14 luglio 1676

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Ottavio socchiuse gli occhi; le tempie gli rimbombavano ancora e per questo faticò a guardarsi attorno senza avvertire un fastidioso capogiro. La testa gli ricadde nel cuscino, da cui vide salire uno sbuffo di polvere. Storse il naso, puntò le mani contro il materasso e spese tutte le forze a sollevarsi da quel giaciglio sudicio.

Girò uno sguardo sbadato, approfittando della tenue luce che penetrava dalle tende. Era certo che l'avrebbe ritrovata lì dove gli era parso di averla lasciata e, al pensiero, un brivido gli corse per le braccia. Guardò più attentamente, eppure la camera era proprio vuota e la chiave posta di sbieco nella serratura assicurava che nessuno fosse entrato o uscito durante la notte.

Qualcosa non tornava al marchese che, sempre più confuso, si mise seduto contro la testiera a tastare i cuscini con le mani, quasi che potessero restituirgli ciò che aveva dimenticato. Chi cercava? Non lo ricordava, ma ricordava perfettamente di non essere entrato da solo in quella camera di locanda.

Com'era il nome? La locanda dell'Oca. Certo, aveva visto l'insegna nel tardo pomeriggio del giorno prima e il volatile bianco appena dipinto svettava sul legno rossastro. Inspirò con forza, poi bisbigliò: «Ferraris...»

Aveva affittato un'altra camera. Pian piano, la mente faceva riemergere i primi brandelli di ricordi. Aveva affittato un'altra camera perché lui aveva insistito a voler stare per conto proprio, alzando anche la voce. Aveva insistito... e Ferraris ridacchiava, alzando di quando in quando il calice per prenderlo in giro, chiamandolo Monsignore per insinuare che fosse troppo bigotto. Le sue allusioni gli avevano scaldato il sangue e il vino, assunto prima con abbondanza gioviale e poi con sete nervosa, non aveva certo spento il fuoco; semmai, l'aveva attizzato.

Ottavio chiuse gli occhi e li stropicciò con le nocche, sbuffò e si spettinò con un gesto di stizza. Frugò ai lati del materasso, sbirciò sotto il letto, ma era solo, del tutto solo nella stanza. Si drizzò, tendendo le orecchie, vagando con lo sguardo sulle pareti. Solo.

Nonostante il mal di testa, si impegnò a ricordare qualcos'altro. Ecco Ferraris, seduto di fronte a lui, che gli diceva di non accarezzare il cane e aggiungeva: "Guardate piuttosto quelle due laggiù".

Si volse, come se, facendolo, avesse potuto assistere nuovamente alla scena che si era trovato davanti al piano di sotto: Ferraris gli aveva indicato due cameriere molto giovani, belle e fresche. Sventolando la mano, Ferraris le aveva chiamate vicine, quindi, allungando una mano attorno alla vita di una delle due, una morettina con tante lentiggini, l'aveva stretta a sé reclinando la testa sul suo grembo. L'altra ragazza, non meno condiscendente dell'amica, aveva accarezzato la spalla di Ottavio e questi si era ritratto istintivamente, negandosi alle sue attenzioni. Ferraris aveva riso di cuore e, accennandogli con la coppa in mano, l'aveva sfidato: "Vi chiede un abbraccio! Su, non siate avaro!"

"Mi dispiace, ma non vi somiglio", aveva ribattuto. L'altro aveva riso ancora più forte e, dopo un sorso di vino, aveva fatto intendere alla morettina l'intenzione di volerla baciare. Quella, lontana dall'idea di rifiutare un uomo all'apparenza ricco e raffinato, si era chinata e l'aveva accontentato.

"Un abbraccio innocente, suvvia", aveva ripetuto a bacio scoccato Ferraris, servendo a sé e al compagno un'altra coppa piena. "Bevete, prima, se vi aiuta."

E lui aveva bevuto, assecondandolo senza sapere bene perché. Abbracciare la vita della cameriera era stato più facile, più naturale; e con l'andare dei bicchieri era diventato facile chiedere e ottenere baci, toccamenti e altre smancerie da locanda. Per vincere la timidezza aveva tracannato vino a non finire, mentre Ferraris, solo un poco più lucido, lo osservava con aria compiaciuta.

Che era successo dopo? Ottavio si prese la testa tra le mani, tentando di scacciare la pesantezza che gli gravava sulle tempie e sulla fronte. Il volto della cameriera riemerse a poco a poco dalla memoria: era castana, chiara di carnagione, con lineamenti tutto sommato piacevoli; la sua voce era dolce, la sua pelle insolitamente liscia; le sue dita profumavano di rosmarino e i suoi capelli di alloro. A un certo punto doveva averle chiesto come si chiamasse, ma non era sicuro che gli avesse risposto.

Sposa di marcheseDove le storie prendono vita. Scoprilo ora