CAPITOLO 23

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May

Infilo frettolosamente la mia roba nella borsa ed esco dalla roulotte. Non piove, ma fa molto freddo e io sono in maniche corte.
Mi mancherá questo posto e vorrei rimanere di piú, soprattutto per Jimmy e gli altri, ma ormai é fatta. Ce ne andiamo.
Ethan sta parlando col suo 'nuovo amico', é seduto su una sedia fuori da una roulotte e si tiene la testa tra i palmi delle mani.
So di aver esagerato prima, non so cosa mi sia preso, é come se tutta la rabbia che nutrivo in me mi abbia teso un'imboscata, ma non é giusto che me la sia presa con lui.
Mi avvicino ai due ragazzi, Jimmy mi guarda perplesso, deve aver saputo tutto. Io non sono così, non alzo praticamente mai la voce e odio litigare con le persone che amo. Ma é tardi per cambiare idea... e scappiamo da troppo tempo.

Mi fiondo su Jimmy e lo abbraccio piú forte che posso. É la persona piú sincera che io conosca, lui é limpido come un ruscello e non lo fa neanche apposta, questo é ció che adoro di lui.
"Mi mancherai." Sussurro. Lui affonda il viso nell'incavo del mio collo e intuisco che ricambia ogni cosa.
Dopo qualche secondo ci stacchiamo anche se contro la nostra volontá.

"Andiamo?" Mi rivolgo a Ethan.
Non mi risponde, si limita ad alzarsi in piedi e a dirigersi verso la macchina lasciando me e Jimmy soli.

"Ascolta, May, io non so esattamente cosa sia successo tra voi due, ma so bene di non aver mai visto nessuno piú innamorato della sua donna come lo é Ethan, quindi..."
"Lo so, ma..." Cerco di spiegare ma lui mi interrompe bruscamente.
"No, ora ascoltami, risolvete questa faccenda e tornate ad essere il diavolo e l'angelo che ho conosciuto. Se non vorrai ascoltarmi, non farlo, ma ti avviso che sarai tu a perderci." Conclude.
Mi guardo la punta dei piedi, mi vergogno perché so che ha ragione.
"Grazie." Gli dó un bacio sulla guancia e mi avvio verso la macchina.

Chiudo la portiera e mi accendo una sigaretta.
L'auto parte e io osservo l'alto tendone, che qualche giorno prima ci aveva accolto, svanire tra le fronde degli alberi.
Il silenzio é imbarazzante, vorrei dire qualcosa ma sarebbe un'idea pessima.
Ripenso alle cazzate che ho detto e a come si potrebbe essere sentito Ethan.
Come ho potuto essere cosí insensibile? Mi ha cercata giorno e notte salvandomi la vita.
Sono una stronza, é vero tutto ció che Cass mi urlava dietro quando eravamo solo io e lei.
Mamma e papá hanno fatto sí che la mia paura piú profonda tornasse a galla: mi hanno lasciata sola con me stessa, coi miei pensieri insani.
Ethan mi ha fatta rialzare e mi ha abbracciato, ha alleviato la solitudine ma non ha saputo guarire il dolore, poiché anche lui sta combattendo la mia stessa battaglia.

Sento gli occhi bagnarsi, le lacrime iniziano a sgorgare come nel pieno di una tempesta. Cerco di non fare rumore, guardo fuori dal finestrino e provo a moderare il mio respiro affannato. Butto la sigaretta, anche se a metá, nel posacenere.

Sento la macchina accostare e serro le palpebre intimando a me stessa di smettere di piangere.
Ethan spegne il motore e si gira nella mia direzione.
"Hey." Sussurra.
Sono intrappolata in un miscuglio di emozioni incomprensibili, quasi non mi riconosco.
"Sono davvero incazzato, ma non posso sopportare il vederti piangere, lo sai." Borbotta allungando una mano sul mio ginocchio.
S

ussulto impercettibilmente e mi giro verso di lui con gli occhi segnati dal pianto e le labbra bagnate.
"Scusa." Cerco di asciugare le lacrime con la maglietta bianca che lui mi aveva prestato qualche ora fa, ma ripensare a quanto sia stato premuroso mi fa sentire ancora piú di merda.
"Stai tranquilla." Mi prende il mento tra le dita e finalmente riesco a guardarlo negli occhi.
"Sei cosí bella quando piangi." Sorride al vedermi scoppiare in lacrime nuovamente.
"Scusa." Mi getto su di lui e lo abbraccio, appoggiando la testa sul suo petto.
"Tranquilla." Il suo sussurro si mischia al battito del cuore.
Mi circonda la vita con le braccia e, dopo un'infinitá di tempo, mi sento di nuovo a casa.

Ora comprendo la logica di tutto, del mio cuore, del suo: ho passato quasi tutto il viaggio a preoccuparmi di quando saremmo tornati a casa, consideravo quella bifamiliare a due piani come casa mia, ma non é cosí. Solo ora che le sue forti braccia mi sussurrano che sono al sicuro capisco che é questa casa mia.
Sei tu, Ethan, il posto in cui io mi sento protetta, dove posso mostrarmi per ció che sono.
Sei tu il mio posto sicuro.

