Era ormai il tramonto; aveva camminato tanto, ramingato nelle campagne nel tentativo, o nella speranza, di raggranellare qualche pensiero ragionevole sul da farsi. Pentito dell'ultima stoccata, ma risoluto a mantenere la propria posizione, si era ritrovato per caso sulla strada sterrata per Trestalli e si era diretto laggiù per trascorrere la notte in un luogo riparato. Si sarebbe preso del tempo per riflettere sulla situazione: a mente lucida, riposata, avrebbe sicuramente pensato meglio.
Trestalli era un paese ancora più piccolo di Vallebruna: aveva giusto due locande, una stazione di cavalli, una piccola bottega di fabbro, la stamperia della Palla e quella del Fiordaliso e quattro o cinque case basse e modeste. La vita del centro abitato girava attorno alla strada maestra che la fendeva in due e che portava direttamente al valico sulle montagne che segnavano il confine meridionale del ducato: le due locande alloggiavano i viaggiatori, le due stamperie producevano libri per l'esportazione, il fabbro rimetteva a nuovo carri e carrozze e forgiava nuovi ferri per gli zoccoli dei cavalli. Ottavio, giunto lì sul far della sera, trovò un brulichio di persone fuori dalla porta dell'Oca storta e decise che avrebbe alloggiato in una delle sue camere. Si affrettò a entrare, anche perché, dopo tanto camminare, il suo stomaco brontolava.
Sedette a un tavolino solitario, ma l'oste lo notò subito e gli mandò una giovane cameriera dai capelli ramati che gli servì una brocca di vino accompagnata da una scodella piena di zuppa.
«Si potrebbe avere del pane?» le domandò prima che lei si dileguasse. E, ottenuta una pagnotta già possa, sorseggiò dal bicchiere e cominciò a mangiare. La zuppa era terribile, i sapori non erano dosati e per di più era salata, in barba al costo del sale. Tuttavia, la inghiottì a forza fino all'ultima cucchiaiata, aiutandosi con il vino. Quando fu sazio, poté distogliere l'attenzione dal piatto e dedicarsi all'osservazione: la locanda aveva il soffitto piuttosto basso, il che conferiva un aspetto di ristrettezza e soffocamento. Come se ciò non fosse sufficiente, l'ambiente era ingombro di oggetti di ogni sorta, bicchieri, calici, pinte, botti, sgabelli, tavoli... non c'era angolo dove si potessero posare gli occhi senza che vi fosse niente. E sul pavimento si distendeva un tappeto di sporcizia, soprattutto cibo caduto dai tavoli o vino rovesciato tra brindisi e insulti. Si provvedeva ad asciugarlo con la segatura, ma il tutto rimaneva abbandonato sul posto, accumulando spazzatura a spazzatura. E non mancavano gli animali: a un tratto, un bastardino di taglia media, spelacchiato, passò tra le tavolate elemosinando qualche boccone mentre un gatto, animale troppo superbo per mescolarsi alla gentaglia, contemplava da un davanzale l'avvicendarsi dei clienti e delle cameriere. L'oste era il re del bancone, sul quale si appoggiava con alterigia mal celata da affabilità, le braccia aperte e le mani salde sul piano, le spalle un poco inclinate in avanti.
Ottavio si ritrovò perfettamente nella descrizione che Ferraris aveva fatto di Cecco Stracci pochi giorni prima; ma si riscosse e ricacciò indietro quel ricordo, per non vedersene piovere addosso una quantità insopportabilmente dolorosa. Fino alla mattina dopo non avrebbe dovuto pensare a nulla, perciò ordinò una nuova brocca di vino e la tracannò in quello che gli parve un batter d'occhio.
Guardandosi nuovamente attorno con la vista offuscata e la mente confusa, il marchese cominciò a figurarsi scene insolite: d'un tratto l'odore stantio della locanda gli sembrava familiare, così come il colore grigiastro delle pareti attaccate dalla muffa; anche il cane aveva un che di già visto e, quando ebbe l'occasione di accarezzarlo, lo fece volentieri, perché gli piacevano i cani. E quello lo annusò, scodinzolò e completò due giri attorno al tavolo per poi poggiare le zampe sulle ginocchia del giovane uomo che gli accordava più confidenza di quella a cui era abituato.
«Dovresti chiamarti Argo, e io Ulisse», constatò, non così ubriaco da dimenticare uno dei passi preferiti dell'Odissea. Il cane abbaiò, quasi che avesse capito, e Ottavio risentì all'orecchio la voce di Ferraris che lo rimproverava: «Non accarezzatelo, ha le pulci!»
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Sposa di marchese
Ficción históricaSequel di "Figlia di mercante" Una nuova, rocambolesca avventura sta per coinvolgere Galatea e la sua famiglia. Nessuno, nemmeno la sposa del marchese, può ritenersi al riparo dalle insidie della vita: ogni momento felice può racchiudere in sé il ge...