Chiarimenti

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Arrabbiata col mondo intero, con passo veloce, torno ai box Mercedes, cercando spiegazioni da quel coglione di Hamilton. Come ogni volta, ogni singolo giorno della loro vita, i giornalisti di Sky Sport F1 sono lì, davanti al loro Paddok. Non hanno davvero niente di meglio da fare? Scuoto la testa e cerco di fare velocemente, non vorrei essere fermata da uno dei due giornalisti. Entro nei box Mercedes, con il sangue agli occhi per la rabbia, e cerco Hamilton come un cane cerca la pallina lanciata dal padrone. Toto sta parlando con un meccanico, ma poco mi importa. Nonostante i suoi due metri sfiorati, lo prendo di forza per il braccio e lo faccio girare verso di me.

《Dov'è Hamilton?》 Chiedo con rabbia.
《Cosa posso saperne io? Sarà in giro.》 Dice vago.
《Toto, se sai dov'è dimmelo.》 Lo lascio, mantenendo il mio tono.
《Cosa è successo?》 Mi guarda, sistemandosi la giacca.
《Deve imparare a dire meno cazzate.》

Detto questo, me ne vado, lasciandolo in asso. Sarà pur da qualche parte. Continuo a guardarmi in giro, senza trovare nulla che possa condurmi a lui. Continuando a guardarmi intorno, noto che... sono l'unica ad avere un colore diverso da quello delle uniformi Mercedes. Mi sento quasi a disagio. Abbasso la visiera del berretto, metto le mani in tasca e continuo a cercare Lewis. Poi il miracolo. Valtteri! Mi avvicino a lui.

《Valtteri?》 Lo chiamo.
《Alexandra, come mai da queste parti?》 Mi chiede sorridendo, firmando un berretto ad un bambino.
《Sto cercando Lewis, l'hai visto?》 Inizio a pregare che l'abbia visto.
《Sì, stava andando da Sebastian. Dice che voleva parlargli di una cosa.》 Mi guarda.
《Seb? Cos- ok, grazie Valtteri. Sei l'unica gioia in questa giornata schifosa.》 Gli sorrido e me ne vado.

Accelero il passo andando verso i box Ferrari. Di cosa doveva parlargli? Spero solo non stiano litigando... anche se è impossibile. Quando si vedono litigano sempre, perché non dovrebbero farlo ora? Entro nei box e capisco, per l'ennesima volta, che la fortuna non è mai dalla mia parte. Non posso mostrarmi nervosa davanti ai media. Dannati giornalisti, sempre in mezzo nei momenti meno opportuni. Prendo un bel respiro, alzo la testa e guardo la signorina, che potrebbe avere la mia stessa età, che mi porge le domande. A rispondere sono vaga e dispersiva, molto incerta sul dire, ma non sono in vena di interviste e, credo, di averle fatto capire che sono abbastanza tesa. Mi saluta con un sorriso e mi lascia andare. Torno a cercare i due coglioni di turno. Sento la voce di Sebastian farsi ogni volta più vicino e, dato il suo tono, non credo stia parlando con qualcuno della scuderia. Mi avvicino sempre di più e, quando giro l'angolo, li ritrovo impegnati a cercare di non fare a pugni. Lewis mi dà le spalle, ne approffitto per avvicinarmi e tirargli un pugno ben piazzato dietro la schiena. Sibila dal dolore e Sebastian si zittisce. Lewis si gira di scatto, con un'espressione dolorante. 

《Ti piace dire in giro che mi porti a letto?》 Mi avvicino, pronta a tirargli un altro pugno. 《Ti piace dire in giro che me la faccio sia con te che con Vettel?》 Alzo la voce. 《Ti piace darmi della puttana quando poi sei il primo che mi corre dietro?》 Gli tiro uno schiaffo in piena guancia. 《Dimmelo...》 
Silenzio.
《Dimmelo!》 Alzo la voce.
Non risponde.

Sebastian è come pietrificato. Lewis si massaggia la guancia e mi guarda. Abbassa lo sguardo. Guardo Sebastian... e pensandoci bene non ha tutta la colpa, Lewis. Mi avvicino a Seb, tirandogli un pugno nello stomaco. Si piega in due, non credo per il dolore ma per la sorpresa e mi guarda.

《E tu... tu sei lo stupido che ha creduto alle sue cazzate.》 Lo guardo con disprezzo.

Guardo entrambi con disprezzo. Uno perché non ha avuto rispetto per le mie idee e per la mia figura, l'altro perché ci è cascato in un baleno. Stringo i pugni e aspetto una loro reazione... che non arriva.
Decido di non star più lì, in quel silenzio imbarazzante... non tanto per me ma per loro. Tolgo il berretto e lo lascio sopra l'auto di Sebastian. Adesso ho solo voglia di buttarmi su un letto comodo e non pensare. 

[...]

Il fastidioso suono della mia suoneria mi sveglia dal mio sonno perfetto. Ancora assonnata, cerco il mio cellulare alla ceca, tastando ogni spazio del comodino accanto al letto. Quando lo trovo, dopo aver aperto per bene gli occhi e aver realizzato di non essere ancora morta, guardo lo schermo, trovando ben quindici chiamate perse da mia madre e solo due da Sebastian. Strano che mia madre mi chiami così tante volte. Oh, rieccola. Rispondo immediatamente.

《Ehi, mamma.》
《Ma insomma, dov'eri?》 Mi sgrida.
《Mamma stavo... ecco... io stavo-》
《Sono già un paio di minuti che ti chiamo, Alexandra, dov'eri finita?》
《Mamma che hai?》 Chiedo preoccupata.
《È successa una cosa terribile.》 La sua voce trema dietro il telefono.
《Cosa?》
《Papà...》

Non continua che scoppia a piangere... ed io sono pietrificata. Non respiro. Non batto ciglio. Sono un vegetale. Le lacrime scendono lungo il mio viso fuori dal mio controllo, rigandomi più e più volte le guance, lasciando la loro traccia sui pantaloni che indosso.

《Che è successo a papà?》 Ho il coraggio di chiedere.
《Me l'hanno portato via! Quel pazzo... al volante... lui era andato a fare la spesa e poi... non è più tornato.》 Piange disperata.

Metto una mano davanti la bocca cominciando a rendermi conto della situazione, più o meno. Continuo a non parlare, ascoltando mia madre piangere dietro lo schermo del cellulare.

《Sai dirmi com'è andata?》 Cerco di chiedere ma la mia voce si spezza a causa delle lacrime.
《Tuo padre era andato a fare la spesa... poco prima di uscire dal supermercato mi chiamò, dicendomi che stava tornando... ma un pazzo ubriaco l'ha investito con tutte le ruote e... e papà non è più tornato.》 Tira su col naso.
《Papà... era in... macchina?》
《Sì... era in macchina.》

Mamma non ha mai avuto la patente. Non ha mai portato la macchina. Mio nonno, il padre di mia madre, era molto rigido su queste cose e... nemmeno dopo essersi sposata le fece prendere la patente. Ma, di solito, papà andava con mamma a far la spesa... perché questa volta no?

《Ah...》 È l'unico suono che esce dalla mia bocca.
《Le macchine sono uno strumento di morte... per favore... allontanati da questo sport, Alexandra.》... 《Non voglio perdere anche te.》

Chiudo la chiamata, non sapendo come continuare quella conversazione.

Quel Tedesco Bastardo 《VETTEL》Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora