La vita era diventata monotona, grigia come l'intonaco sporco dell'interno della casetta. Persino il materasso sembrava comodo, ora. Solo il rapporto coniugale era tornato alla freddezza di prima, quando invece la presenza di Ferraris aveva dato una scossa, come un lampo contro un vecchio albero secco.
Era tornata melancolica, Galatea: le piaceva stare sola, con le finestre serrate, nella penombra della sua cucina, a contemplare le ferite rosseggianti dei tizzoni affondati nella cenere del camino. Da lontano, quasi da un altro mondo, arrivavano le risate dei bambini che giocavano in cortile. La portafinestra della camera da letto, infatti, era aperta, per lasciare cambiare aria all'ambiente. Aveva l'impressione che il tempo non passasse, se rimaneva al buio; l'atmosfera ovattata le ricordava quella dei sogni e la faceva sentire al sicuro dalle sofferenze della vita reale. Di tanto in tanto, senza accorgersene, accarezzava il grembo con delicatezza, ma in un movimento piuttosto distratto, istintivo, ma vuoto di qualsiasi amore, come se lo facesse più per abitudine che per altro; ma si sarebbe parlato meglio di autocompatimento.
«Teresa, Teresa!» la chiamò dal balconato una voce conosciuta. «Non venite al lavatoio anche voi? Mi dicevate che avete ceste e ceste di panni...»
Era Laura, la moglie di Calabracchi: era salita fino al piano di sopra per avvisarla, mentre era verosimile che le altre donne aspettassero già in piazza. Galatea scattò in piedi, corse nell'altra stanza e trovò la vicina già lì, entrata senza permesso con le migliori intenzioni.
«Come siete giù di corda, signora mia! Venite, una passeggiata e un po' di lavoro vi faranno rinvenire.»
La strada per il lavatoio risaliva il corso di un fiumiciattolo che tagliava in due il paese e, con il proprio estuario, creava le condizioni per il porto. La comitiva contava una ventina di donne, tutte dei paraggi, e qualcuna si aggiunse lungo il cammino; in meno di dieci minuti, tra chiacchiere e canti popolari, raggiunsero una vasca alimentata da un ruscello che si staccava dal fiume e veniva incanalato in un sistema di tubazioni rudimentale, ma funzionante. Le donne si disposero lungo i bordi, piazzarono le ceste alle proprie spalle e, afferrato il primo lembo disponibile, si misero a strofinare i panni su lastre di pietra ruvide, senza risparmiare le nocche delle dita. Galatea aveva già la propria esperienza e, benché la prendessero un po' in giro per i suoi modi troppo aggraziati, riusciva a pulire la biancheria con ottimi risultati.
Il clima allegro, come aveva detto Laura Calabracchi, la aiutò a svagare la mente dai pensieri più tristi; rispuntò un timido sorriso sulle sue labbra, una tenue luce nei suoi occhi. Tuttavia, per quanto le piacesse la compagnia, avvertiva un'istintiva diffidenza. Per non arrovellarsi su questo punto, che a veder bene le sembrava insensato, cominciò a percuotere la camicia di Ottavio contro la lastra, nel tentativo di lavare via una macchia di inchiostro. E non bastò che a vincere fosse la macchia: nemmeno la diffidenza si ammorbidì. Quando stava per intestardirsi contro l'inchiostro, ecco che una comare si stacca dal gruppo, saluta e se ne torna per conto proprio al paese con la cesta di panni puliti e zuppi.
«Sta andando? È andata?» bisbigliò una giovane donna di nome Agnese, allungando il collo per scorgere la figura sempre più piccola sulla strada sterrata.
«Sì, sì! Ormai non ti sente più. Racconta!» la incitò un'altra, una certa Marta.
Tutte si protesero; Galatea, attratta dalla curiosità, fece altrettanto, sporgendosi sulla vasca. Agnese mosse un'occhiata dandosi un'aria d'importanza, quindi disse: «La Luisa s'è incontrata con il garzone della bottega sotto casa sua. L'ho vista io che gli prendeva la mano e gli chiedeva se volesse un bicchiere d'acqua dopo la consegna».
«E non l'avrà fatto salire solo per un bicchiere d'acqua!» esclamò una di nome Giovanna con la voce di una gallina. Le risate che sorsero furono più che un cenno di assenso, furono una vera e propria sentenza. Galatea, gettando un'occhiata nella direzione presa poco prima da Luisa, si sentì mozzare il respiro.
«Vogliamo dire qualcosa di suo marito? Quel povero stupido citrullo rimbambito?» incalzò Laura, rimestando nell'acqua con un paio di mutandoni.
Marta le fece segno di farsi da parte e disse la propria: «Per me, lui è un incapace; e non solo nel suo lavoro, sapete cosa intendo. Non fatemi dire cose che in bocca a una signora non stanno bene».
«Se la moglie va con il garzone del panettiere, un motivo ci sarà.»
«Dopotutto quello impasta di mestiere, si sa!» commentò Paolina, una delle più anziane del gruppo. E giù altre risate sguaiate; non sembravano risa di donne, ma schiamazzi di tacchini, strilli di maiali all'ingrasso. Galatea, sempre più toccata da quelle parole cattive, genuinamente cattive, si stupiva di non vedere nemmeno l'ombra di una piccola Discordia.
«Anche la moglie del Rossi, mi han detto, ha messo gli occhi su quel Bastiano che lavora in stamperia», riferì puntuale Laura, volgendosi poi a Galatea: «Almeno lui è scapolo; ma non temete, Teresa, il vostro Tommaso è matto di voi. Non ce n'è per altre».
«Ha torto? Va' che bellina che è! Siete proprio bella, Teresa!» gorgogliò Agnese usandole l'espressione di vezzo che si rivolge ai bambini nelle culle. Galatea abbozzò un sorriso imbarazzato, ma comprese che volevano una o due parole anche da lei: d'altronde, la fama del suo matrimonio era circolata immediatamente.
«Noi... ci vogliamo molto bene», ammise arrossendo; il suo cuore sobbalzò, batté più forte, gli occhi le formicolarono. E con suo grande stupore non si trattava di tristezza, ma di sollievo, di gioia genuina.
«Che bel faccino che avete!» la vezzeggiò Marta, facendole un pizzicotto sulla guancia.
«La più bella del paese!» soggiunse Paolina con fare da matrona.
I complimenti non cessarono finché non spuntò un altro argomento saporito: la tresca del prete. Badando a malapena ai pettegolezzi delle donne, Galatea apprese che tra il parroco e la sua serva c'era del tenero; la sua vera preoccupazione, ora, era tornare a casa, stendere la biancheria e rintanarsi nella sua cucina buia fino al ritorno di Ottavio dalla tipografia.
Ma il piacere della conversazione andava oltre il tempo necessario alla mansione di lavandaie: quando anche la situazione della canonica fu esplorata senza pudore nei minimi particolari, una ragazza che non aveva ancora parlato fremette a un rumore improvviso dalla strada. Un giovane, figlio di mezzadri, tornava a casa con gli acquisti. La paurosa fu additata allo scherno delle più smaliziate e, per salvarsi dalle prese in giro, si giustificò: «Questi posti non sono più sicuri...»
«Esagerata!» la rimproverò Agnese. «Quella se l'era cercata o non sarebbe finita così!»
«Di chi si parla?» domandò in un soffio Galatea a Marta, che le stava accanto. E lei, guardandola con tanta comprensione, disse: «Teresa, voi non lo sapete! L'anno scorso una sciagurata, una giovinetta insipida, è stata trovata in acqua, a faccia in giù tra gli scogli. Non era di qui, infatti non sappiamo nemmeno come si chiamasse; non era di Trestalli e nemmeno di San Giulio e tutti giurarono e spergiurarono di non saperne niente».
«Era una di quelle che rubano i mariti delle altre», tagliò corto Paolina, ammassando i panni nella cesta e sollevandola fino al fianco per poggiarvela e aiutarsi.
Galatea si trovò senza voce e stentò a chiedere: «Uccisa?»
«Non si sa... Era morta da poco, ma non si sa come: anche l'ufficiale disse che poteva trattarsi di suicidio, ma nel dubbio il parroco le ha fatto il funerale con tutti i crismi», rispose Laura.
«Non era suicidio: l'hanno ammazzata e Teresa ha detto bene! Uccisa, sì, con una botta in testa!» insistette Marta, decisa a difendere la propria opinione.
«Non ne sai niente! Potrebbero essere stati gli scogli, come fai a dirlo?»
Le risate a gorgheggio cedettero il posto a grida stridule e taglienti; in piccoli capannelli, le donne si avviarono per il ritorno, ciascuna con la buona cesta di bucato sottobraccio. Galatea, ignorata da tutte quante, si accodò al gruppo senza offendersi per la poca considerazione che le veniva dimostrata; d'un tratto, Marta si volse di nuovo a lei, le diede un altro buffetto vigoroso sulla guancia e ripeté, come a farle coraggio: «Bel faccino! Bel faccino che siete!»
E da qualche parte qualcuno, non si seppe mai chi, sussurrò: «Bel faccino da sgualdrina, altroché!»
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Sposa di marchese
Historical FictionSequel di "Figlia di mercante" Una nuova, rocambolesca avventura sta per coinvolgere Galatea e la sua famiglia. Nessuno, nemmeno la sposa del marchese, può ritenersi al riparo dalle insidie della vita: ogni momento felice può racchiudere in sé il ge...