Capitolo diciassette

2 1 0
                                    

Sono davanti ad un edificio che corrisponde all'indirizzo che c'è scritto sopra il bigliettino, c'è un'insegna che dice erbe e pietre curative da Rosa; l'insegna è vecchia e tutta arrugginita, ma la scritta è perfettamente leggibile. Un uomo con degli occhi enormi e delle labbra rosse tatuate sul collo mi passa affianco e si ferma davanti alla vetrina del negozio e anche io avrei voluto vedere quello che c'è esposto in vetrina, ma dato che c'è già quest'altro tizio mi sembra sgarbato affiancarmi lui e così decido di farmi coraggio ed entrare. Appena entro nel negozio vengo investita da un fortissimo odore di incenso, gli occhi iniziano a bruciare e a lacrimare impedendomi di vedere. Sento delle voci però e dei miagolii e quando i miei occhi smettono di bruciare e riesco a mettere a fuoco vedo la signora col pellicciotto che adesso non indossa il pellicciotto, ma un cardigan spesso di lana con una fantasia arcobaleno e la grezzezza del capo mi fa pensare che se lo sia fatto a mano, e un signore sulla settantina in piedi e tutto impettito e con le mani conserte davanti a lei, entrambi mi guardano con irritazione, ma se lo sguardo dell'uomo denota una punta di irritazione che però cerca di nascondere dietro un falso sorriso, la signora invece continua a guardarmi con aperta avversione e le sue labbra sono deformate in una smorfia di disgusto, < ah va chi è arrivata > la sento dire, < lo sapevo che sarebbe arrivata > fa all'uomo, < aspetta là > mi dice poi in tono brusco e io annuisco e inizio a guardarmi intorno, non me ne ero accorta appena entrata, ma in tutto il negozio ci saranno almeno una trentina di gatti che camminano sugli scaffali e che miagolano e tre di loro mi si avvicinano con le code alzate e hanno iniziato a strofinarsi sulle mie gambe, uno di questi ha il pelo arancione e un piccolo sonaglino attaccato al collare che tintinna ogni volta che il gatto muove la testa, gli altri due sono neri e con gli occhi gialli. Oltre ai gatti nel negozio ci sono un'accozzaglia di bigiotteria sparsa un po' ovunque, nella parete di fianco a me, che è dipinta da pennellate color verde pastello, sono appese una serie di collane con degli enormi ciondoli circolari, il cartellone appeso immediatamente sopra cita: amuleti vari e la scritta è fatta a mano con una calligrafia infantile che è tutta cerchi. Pochi metri davanti a me c'è un bancone coperto da una stoffa, che credo sia tulle, rossa scuro e sopra la stoffa ci sono ammassate delle pietre e poi gli scaffali che sono sparsi un po' ovunque sono pieni di libri che sembrano inutilizzati da anni e anche dalla mia posizione riesco a vedere lo strato di polvere che li ricopre quasi tutti e poi alzo lo sguardo verso il soffitto e vedo che è ricoperto da acchiappa sogni colorati e mi dico che è proprio un negozio particolare e forse, fosse stata una situazione diversa e avessi avuto un'accoglienza decente, mi sarei anche goduta la visita. Torno a guardare la signora e il signore che stanno continuando a parlottare animatamente tra di loro e adesso qualcosa nell'uomo è cambiato, la sua postura non è più rigida e le sua braccia sono gettate a peso morto sui fianchi e la sua faccia che prima era seria e compita adesso sembra essersi afflosciata, < mi avevi detto che potevi aiutarmi > si lamenta lui con una voce che è quasi stridula, < me lo avevi promesso >, la signora lo liquida con un'alzata di mano, < Arturo > dice in tono seccato, < ti ho detto che un tempo avrei forse conosciuto qualcuno che avrebbe potuto aiutarti, ma non adesso >, le mani del vecchio iniziano a tremare e la sua schiena si ingobbisce, < ci deve essere un modo > farfuglia, < non posso riportartela > fa la signora, < non vuoi > sbotta lui e per un secondo sembra che tutto il suo corpo si raddrizzi sorretto solo dalla rabbia, < almeno vendimi il libro > dice poi, < i soldi non sono un problema >, < lo so che i soldi non sono un problema > sbuffa lei, < ma davvero non posso aiutarti >, il vecchietto inizia a pestare il piede sul pavimento con forza, le chiede con occhi disperati se ha idea di cosa significhi perdere una figlia, di pensare anche solo per un minuto cosa voglia dire sapere che l'ultima cosa che le si è detto è < prendimi anche il sale che è praticamente finito >, lei lo guarda e dice che no, effettivamente non sa cosa vuol dire perdere una figlia e che se adesso non esce dal negozio lei sarà costretta a chiamare la polizia e allora dovrà spiegarlo a loro perché all'età di settantatré anni (avevo ragione sull'età) si deve ancora far sbattere fuori dai negozi come se fosse un ragazzino e allora lui si gira verso di me e mi guarda e sembra ricordarsi solo adesso che ci sono anche io, che li posso vedere e sentire e allora il suo sguardo si perde per un istante e sembra stia pensando se può continuare a parlare alla donna nonostante la mia presenza e poi sospira e alza un braccio e, con delle mani che sono davvero ben curate, inizia a grattarsi la testa e poi si gira di nuovo verso la donna e riattacca a parlare di come lei gli abbia promesso che avrebbe fatto qualcosa e che adesso non può rimangiarsi tutto, dice che l'ha già pagata in parte, che questo vuol dire truffare le persone e di come gli piacerebbe se chiamasse la polizia, perché a quel punto potrebbero parlare anche di come mai lei non gli abbia voluto rilasciare la fattura, quando lui le ha pagato quel medaglione del tutto inutile, < era per combattere la tristezza > si giustifica lei. Io inizio a sentirmi un po' a disagio e continuo a spostare il peso da una gamba all'altra e non so più dove mettere le mani, così, abbasso lo sguardo verso i tre gatti che ancora si stanno strofinando sul mio stinco e decido di prenderne uno in braccio. Ho tre le mani Luna, so il suo nome perché è scritto sulla targhetta minuscola che ha attaccata sul collare, Luna sembrava un gatto dolce, almeno i miagolii e i borbottii che emetteva mentre si strofinava sulla gamba erano dolci, ma adesso è come impazzita, mentre cerco di accarezzarla, lei inizia ad agitarsi e ora i suoi miagolii sono più urla che miagolii e ogni suo pelo si è drizzato, ma io continuo a tenerlo in braccio e continuo a provare ad accarezzarla perché finché c'è lui tra le mie braccia, non devo più fare finta di ignorare gli altri due che parlano e posso dare al signore anziano una parvenza di privacy. < Oddio, puoi lasciarlo andare? > mi dice la signora che ha un'aria terribilmente scocciata e solo adesso noto che i suoi occhi sono di una particolare sfumatura di grigio, < puoi mettere giù George? > mi chiede di nuovo avanzando verso di me, io annuisco con aria ebete e poi lascio giù il gatto che a quanto pare si chiama George e non Luna, < perché sulla targhetta c'è scritto Luna? > chiedo stupidamente io, la signora continua ad avvicinarsi a me con fare minaccioso, mentre il vecchietto mi guarda come se avessi appena dato fuoco alla sua casa, < cosa hai che non va? > mi chiede la signora, mentre prende in braccio George e inizia a sussurrargli parole che non riesco a sentire, poi la donna si gira verso il vecchietto e gli dice che è proprio il caso che se ne vada adesso e che ha un'altra questione da risolvere, il vecchietto non è contento e inizia a serrare la mandibola nervosamente, le dice che lui non se ne va da lì fino a che il loro problema non è risolto e la donna mi guarda e poi guarda il vecchietto e gli dice di ripassare tra una mezz'oretta, mezz'oretta e con me ha finito e poi possono parlare con più calma. Il vecchietto sembra soddisfatto della risposta e annuisce, poi si china a prendere un sacchetto che non avevo notato e che era appoggiato sul pavimento, vicino alle sue gambe, ed esce dal negozio, senza dire una parola né a me né alla signora. La signora aspetta che il vecchietto sia uscito dal negozio e che la porta del negozio si chiuda e poi sbuffa, < perché deve essere così faticoso? > dice mettendosi una mano tra la massa di capelli ricci che ha in testa, < perché deve essere così faticoso Patatina? > dice rivolgendosi ad uno dei gatti neri. Per quanto sia dispiaciuta che il vecchietto se ne sia andato insoddisfatto, sono contenta che sia finalmente arrivato il mio turno e quindi attacco a parlare dicendo alla signora che ho capito quello che voleva dirmi quel giorno in stazione, che ho bisogno di aiuto, lei si mette dietro al bancone, < ormai è troppo tardi > mi dice, < saresti dovuta venire da me prima >, < come facevo a venire prima che succedesse? > le chiedo io confusa e lei mi risponde che mi dovevo fidare di lei, mi dice che ormai mi ha presa e anzi, anche se potesse fare qualcosa, non farebbe comunque niente, < cosa intendi ? > le chiedo cercando di nascondere l'irritazione nella voce, < cosa