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Le onde probabilmente mi avevano portata notevolmente lontana dalla riva, dove l'acqua era più profonda e la sabbia non voleva sfiorare le punte tese dei mie piedi. Li sbattevo freneticamente, restando a galla senza troppa difficoltà, mentre i miei occhi erano immobili a fissarla.
Stava ridendo.
Un grande sorriso le illuminava il volto, ed era così bello, bello da far male, dentro, nel mio cuore... lo sentii contrarsi, contorcersi davanti alla sua bellezza.
Lo percepii sospirare, impotente e rassegnato, un sospiro striato dal tormento.
I capelli le si erano appiccicati sulla fronte, e tra le ciglia erano cucite delle delicate gocce d'acqua.

Quando anche lei mi vide, dedicandomi tutta la sua attenzione, i brividi mi percorsero le braccia, poi la schiena e poi le gambe.
Inclinò la testa lievemente di lato, mantenendo quell'espressione radiosa, quella luce che viveva in lei, come se fosse la proiezione vivente di una di quelle stelle che pendevano sopra le nostre teste.
Poi, improvvisamente, quel sorriso si bloccò, e le palpebre si tesero, le sopracciglia si raggrinzirono in una smorfia, e i polmoni sembravano non volersi gonfiare con aria nuova.
Quell'espressione dominava sul suo viso, come se qualcuno le avesse sparato, e il disappunto fosse stato sostituito dal dolore della morte che iniziava a propagarsi in ogni parte del corpo.
Pronunciò il mio nome in un sussurro, così lieve che dubitai di averla sentita veramente, così flebile da essere una richiesta di aiuto.

Spaventata, terrorizzata, mi gettai su di lei, mi lanciai verso il suo corpo che ora tremava impazzito.
La strinsi tra le mie braccia, che temevo non fossero abbastanza robuste per sostenerla, la strinsi forte a me, mentre i miei occhi iniziavano a bagnarsi e gocce salate scivolarono sulle mie guance, lacrime che si mischiarono silenziosamente con il mare. 
Gridai forte, con tutta la voce che avevo in gola, con tutto il bisogno che avevo in petto, gridai.
Implorai che qualcuno venisse ad aiutarci, pregai che qualcuno la salvasse, che qualcuno curasse il suo dolore.

Me la sfilarono dalle braccia mentre il suo corpo si stava afflosciando, le forze l'avevano quasi totalmente abbandonata ed era in balia di mani sconosciute.
Continuavo a chiedere cosa stesse succedendo, mentre i miei occhi ormai arrossati non volevano smetterla di piangere.
E lei si sforzò di sorridermi, la vidi chiaramente, la fatica causata da quel gesto, notai i muscoli tirarsi con una lentezza infinita e soffrire per mantenersi saldi.
<< È... solo... un mal di... testa >> soffiò, tentando, da buona madre, di tranquillizzarmi, di rasserenarmi; soffiò quelle parole con diverse pause, nelle quali cercò di riprendere fiato, nelle quali cercò un appiglio, ma le scivolò via, svenendo debolmente, cadendo nell'oscurità.

Ed io rimasi lì a disperarmi, a seguirla arrancando, singhiozzando, pregandola di svegliarsi.
Continuavo a chiedere cosa fosse successo, ma nessuno sapeva darmi spiegazioni, invece che risposte, trovavo poste davanti a me altre domande inquisitorie, ed io, che sentivo il peso della colpa gravarmi sul petto, come un mattone pesante, mi giustificavo dicendo tremante che noi stavamo solo nuotando, io e la mia mamma... stavamo facendo una gara di nuoto e poi ci siamo salutate sott'acqua.
E lo giuravo, lo giuravo che non era accaduto nient'altro.
Non l'avevo fatta arrabbiare, non avevo combinato casini, non avevo fatto niente.
Eppure li avevo sentiti quei signori con indosso quei lunghi vestiti bianchi, si erano voltati, senza allontanarsi, mi avevano dato solamente le spalle, ed avevano pronunciato la mia sentenza.
Era stata colpa mia.
"Sicuramente la bambina avrà fatto qualcosa."
E lo avevano detto con una convinzione tale, che io, sola su una di quelle scomode sedie di plastica degli ospedali, ci avevo creduto.

Ed era inutile piangere, ma non riuscivo a smettere; ed era inutile che, con le mani strette insieme, pregassi che la mia mamma stesse bene, ma io continuavo a farlo.
Era inutile, perché lei adesso era oltre quella porta ed io non potevo nemmeno vederla, non mi permettevano, nemmeno di sfiorarla con gli occhi.

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