"Ti amo." Piagnucolo attraverso il tessuto della sua felpa nera, respirando ogni molecola del suo profumo.
"Ti amo anch'io, piccola, ma te lo devo chiedere: dobbiamo proprio tornare a casa?" Sento la speranza traboccare dal suo tono di voce.
Passa qualche secondo prima che io risponda: "no."

Rimaniamo abbracciatati per un lasso di tempo interminabile, poi lui rimette in moto la mustang, fa inversione e il nostro viaggio della speranza ricomincia.
Non mi stacco dal contatto col suo cuore, sto cosí bene qui, dove nessuno puó toccarmi o ferirmi.

"Dove andiamo?" Chiedo accennando un sorriso. Vorrei rimanere cosí per sempre: tanto vicina a lui da poter origliare il battito del suo cuore ferito, il profumo di tabacco e vaniglia nell'aria e le nostre anime inesorabilmente fuse l'una all'altra.
"Los Angeles."
"La cittá degli angeli?" Ho sempre desiderato visitarla, da bambina sognavo di comprare um'enorme villa che si affacciasse sulla spiaggia di Santa Monica per i miei genitori.
"Esatto, é stata la nostra tappa principale fin dall'inizio, no? Ci fermeremo in un bellissimo hotel e so che ti da fastidio che io parli in continuazione della congrega, ma sono sollevato nel dirti che le streghe non ci troveranno mai lí, potremo stare tranquilli per un po'."
Ha paura che io faccia un'altra scenata.
"Non mi da fastidio, ma preferisco non parlarne perché tutta questa storia sta modificando la mia vita, ho sulle spalle un macigno davvero troppo pesante e cerco di non pensarci." Lo dico con tutta la calma e la sinceritá possibile.
Stacca un braccio dal volante per poi scompigliarmi i capelli e avvolgermelo intorno alle spalle.
Accendo la radio e trovo quasi subito una canzone che mi piace: smell like teen spirit dei Nivana.

"No, non é il momento giusto per il rock." Si lamenta Ethan, alzo gli occhi al cielo: é sempre il momento giusto per un po' di casino.
Sorride: "fidati di me: infila quella cassetta nel mangia nastri e seleziona la traccia 5."
Faccio come mi dice e in pochi secondi un'orchestra guidata da viole e violini si fa strada nell'aria tiepida dell'auto.
"Allora non scherzavi quando hai detto che ascolti anche la musica classica." Non posso dire che non mi sembrasse il tipo da classica, so che é molto sentimentale anche se cerca di non darlo a vedere.
"Giá, il mio compositore preferito é Mozart. Io lo considero un rock alternativo, mi aiuta a dare un senso alle cose brutte che mi succedono."
Le sue parole si mischiano allo stridulo suono degli strumenti a corde e per un attimo tocco il cielo con un dito. É questo il paradiso? Forse é rivivere all'infinito momenti che t'infondono gioia e amore, é questo ció che sento adesso.
"Non sono mai stata un'amante di questo genere, ma anch'io ho un punto debole in fatto di musica: sono innamorata di Claire de Lune di Debussy."
Ethan sorride : "é un po' scontato, piccola, tutti amano quel brano."
"Non posso non sentirmi offesa." Rido.

Le tre ore di viaggio passano lentamente mentre noi, i due amanti che fuggono dal mondo, parliamo di musica e di grovigli interiori difficili da comprendere.
Ma finalmente eccoci a Los Angeles, la cittá degli angeli caduti e di stelle nascenti, la cittá dove probabilmente tutto ha un suo senso logico.
Le strade sono popolate da gente che suona e gente che solo Dio sa dove sia diretta.
Superate la speranza e i sogni che dominavano quel magico paesaggio, la macchina si ferma di fronte ad un enorme e macabro edificio di svariati piani, troppi per riuscire a contarli.
Scendiamo e tiriamo fuori la nostra roba dal baule.
Non voglio giudicare nulla, questo hotel potrebbe salvarci la pelle.

La hall é davvero immensa: il soffitto é molto alto e da questo pendono diversi lampadari dalla luce soffusa che donano all'ambiente un'atmosfera lugubre. Nonostante l'ampiezza di questa stanza, mi sembra di essere in trappola.
Posiamo la borsa davanti al bancone di legno della reception dietro la cui é seduta una vecchia signora grassoccia e poco curata.

"Vorremmo una camera." Dice Ethan poggiando i gomiti sul tavolo.
La donna lo guarda da capo a piedi con un'espressione quasi disgustata dipinta in volto, poi appoggia davanti a noi una chiave attaccata a un portachiavi di legno con sopra inciso il numero 510.
Quando alzo la testa per ringraziarla noto che ha gli occhi inchiodati su di me.
"G-grazie." Balbetto.
Lei accenna un sorriso e per la prima volta da quando siamo entrati mi sembra gentile: "buona serata, se avrete bisogno di me io saró qui."
Allunga la mano verso di me e io gliela stringo: "comunque io sono Iris." Si presenta.
"May, May Foxx."
Le rivolgo un sorriso finto e piano piano ci allontaniamo, dirigendoci verso l'ascensore.

Insane || Evan PetersDove le storie prendono vita. Scoprilo ora