intendi dire che se anche potessi non faresti niente? >, lei si prende tutto il tempo per arrivare con passo lento al bancone e fingendo un aria rilassata e fischiando a labbra strette un motivetto che non ho mai sentito, inforca un paio di occhiali fucsia e inizia a sfogliare distrattamente un libro, < politica aziendale > fa dopo un po', < non aiuto persone che non mi danno ascolto subito >, < che cazzata è? > sbraito io, < e poi come sapevi che sarebbe successo? >, lei mi dice che avevo avuto tutti gli indizi necessari per capire che sarei dovuta andare da lei e che se non avessi subito pensato che era una pazza scatenata e se mi fossi fermata a pensare alle parole che mi aveva detto, avrei capito che ero in serio pericolo e allora sarei andata da lei prima e lei mi avrebbe aiutato a fare in modo che quello che è successo non succedesse. Mi dice che è da quando ha memoria che vede come delle aree scure intorno alla gente che è destinata a breve ad essere vittima di una terribile disgrazia, mi dice che se si concentra su una di quelle persone allora riesce anche ad ottenere delle immagini riguardo la disgrazia in questione e ottenendo delle immagini riesce, la maggior parte delle volte, ad evitare che quelle disgrazie accadano, ma il fattore principale per poter evitare che queste terribili situazioni si avverino è quello che le vittime le devono dare ascolto, mi confessa che ha passato quasi tutta la sua vita a cercare di salvare persone che non volevano ascoltarla, mi dice che è stata arrestata nove volte per molestie, ma che non le importava, all'inizio almeno; ogni volta che vedeva una di queste ombre scure attorno ad una persona lei si gettava ad avvisarla, la persona, e per quanto questa la guardasse male e per quanto gli occhi della futura vittima esprimessero solo disprezzo e una leggera compassione, lei continuava a cercare di salvarli. Mi dice che ricorda distintamente l'episodio che le ha fatto passare la voglia di continuare a condurre questo stile di vita, l'esatto momento in cui aveva deciso che di lì in poi avrebbe aiutato solo quelli che se lo meritavano. < C'era una donna sulla trentina > racconta < era seduta su una panchina nel parco, io ero a un centinaio di metri da lei, in mano avevo delle buste del supermercato, avevo comprato ventimila lire di carne perché quella sera avevo ospiti a cena e volevo farli mangiare bene >, scuote una mano e mi dice che sta divagando, poi si lamenta che se continua così non la storia non la finisce più, quindi sbuffa e riparte a raccontare, < la signorina aveva questa nube nera che era spessissima e io sapevo che più la nube è spessa, più vicina è la tragedia che deve accadere >, mi dice che lei aveva corso per raggiungerla, aveva corso talmente forte che a un certo punto aveva mollato lungo il sentiero i sacchetti della spesa e una volta raggiunta la ragazza, le mancava il fiato, mi dice che gliel'ha detto ansimando che era in pericolo, che da lì a cinque minuti le sarebbe caduta addosso una trave d'acciaio e che non sarebbe sopravvissuta all'incidente, < non ha neanche spostato gli occhi dal libro che stava leggendo > mi dice, < sapevo che mi aveva sentito perché la sua posa si era fatta più rigida e i suoi occhi non scorrevano più sulla pagina, ma stavano fissi in un punto. Tutto in lei mi diceva che voleva solo che me ne andassi, che le stavo mettendo paura. Immagina > dice < c'è una davanti a te che ti racconta di come da lì a poco il tuo corpo sarà sfracellato sul cemento e di come il risultato sarebbe stato così rivoltante che lo stesso tizio che manovrava la gru e che avrebbe provocato la caduta della colonna che ti avrebbe ucciso, avrebbe vomitato nella cabina e avrebbe pensato al tuo rivoltante corpo sfracellato per ogni secondo della sua restante vita, fino a che non si fosse ucciso un anno più tardi con una motosega >, < sarei scappata urlando > faccio io pentendomi subito delle mie parole, perché la tizia si gonfia tutta e poi mi dice che non vuole discutere con me dei suoi metodi, < ma alla fine è successo veramente? > chiedo poi e lei annuisce, < sì > risponde, < certo. Non so dell'uomo, non mi sono più informata. Ci dovrebbe essere una targhetta adesso, nel punto in cui è successo >, non le chiedo in che punto è successo anche se vedo che se lo vorrebbe sentire chiedere perché quel sorriso inquietante che ha sulla faccia aspetta solo