24.

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Non siate lettori silenziosi, per piacere.

Ma vattene a fare in culo.

Guardo ancora una volta l'entrata dello stadio e sospiro, Sofia mi ha pregato di non presentarmi e di lasciar andare tutto, scordandomi semplicemente di tutto ma non potevo farlo, non volevo

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Guardo ancora una volta l'entrata dello stadio e sospiro, Sofia mi ha pregato di non presentarmi e di lasciar andare tutto, scordandomi semplicemente di tutto ma non potevo farlo, non volevo. Presi un enorme respiro ed entrai a grandi passi, la cosa che più mi terrorizzava era perdere il controllo, non ero mai stata brava in queste cose.

«Tu sei Alessia?» domanda un ragazzo ed annuisco pensando sia un fan. «Infondo a destra trovi gli spogliatoi, sono andati via tutti.» commenta tornando poi a camminare mentre infila le cuffie alle orecchie. Torno a camminare velocemente, sperando di trovarlo nello spogliatoio da solo per infilargli la testa dentro il cesso e fargli ingoiare l'anello che portava.

«Alessia?» domanda una voce che conosco fin troppo bene e mi giro verso di lui. «Che ci fai qui?» domanda confuso, portando subito la mano sul mio polso per tirarmi nello spogliatoio e chiudere la porta.

«Penso mi devi delle spiegazioni.» rispondo incrociando le braccia al petto mentre lui lascia cadere il borsone per terra.

«Spiegazioni di che tipo?» domanda confuso e cerco di guardare altrove dato che l'unica voglia che ho è piazzargli un pugno sul naso, rompergli il setto nasale ed andarmene.

«Sei fidanzato? Stai con la tua ex? Posso avere il minimo di spiegazione?» domando allargando le braccia e lui ridere. «Ma che cazzo ridi, coglione?»

«Non sono fatti tuoi.» risponde semplicemente riprendendo il borsone da terra, ma io mi piazzo davanti la porta. «Devo uscire oppure faccio tardi.»

«A cosa? Alla tua cena con la fidanzata?» domando prendendo la mano dove infossava un anello e lo sfilo. «Che cazzo è questo?»

«Non sono cazzi tuoi.» ripete spingendomi, riprendendo l'anello per metterlo al suo posto. «Anche se dovessi andare a cena con Veronica non dovrebbe interessarti.»

«Siamo stati insieme a Parigi, Federico!» urlo allontanandomi per cercare di non guardare la sua faccia di merda.

«Siamo stati due giorni!» controbatte alzando anche lui la voce. «Anzi nemmeno, una sera ed una mattina, con le storie di una notte ci sto pure di più eppure nessuna viene a fare la scenata di gelosia. Quanto stai messa male per prendere l'aereo e venire qui a Torino?» aggiunge ironico e mi avvicino velocemente piazzandogli la mia mano sulla guancia.

«Ma vattene a fare in culo, Federico.» aggiungo mentre lui si tiene la guancia con entrambe le mani e mi allontano, girando i tacchi per aprire quella porta e fuggire.

«Ti piacerebbe a te, eppure ora sono occupato, alla prossima.» commenta seduto sulla panchina, facendomi riportare lo sguardo su di lui. La mia vista si appanna e cerco di non mostrarmi debole davanti a lui mentre mi guarda con degli occhi freddi, distaccati. Chi diamine era il ragazzo che avevo davanti? Chi era il ragazzo che stava con me? «Non piangere, ora.» sussurra facendomi rendere conto delle lacrime che scorrevano sulle mie guance e vorrei tanto uscire da quella stanza ma le mie gambe sembrano incollate al pavimento.

«Sei uno stronzo, ma perché non hai pagato una a caso e ti toglievi lo sfizio? Perché diamine hai scelto me?» domando con la voce rotta dal pianto e lui sospira, guardando le sue scarpette da calcio. «Forse perché con la tua stupida vocina sottile non riesci a farle eccitare? E quindi ti sei divertito con una diciannovenne? Cazzo, ma quanti anni hai? Otto?»

«Con la mia stupida vocina sottile ti sei eccitata però.» commenta alzando di nuovo lo sguardo su di me e noto la sua guancia rossa che mi fa pensare: avrei dovuto rompergli il naso.

«Ringrazia i muscoli.» ammetto portando la schiena contro il muro, a breve sarei crollata completamente e speravo vivamente che lui abbandonasse la stanza. «Altrimenti manco ti avrei calcolato.»

«Si vede lontano un miglio che sei fottutamente cotta di me.» commenta ridendo, anche se subito lo ritira portando la mano sulla guancia.

«Ho diciannove anni, Federico! Bastano due rose e cado ai piedi di chiunque.» urlo cercando di sminuire tutto, ma le lacrime mi tradiscono.

«Smettila di piangere, però. Non è morto nessuno.» commenta prendendo un pacchetto di fazzoletti dalla sua borsa e cerca di lanciarmelo ma lo scanso.

«Mi fa schifo anche la roba toccata da te, perché non te ne vai?» domando indicandogli la porta.

«Perché sei nello spogliatoio maschile dei calciatori della Juventus, non ti lascio da sola.» risponde con la voce bassa e sospiro, facendogli il verso. Rimaniamo per qualche minuto a debita distanza e la sua guancia si gonfia leggermente, mentre io guardo le mie scarpe.

«Perché ti sei preso gioco di me? Cazzo, sono anche più piccola di te dovresti avere un senso, non so, di protezione?» domando ironica allargando le braccia e lui alza semplicemente le braccia.

«Non ti ho presa in giro, solo le cose a volte vanno così.» risponde toccandosi la guancia completamente ben rasata. Il mio odio per lui era quantificabile alla sua bellezza, cioè infinito.

«In che senso così? Un giorno a letto con me e l'altro con quell'altra?» domando ironica, immaginando per qualche secondo le stesse cose che aveva fatto con me farle con quella ragazza.

«Non c'è qualche hotel dove posso portarti?» domanda alzandosi, prendendo il suo borsone. Asciugo le lacrime dalle guance e rido, uscendo dagli spogliatoi.

«Nemmeno se mi pagassero.» commento quando lui mi richiama e mi allontano, chiamando il taxi.

A blessing in disguise; Federico BernardeschiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora