Capitolo 7: le spiegazioni o le scuse

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Mi sento il cuore in gola e il cervello in confusione. Ė come se il mio cervello fosse l'ufficio postale durante la domenica e ci siano tante piccole Melissa che lavorano per mettere in ordine le informazioni, impazzendo di tanto in tanto. 

Entro nella questura e subito mi sento gli occhi addosso degli altri poliziotti. Sguardi incuriositi? Certo. Sguardi incuriositi? Sicuramente. Patrizia mi fa strada nei corridoi pieni di quadri delle varie cerimonie, di sigilli e di mobili con timbri e fascicoli sopra.

Dopo aver percorso con l'ascensore quattro piani ed aver camminato per cinque minuti in altri corridoi bui e altrettanto pieni di fascicoli, ci fermiamo davanti ad una porta rossa con una targa che recita: "solo verità per il paese, niente bugie per gli amici". Mi lascia spiazzata e confusa allo stesso tempo. É una specie di frase intimidatoria, credo, e penso si riferisca al fatto che bisogna dire sempre la verità per il bene di tutti, che siano persone a cui vogliamo bene o che non abbiamo mai visto. Mi sento Dante quando arriva davanti alla porta dell'inferno e legge "lasciati ogni speranza o voi che entrate". Forse è lì che sto andando. O forse dove sto andando è pure peggio. Ho bisogno di un Virgilio, ma non credo sia Patrizia. Forse è Alessia, ma è a casa probabilmente a vomitare e a bere acqua; oppure è Antonella, ma credo che ora sia con qualche ragazzo a far finta che le interessi.

Patrizia mi ferma con entrambe le mani, poi , dopo aver guardato per due volte entrambi i lati del corridoio, mi fa una raccomandazione per sottolineare ancora di più l'atmosfera tetra.

- Permettimi di darti un consiglio. Ripeto, non sto cercando di influenzarti, voglio solo aiutarti a tornare il prima possibile a casa per dimenticarci di questa storia - mi dice sottovoce.

Quelle parole mi colpiscono. Dimenticarci tutto? Come potrei mai dimenticarmi questa storia?

 La racconterò un giorno ai miei figli se si innamoreranno di qualcuno conosciuto in vacanza, in modo tale da non far fare loro lo stesso errore fatto dalla madre anni prima. Non mi sono mai fermata a pensare a come saranno i miei figli, o a quando li avrò, ma onestamente spero che saranno più forti di me caratterialmente. A loro serve un'arma. Io sarei solo lo scudo.

- Dimmi, ti ascolto - le rispondo dopo un'attenta analisi di ciò che mi ha appena detto.

- Devi dire a mio padre tutto ciò che sai, o lui non ti darà pace finché non scoprirà la verità - 

-  Gli direi in ogni caso la verità, proprio perché voglio ritornare a casa il prima possibile - le rispondo con acidità. 

Lei annuisce, poi bussa sulla porta rossa e si sente una voce dalla stanza che dice "Avanti".

- Papà c'è Melissa De Luca, la ragazza che viene da Roma - spiega Patrizia affacciandosi nell'ufficio di Cataldo. Essendo la porta poco aperta riesco a scorgere solo due poltrone verdi davanti alla scrivania. Da qui quelle poltrone sembrano molto scomode.

- Falla entrare - risponde Cataldo, poi Patrizia si gira verso di me e mi fa cenno di entrare.
- Mi raccomando - mi ripete, e io annuisco.

Entro piano in quell'ufficio e mi accorgo di quanto sia grande in realtà. Ci sono due grandi finestre luminose e vi è un grande tappeto verde sotto la sua scrivania. Sulle pareti ci sono altre fotografie e anche molti calendari. Mi sembra un tipo organizzato. 

E poi c'è lui : un poliziotto giovane in realtà, ma anche piuttosto corrucciato e concentrato su ciò che sta facendo. Non sembra darmi troppe attenzioni, per cui mi siedo delicatamente sulla poltrona aggiustandomi la gonna. Queste poltrone sono più comode di quanto pensassi. 

- Buongiorno - commento ad un certo punto vedendo che Cataldo sta continuando a controllare il pc senza dirmi nulla.

Non mi risponde, ma dopo qualche minuto di mia contemplazione del panorama lui chiude il pc e si toglie gli occhiali.

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