quello, aspetta che le chieda dove si trovi il posto così che lei potrebbe indicarmelo e io potrei andarci e vedere che aveva ragione e allora lei si sentirebbe la persona più incompresa della terra e si ciberebbe della compassione che in quel caso pensa che io proverei, cosa che comunque non farei perché quella che ho davanti non è che un'idiota piena di sè, una donna che potrebbe avere un dono straordinario che non ha fatto altro che scelte sbagliate e le possibilità che avrebbe potuto avere e che non ha sfruttato, le vite che avrebbe potuto salvarle e che non ha salvato, la rendono colpevole quasi come se tutte quelle persone le avesse uccise lei. Mi chiedo perché, se davvero la donna davanti a me ha queste abilità (cosa a cui ormai credo perché non capisco in che altro modo avrebbe potuto sapere della mia situazione), siano state date ad una tizia che non riesce a sfruttarle e che sono riuscite solo a portarla se non alla pazzia, in un posto molto vicino. Un gatto che credo sia Patatina, ma che potrebbe benissimo essere anche l'altro gatto nero di cui non so ancora in nome fa un balzo e salta sul bancone, < da quel giorno ho detto basta > mi fa la signora mentre con una mano grassoccia si mette ad accarezzare il gatto, < da quel giorno ho deciso che non mi sarei più sforzata di aiutare persone che mi guardavano come se fossi pazza >, puntandomi un dito tutto anellato mi dice che il suo aiuto ce lo dobbiamo meritare, < non è che potete venire da me una volta che vi siete accorti che ho ragione e pretendere che io abbia ancora voglia di aiutarvi >. Prende il gatto in braccio, < do a tutti il mio bigliettino da visita, dico a tutti che per il loro bene devono venire da me e sai quanti effettivamente sono venuti? >. Mi guarda come se si aspettasse una risposta alla domanda, come se la domanda che ha appena fatto non fosse retorica e allora io sbuffo < due? >le butto lì, < tre > mi dice e uno era entrato perché pensava vendessi delle candele, < ah > faccio io, poi mi dico che mi sto comportando troppo da stronza e se c'era anche solo una possibilità che, nonostante tutto quello che mi aveva detto, lei avrebbe avuto ancora voglia di aiutarmi, dovevo sfruttarla e decido che fare un po' la leccaculo non avrebbe nuociuto alla mia causa. < Che sciocchi > dico cercando di essere il più convincente possibile, < proprio degli sciocchi > aggiungo, lei si mette a guardarmi storto, < sciocchi morti > risponde lei e io sgrano gli occhi, < sono davvero tutti morti? > dico con un filo di voce, lei annuisce simulando col suo sguardo un aria mesta che sarebbe stata anche credibile se non fosse stato per quel sorriso osceno che ha stampato in faccia dall'inizio della nostra chiacchierata, < uno credo che abbia solo qualche grave disabilità> si corregge poi. Mi lascio andare. Inizio a piangere e pregare la donna di aiutarmi, le dico che mi dispiace di non aver capito i suoi messaggi, che sono una stupida e più piango e più la prego, più lei si mette a scuotere forte quella testolina del cazzo, < no, no > continua a ripetere sovrastando il rumore dei miei singhiozzi, < politica aziendale >, io continuo a piangere anche quando lei inizia a irrigidirsi e a guardarsi intorno e si vede che non sa più che pesci pigliare, così io cerco di dare il mio meglio e ai singhiozzi aggiungo delle urla soffocate e poi lei sospira e quel sospiro suona per me come una promessa di salvezza perché quel sospiro vuol dire che ha rinunciato alle sue idee del cazzo e sono riuscita a sembrare così patetica da poter meritare il suo aiuto, e quindi smetto di piangere e mi asciugo le lacrime con la manica del giubbotto, che è ruvida e non fa che arrossarmi di più la faccia, < perché devi rendere tutto così imbarazzante? > mi chiede poi , io rimango a fissarla senza sapere cosa dire, lei poggia il gatto che aveva ancora in braccio sul bancone e lui fa due giri su se stesso e poi si raggomitola sopra il tessuto di tulle rosso e si mette a guardarmi e anche il suo sguardo, con quelle sue pupille verticali, sembra vergognarsi per la pessima sceneggiata che ho appena fatto. La donna fa il giro del bancone e viene verso di me e mi dice che adesso sarebbe proprio il caso che me ne vada e io vorrei solo strozzarla, ma annuisco, e le faccio il dito medio, e poi esco dal negozio.

Nascita dell'Anticristo #wattys2019Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora