9 luglio 1676

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«Tea...»

Galatea socchiuse gli occhi, subito infastidita dalla luce che entrava dagli spiragli della portafinestra. Si stiracchiò lamentandosi con un suono nasale, stordita da tante belle sensazioni che, lì per lì, non seppe a cosa ricondurre. Si volse verso la voce, si schiarì la vista battendo veloce le palpebre e guardò Ottavio dritto in viso. Lui, con aria di rimprovero, sollevò delicatamente un lembo della sottoveste di lei e le celò un seno del tutto scoperto.

«E se ti ha visto?» borbottò, alludendo a Ferraris, che si era già alzato. Galatea arrossì tutto d'un colpo, non tanto per quanto le aveva detto Ottavio, ma piuttosto perché le era tornato in mente cos'era accaduto la notte precedente. In quella prospettiva, un seno scoperto diventava un dettaglio irrilevante. Ottavio, però, non sospettava nulla e, mettendosi seduto, continuò a brontolare sottovoce: «Dovresti fare più attenzione quando annodi i nastri...»

Il punto era che, quando aveva indossato di nuovo la sottoveste, non aveva annodato un bel nulla. Era troppo presa dal turbine della passione: da un lato, non aveva tenuto il conto dei baci dati e ricevuti, dall'altro coprire le nudità era l'ultima cosa che le importava.

Si morse il labbro, affrettandosi a mettere in atto il consiglio del marito; avrebbe voluto sentire anche il morso del pentimento, della colpevolezza, insieme a quello dei propri denti sulla carne tenera. Eppure, nonostante quasi si sforzasse di suscitare dentro di sé sentimenti di contrizione, riuscì solo a distinguere più nitido l'appagamento passato e il desiderio insaziato. Stava per protendersi verso di lui con l'intento di trattenerlo ancora un poco nel letto con lei, quando una vocina odiosa risorse dai meandri della sua mente e disse: "Credi che non si accorgerà di quello che hai combinato stanotte?"

Impietrì, il braccio già alzato ripiombò di peso tra le lenzuola, come avesse mancato la presa e fosse precipitato. Ottavio non se ne accorse perché le dava le spalle; ma Ferraris, sopraggiunto in punta di piedi dalla cucina per non svegliare i bambini, fece in tempo a cogliere quel movimento. Ciononostante, stette ben zitto, evitò persino di guardarla con troppa insistenza.

«Voi,» lo chiamò Ottavio, sollevandosi di slancio e sgranchendosi i muscoli, «che cos'avete in programma oggi?»

Ferraris non era certo quella persona che si lascia cogliere impreparata e, fingendo di cercare qualcosa tra i vestiti, rispose: «Ho promesso a Giovanni che l'avrei portato a Ponte San Giulio a vedere i soldati. Lungo la strada avrò abbastanza tempo per pensare a quali domande rivolgere a Cecco Stracci, quando lo incontreremo».

Ottavio annuì condividendo quanto detto, poi si concesse una toeletta veloce, si rasò la barba in fretta e male e si rivestì con gli abiti del giorno prima.

«Domani andrai al lavatoio?» chiese mentre si sistemava il colletto della camicia. Galatea gli disse che no, non ci sarebbe andata; avrebbe dovuto avvisare anche la signora Calabracchi, ma l'avrebbe fatto più tardi.

«Ci andrò sabato, è meno affollato al sabato», concluse passando una mano tra i capelli sciolti, accingendosi a ricomporre la treccia. Ferraris inspirò, cercando di controllare il flusso dei propri pensieri; Ottavio, con la coda dell'occhio, notò quell'impulso e ne provò un gran fastidio, fastidio che lo indusse a condurre via l'intruso dalla camera per permettere alla moglie di vestirsi con calma.

Galatea, rimasta sola, fremette di piacere; un lungo brivido la pervase e la fece ridistendere tra le lenzuola, dove si mosse con fare sinuoso ed estremamente sensuale. Si inebriò di ricordi e di speranze, di sogni ancora da realizzare e di emozioni da provare di nuovo. Faticava a riconoscere il proprio corpo in preda a istinti che non aveva mai sperimentato, istinti forti e totalizzanti. Si scoprì a respirare in modo affannoso, a ciondolare su e giù sul materasso, con le braccia distese ad accarezzare i giacigli degli uomini, ora vuoti.

Sposa di marcheseDove le storie prendono vita. Scoprilo ora