Capitolo 9👩🏼‍🤝‍👩🏻

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Allison's pov

Un raggio luccicante mi investe in pieno viso, costringendomi a strizzare gli occhi tra loro per il fastidio.

Mi rigiro tra le lenzuola essendo in una posizione parecchio scomoda... e improvvisamente sbatto il mento contro qualcosa di duro.

<<Ma che diamine...?>> impreco sbarrando gli occhi e portando una mano sotto il mento dolorante, che sento pulsare lievemente.
Mi osservo un po' intorno stralunata, cercando di fare mente locale.

Davanti a me c'è il mio comodo letto completamente intatto, nessuno ha dormito sopra di esso.

Meno che mai io, a quanto pare.

La mia stanza è come al solito, perfettamente in ordine.

Mi guardo attorno e mi accorgo di essere distesa sul pavimento, con addosso ancora l'abito di ieri sera.

Mi sollevo cautamente, facendo attenzione, e lancio uno sguardo allo specchio appeso alla parete.

Ho un aspetto orribile, accidenti.
I capelli sparati in aria, gli occhi verdi sono circondati dal trucco sbafato e dalle occhiaie.
Il resto è tutto totalmente un casino, che mi porta a rabbrividire.
Sembro una quindicenne in post-rave, che orrore.

Dietro di me squadro il ripiano che si trova sotto la finestra, che ho arredato a mo di divanetto.
È lì che ho preso sonno, solo non ricordo perché ci sono rimasta.
E improvvisamente delle forti grida mi invadono la testa, rivedo di sfuggita due occhi verdi e furenti, carichi di odio, e una lunga chioma nera come la pece salire in sella su una moto, per poi fuggire via.
Jennifer.
Ricordo di essermi messa accanto alla finestra nell'attesa del suo ritorno, volevo esserci per lei, volevo che sapesse che su di me può sempre contare, che io ci sono e ci sarò sempre.

Anche se Jennifer non crede ai "per sempre". Jennifer non crede a niente se non al fatto che qualunque cosa lei faccia, debba sempre farla da sola. Cavarsela da sola. Piangere da sola. Ridere da sola.
Dice che non è vero, che ogni volta che ha bisogno viene da me, ma non è mai così.
Ho sempre dovuto costringerla, ho sempre dovuto farmi largo fra le sue barriere, che in un modo o in un altro aveva lasciato fuori anche me, concedendomi di rado di entrare.

Ricordo che lei, per me, c'era sempre quando eravamo piccole.
Mamma e papà litigavano spesso per cose futili, ma le loro discussioni duravano molto ed erano feroci.
Ogni volta che sentivo le loro grida andavo nel panico, mi rannicchiavo tra le lenzuola il più possibile, nascondevo la testa sotto il cuscino e pregavo che la smettessero, o se proprio non era possibile, che almeno diventassi sorda.

Poi all'improvviso Jennifer entrava in camera con il pigiama tutto nero e le trecce un po' sfatte che le faceva la tata e che lei odiava profondamente.
Le chiedevo cosa ci facesse in camera mia a quell'ora e lei rispondeva che le mancavo e che non riusciva a dormire, così si metteva accanto a me nel letto, mi abbracciava e mi asciugava le lacrime da sotto gli occhi.
Ovviamente era tutta una scusa per non farmi preoccupare ulteriormente, ma io sapevo che lo faceva solo perché sapeva come stavo e voleva starmi accanto.
Poi prendeva a raccontare le storie della Disney che la Tata ci narrava il pomeriggio per merenda.

Visto che lei non le ascoltava mai, faceva solo finta perché le principesse e cose del genere non le piacevano affatto, mi raccontava una storia che ne conteneva sei.

Ricordo ancora Cenerentola che voleva andare al ballo nel fondo degli abissi perché si era innamorata di uno dei sette nani, il quale era il tritone, e per farlo doveva cedere i capelli in cambio di una coda da sirena al genio della lampada, che li voleva per darli ad una fata e fare in modo di diventare un bambino vero.
Non le ho mai detto che le storie non erano esattamente così, perché mi faceva ridere il modo convinto e sicuro con cui le raccontava.

GEMELLE DIVERSEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora