi come mai mi trovavo lì.
Schizzai fuori senza farmi vedere.
<Cataclisma!> urlai non appena fui fuori in corridoio. Sfiorai la parete che si distrusse all'istante. Un po' mi dispiaceva demolire a quel modo il Louvre, ma Ladybug avrebbe messo tutto a posto con un suo Lucky Charm.
Gli improperi delle guardie, intrappolate al di là di quel muro di macerie, erano flebili e infuriati.
<Ed ora, pensiamo alla nostra statuetta>. Corsi nella stanza dove avevo visto il mio obiettivo. Non avevo molto tempo, ma sarebbe bastato. I rinforzi avrebbero comunque impiegato tempo per liberare il passaggio. Nel frattempo io sarei riuscito a svignarmela in tutta tranquillità.
<Eccoti qui>. Presi tra le mani la coccinella e ammirai le sfumature purpuree che la luce faceva danzare sulla superficie della statua.
<Chat, cosa stai facendo?>.
Con un sorriso che non riuscì a trattenere, mi voltai verso la supereroina. Magnifica come sempre, nella sua tutina rossa e nera, mi osservava con quello sguardo di sfida e le braccia incrociate.
<My lady, da quanto tempo> l'accordo con un inchino.
<Troppo a quanto pare. Ancora con l'abitudine di prendere le cose che non sono tue> mi rimproverò scuotendo la testa.
<Lo faccio solo per avere il piacere di vederti, my lady> la punzecchiai.
Lei sbuffò e... arrossì?





—————
N.d.A. Eccoci qui!
Scusate il ritardo, ma le scorse settimane sono stata impegnata a studiare per la sessione di esami e non ho avuto molto tempo libero.

Il Gatto e la CoccinellaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora