Galatea non aveva mai cucinato in vita propria, ma nessuno le fece pesare i fallimenti dei suoi ripetuti tentativi; Ottavio mandava giù cucchiaiate di zuppa senza muovere critiche, né che fosse sciapa né che fosse salata, e Ludovica, che a volte assisteva la mamma attorno alla pentola, sapeva quanto impegno e quanta fatica le fosse costata quella brodaglia vagamente tinta di colori indefinibili, con qualche pezzo di verdura galleggiante. Piatti, cucchiai e mestoli erano tutti di legno; di legno erano i pochi mobili della casa, che consistevano in una credenza, una madia e un tavolo con quattro seggiole. Il pavimento, ripulito nel giro di due giornate, era tornato di un bel colore rosso vivo, eccetto per due grosse macchie d'olio vicino al camino. E il camino, con la cappa nera di fumo, aveva richiesto il lavoro di due ragazzini per essere sturato; ora funzionava in modo accettabile.
Più i giorni passavano, più Ottavio rincasava stanco e sudato; non essendo capace di stendere l'inchiostro sulla forma, il maestro lo aveva confinato al ruolo di torcoliere e le sue spalle ne avevano risentito. E se da un lato la cena non era abbastanza sostanziosa e ricca da dargli un po' di energia, dall'altro nemmeno il riposo notturno era ristoratore: il pagliericcio nuovo con cui avevano sostituito quello muffito non era molto comodo e doverlo dividere in tre complicava ulteriormente la situazione. Ludovica dormiva al centro, con suo grande piacere, cinta dalle braccia di mamma e papà; per loro, però, non era altrettanto piacevole, abituati com'erano a materassi più spaziosi e meno affollati.
Le prime settimane furono il periodo di assestamento, un periodo nel quale ciascuno provò a farsi alleati e amici in ogni ambito cittadino: a Ottavio toccavano gli uomini lavoratori, i colleghi e i loro compagni di bevute nella pausa del pranzo, i fornitori di carta, i fornitori di inchiostro; a Galatea, invece, si apriva il panorama delle donne di borgo, i cui ritrovi principali erano il forno del pane, il lavatoio e il mercato; Ludovica, inconsapevolmente, faceva da tramite tra la propria famiglia e quelle vicine, facendosi accettare nei giochi dei coetanei e accattivandosi la simpatia delle loro madri.
Poi, verso la metà di giugno, Ferraris li raggiunse: la sua visita era stata concordata prima della partenza, tuttavia li colse quasi di sorpresa, infranse, per così dire, i ritmi della nuova vita. Quando arrivò, vestito in abiti meno sfarzosi del solito, ma comunque di un certo gusto, era un pomeriggio caldo e affollato per via del mercato del martedì; Galatea era a casa da sola e stava sistemando gli acquisti nella credenza. Udì la campanella suonare e si affacciò alla finestra, riconoscendo in un attimo l'ospite. Scese di corsa ad aprirgli e gli fece strada al piano di sopra senza smettere un momento di parlare: gli parlò delle condizioni della casa, gli parlò delle difficoltà in cucina, del lavoro di Ottavio, della spensieratezza di Ludovica. In cambio, una volta al sicuro delle mura domestiche, volle sapere come stessero i gemelli, se fossero arrivati sani e salvi al monastero e se qualcun altro sapesse dove si trovassero. Ferraris la rassicurò in ogni cosa e, a ulteriore riprova, le consegnò una lettera che l'abate della Vergine stellata gli aveva affidato di persona. Galatea la divorò e poi, dando le spalle al gentiluomo, la ripose sotto il corsetto perché anche Ottavio, più tardi, potesse leggerla.
«E Giovannino?» domandò Galatea, volgendosi nuovamente all'ospite che, sorridendole, le rispose: «Quel goloso ha voluto star giù, al mercato, a fare incetta di dolci. Quando sarà soddisfatto della razzia verrà su».
«L'avete portato, dunque! Non vedo l'ora di farlo salire!»
«Gliel'avevo promesso, che l'avrei portato a vedere il ducato insieme a me. Ormai è un ometto; non dico un uomo fatto, ma tra qualche anno sarà alto come me.»
Detto ciò, Ferraris tacque guardandola fissa. Galatea non abbassò gli occhi, nonostante un leggero tremito dietro la nuca.
«Lui lavora tutto il giorno?» domandò a propria volta, piano. Lei non riuscì a interpretare il suo tono di voce e, di conseguenza, il senso recondito della domanda; si morse il labbro e: «Sì, fin quasi al tramonto», disse a bassa voce. Non aveva nulla da nascondere, ma la gola le si era come chiusa. Ferraris non distolse lo sguardo, anche se le sue labbra si tesero impercettibilmente, abbozzando un sorriso che scomparve in meno di un secondo e di cui Galatea quasi non si accorse.
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Sposa di marchese
Tiểu thuyết Lịch sửSequel di "Figlia di mercante" Una nuova, rocambolesca avventura sta per coinvolgere Galatea e la sua famiglia. Nessuno, nemmeno la sposa del marchese, può ritenersi al riparo dalle insidie della vita: ogni momento felice può racchiudere in sé il ge...