Capitolo 4: ciao Milano

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< Ciao papà > rispondo al telefono mentre arrivo nella stazione di Milano Centrale. Dal finestrino sulla porta del treno riesco a vedere la mole di gente sul binario che aspetta i propri familiari, o i propri amici, o la propria metà. Avrei voluto che ci fosse stato Alberto ad attendermi in stazione, magari con un mazzo di rose rosse in una mano e i suoi soliti occhiali da sole graduati che lui metteva anche quando non c'era il sole solo perché "fanno lo stile". 

< Ciao tesoro, mi è dispiaciuto non essere stato a casa a consolarti insieme alla mamma. Sei una ragazza forte, e so che adesso hai tanta rabbia dentro di te da poter usare al meglio. Collabora con la polizia al meglio e speriamo che questo incubo finisca presto >

< Fornirò alla polizia tutti i dettagli necessari per mettere un punto a questa storia. Mi mancate moltissimo, e mi manca anche la mia adorata Roma > rispondo mentre blocco la mia valigia rosa tra le mie gambe per non farla muovere. Nel frattempo, anche Alessia mi ha raggiunta e ora si sta sistemando il rossetto con un piccolo specchietto a forma di teschio. Macabro ma affascinante. 

Le parole di mio padre mi hanno fatta riflettere e mi hanno fatto capire che tra qualche ora, quando mi recherò da Cataldo, tutto il dolore che mi sta consumando ora diventerà rabbia pronta ad uscire fuori. Nonostante la rabbia sia uno strumento di difesa o di combattimento, è anche un attrezzo da maneggiare con cura perchè potrebbe essere distruttiva.

< Ne sono sicuro, noi siamo fieri di te. Aggiornaci e fai attenzione > dice, poi lo saluto e chiudo la telefonata. Mio padre è sempre stato un uomo di poche parole, persino con me che sono sua figlia, ma so che, le poche volte che mi parla, lo fa perché vuole davvero farlo, non perché è costretto. E a me va bene.

< Ciao Milano > commenta Alessia sotto voce e avvicinandosi a me per scendere, dopo quasi sei ore, finalmente da quel treno. Durante il viaggio c'era un ragazzo che aveva il posto nella carrozza accanto alla nostra ma che continuava comunque a venire da noi con la scusa di andare in bagno. Alessia ogni tanto gli lanciava qualche occhiataccia, mentre io me ne stavo lì a leggere o ad ascoltare la musica immersa nei miei pensieri. Chissà chi aveva notato tra me e lei.

< Davvero, ciao Milano> commento a mia volta , poi sentiamo il treno annunciare l'arrivo in stazione. Apriamo la porta e usciamo dal treno ricominciando a respirare aria non rarefatta, seppur non totalmente pulita. Qui c'è la nebbia, e proprio per questo motivo la stazione ha un qualcosa di terrificante. 

Mentre cammino su quel binario immerso nella nebbia, vedo persone che si abbracciano e che si baciano, e mi rattristo. Alessia sembra accorgersene e mi mette una mano sulla spalla, poi mi guarda come per dirmi "dai puoi farcela". Ci dirigiamo verso l'uscita della stazione, poi cerchiamo un taxi per dirigerci nell'albergo prenotato dai miei genitori.

- Non è un albergo di lusso vero? Altrimenti dovrò aprire un mutuo - mi chiede Alessia estraendo dal suo portafoglio nero pochi spiccioli e mostrandomeli ridendo.

- Non sono una ragazza figlia di ricchi, non preoccuparti - rispondo mentre il tassista ci porta in albergo. 

Durante il viaggio non parlammo molto poiché entrambe eravamo assorte nei nostri pensieri: io pensavo a quello a cui stavo andando incontro, mentre Alessia stava riguardando le conversazioni fatte con il suo ragazzo e pensava probabilmente a cosa avrebbe potuto dire al posto di quello che ha detto alla fine.

Arriviamo davanti ad un albergo rosa e con balconi eleganti e marroni a forma di mezzaluna, tipo quelli che ci sono nelle ville più grandi e belle. Entriamo timidamente e, dopo aver confermato la mia prenotazione e aver registrato Alessia, ci dirigiamo nelle nostre camere. Non venivo in un albergo da quando andai a Parigi, ma devo cercare di non pensarci per il mio bene.
" Se vuoi bene a te stessa, non fare paragoni con il passato ". Questa è la frase che continuo a ripetermi da quando sono partita, e a cui devo cercare di dare più ascolto.

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