46. Diversamente Normali

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Hogwarts, 7th-8th Nobember 1992

Newt, da lontano, guardò Tina e Alison.

Svanita la freddezza con cui si era sforzato di affrontare il salvataggio, si sentì invadere dal senso di colpa che, fino a quel momento, aveva tenuto fuori dalla propria mente, non senza sforzo.

Fu come se un peso l'avesse di colpo schiacciato a terra, come se Atlante in persona gli avesse lasciato il cielo sulle spalle.

Moriva dalla voglia di correre ad abbracciare sua figlia, la sua bambina. Voleva gettarsi a terra e stringerla e chiederle scusa per tutto quello che aveva, o meglio, non aveva fatto. Voleva chiederle perdono per non esserci stato, per averla lasciata sotto la responsabilità di altri perché "era la cosa migliore per lei", per non aver deciso di rimanere, fino all'ultimo, con lei.

Non importavano i problemi, i guai, i rischi. Lui avrebbe dovuto essere lì, quando il Graphorn l'aveva attaccata. Lui avrebbe dovuto ricevere un Patronus da un suo compagno di Dormitorio, anzi, avrebbe dovuto vedere lui la valigia che si dibatteva per tutta la stanza emettendo i versi dei Graphorn misti alle grida di sua figlia. Lui avrebbe dovuto correre giù per le scale ad aiutarla, lui avrebbe dovuto rischiare per lei. Perché lui era suo padre, e non importava quante giustificazioni si desse, era colpa sua. Quel giorno avrebbe potuto perdere sua figlia, ed era colpa sua.

Prese un respiro profondo, ricordando il discorso che lui stesso aveva fatto a Tina pochi minuti prima. Era inutile rimuginare su ciò che era successo. Ora doveva fare in modo che non succedesse più.

Sarebbe corso da sua figlia in quell'esatto momento. Ma non poteva.

Per prima cosa perché, forse era un po' antiquato da parte sua, ma non voleva che sua figlia lo vedesse piangere. E poi, perché quello era un momento tra le due ragazze. Era estremamente prezioso, ma lui sentiva di non farne parte. C'era qualcosa tra loro, che non c'era mai stato con Leta.

E infine, perché il senso di colpa era ancora troppo schiacciante.

No, non era il momento. Non lo era decisamente

Si girò e si incamminò silenziosamente verso Betty e sarebbe arrivato in fretta ma qualcuno lo fermò, o meglio, lo chiamò.

-Ehi, papà!-

L'uomo si fermò. Ecco, questo non doveva succedere. Si girò verso la bimba; aveva sciolto l'abbraccio con Tina, anche se era ancora inginocchiata.

I due si guardarono negli occhi. Non ci furono altre parole.

La bambina su alzò in piedi e corse dal padre.

Fu un abbraccio semplice, sincero, che racchiudeva tutto quello che non si erano detti, tutti i problemi non risolti e tutto l'amore che provavano l'uno per l'altra.

Si separarono di nuovo solo dopo innumerevoli minuti.

Newt accarezzò il viso della figlia, con i segni che le lacrime avevano creato lavandone via la polvere e lo sporco. C'era qualcosa di poetico in questo, ma lui riuscì solo a notare che era viva. La sua bambina era viva davanti a lui. Sentì un moto d'affetto per quella creaturina che era una parte di lui e allo stesso tempo molto di più. Lo aveva chiamato "papà", non "padre" come faceva sempre e come era stata educata a fare nella loro epoca.

In quel momento, giurò a se stesso che avrebbe fatto tutto il possibile per difenderla.

-Padre- mormorò la piccola, preoccupata. -Piangi?-

Newt si asciugò una lacrima. -No, tesoro. Sono solo molto felice.-

Ci pensò un attimo. -Chiamami più spesso papà, va bene?-

Animali Fantastici: La Porta dei MondiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora