Dalle poche parole che si erano scambiati nel corso della mattinata, Ottavio aveva solo intuito la profondità dell'abisso in cui Galatea era precipitata con l'andare dei giorni: durante la sua assenza la situazione era imprevedibilmente peggiorata, quando invece, aveva pensato partendo, avrebbe dovuto ricomporsi. Gli era parso di non essere una presenza rassicurante per lei, gli era sembrato meglio per tutti prendere un respiro, separarsi, ritrovarsi rigenerati e sollevati. Invece nessuno dei due aveva guadagnato granché dalla lontananza, se non un acuirsi di quel fastidio, di quella noia. Era come se si fossero disabituati alla reciproca compagnia, come se un mese senza vedersi avesse cancellato cinque anni di convivenza più o meno continua. Aveva incontrato un'estranea sulla soglia di casa; e Galatea aveva dato il benvenuto a uno straniero. Avevano diviso un letto che pareva non essere il loro, avevano cenato a una tavola fredda e insignificante.
Era accanto a Ferraris mentre ci rimuginava e questo non lo aiutava. Di tanto in tanto guardava di sottecchi il nobiluomo con fare indagatore, la mascella rigida e le sopracciglia basse. Erano di fronte a un davanzale e aspettavano. Avevano discusso ancora, sottovoce, e alla fine se ne erano rimasti lì, zitti.
Aspettavano due cose diverse: uno aspettava l'arrivo dell'abate, l'altro aspettava l'arrivo di Galatea. Tacendo, evitavano di rivelare il motivo che li tratteneva vicini nonostante la comune antipatia. Trovandosi quella finestra proprio dirimpetto alla scalinata principale, avevano creduto entrambi che fosse il luogo migliore dove fissare l'appuntamento.
Fu la marchesa ad arrivare per prima: dopo un riposo breve e poco ristoratore, si era rifatta il trucco ed era pronta a mostrarsi nuovamente agli ospiti. Ferraris la vide e si impettì; Ottavio, incuriosito dal suo movimento, aveva volto il viso nella sua direzione, quindi verso le scale. Il suo respiro si era mozzato, esattamente come la sera precedente. Galatea, vedendolo, abbassò gli occhi, sebbene fosse stato proprio suo marito a invitarla: non sapeva perché l'avesse fatta chiamare, ma trovarlo insieme a Ferraris la indusse a credere che si sarebbe parlato di quel carteggio lungo cinque anni. Arrossì, non seppe se di stizza o di pudore, ma non si fermò e arrivò al loro cospetto con la faccia dura e il portamento compunto di una condannata a morte.
«Signori», esordì, come tenesse il suo ultimo discorso; ma non continuò, piuttosto contemplò le espressioni dei due uomini che parevano pendere dalle sue labbra. Ristette, deglutì; d'improvviso si ritrovava al centro dell'attenzione in un modo nuovo, ormai dimenticato. Non avrebbe mai pensato, fino a un attimo prima, di poter suscitare ancora quegli sguardi gelosi e anelanti: si sentiva ormai sfiorita, appassita come una rosa lasciata seccare al sole di un pomeriggio troppo caldo.
«Madama?» la imboccò Ferraris, cui subito si associò Ottavio dicendo: «Parlate pure senza riserve».
D'un tratto, Galatea non aveva più nulla da dire. Era ammutolita, i suoi argomenti le apparivano ora privi di ogni senso. Esporli come avrebbe voluto non sarebbe valso più a nulla, sarebbe stato un inutile ripetere qualcosa di già superato. E poi, proprio in quel frangente, l'abate spuntò in cima alle scale, le scese agile e scattante come un ragazzino e raggiunse lo strano trio alla finestra.
«Signori,» cominciò, «avete richiesto la mia presenza, non sbaglio?»
«Non sbagliate, Reverendissimo padre», rispose Ferraris con un inchino. E il marchese aggiunse: «Vorrei mostrarvi il mio studio; non credo vi siate già stati in mia assenza».
Galatea, confusa, seguì i tre uomini lungo il corridoio con l'intenzione di accompagnarli alla meta e nel frattempo capire perché Ottavio l'avesse mandata a chiamare senza spiegazioni. Il timore che volessero giudicarla per qualche fatto del passato, per qualche leggerezza o qualche concessione di troppo al piacere dei sensi, la fece avvampare una seconda volta. Per istinto, non per altro, cercò gli occhi del marito, che però stava parlando con l'abate suo amico e quindi non poté notarla. Si sentì piccola, Galatea, si sentì fragile e invisibile; rallentò, presto si distaccò dal gruppetto che, tra una risata sommessa e un'osservazione arguta, percorreva il corridoio con estrema naturalezza. E lei aveva piedi di marmo al loro confronto, e i suoi movimenti erano pesanti, il suo umore strisciava a terra insieme allo strascico. A impensierirla di più furono i servitori che incontrò nella sua mesta passeggiata: anche loro la giudicavano, ora che suo marito era ritornato a casa e non era più lei a reggere il palazzo. I loro occhi bruciavano la sua pelle come marchi d'infamia; ma non era una ladra, lei, né un'assassina... Un'assassina?
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Sposa di marchese
Ficción históricaSequel di "Figlia di mercante" Una nuova, rocambolesca avventura sta per coinvolgere Galatea e la sua famiglia. Nessuno, nemmeno la sposa del marchese, può ritenersi al riparo dalle insidie della vita: ogni momento felice può racchiudere in sé il ge...