2. Pappette verdi e muri bianchi

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IAN

Sono seduto ad un tavolo nella mensa dell'istituto in completo silenzio, osservo questa sorta di minestra che c'è nel mio piatto e non so se voglio mangiarla o meno.

Il cibo non è del tutto immangiabile mi ha detto quel tizio ieri appena sono arrivato, eppure a me questa robaccia verde sembra tutto tranne che buon cibo.

Non l'ho nemmeno assaggiata e non ho nessuna intenzione di farlo.

-Ehi Ian, vieni qui con noi!- Oh, Dio. Alzo gli occhi al cielo e fingo di non aver sentito il biondo pronunciare il mio nome. Non sono uno a cui piace la compagnia, preferisco starmene da solo con la mia testa.

Punto gli occhi sulla pappetta verde in attesa che un mostro esca dal suo interno e mi porti via da qui.

-Ian, amico, sto parlando con te.- sbuffo, annoiato dalla sua insistenza. Per quale diavolo di motivo le persone non capiscono mai quando stare in silenzio o al proprio posto?

Alzo la testa dal mio piatto e guardo nella direzione del biondo che si sbraccia per attirare la mia attenzione.

Qual era il suo nome? James? Jake?

Joe, si chiama Joe.

Giusto.

Gli sorrido flebilmente e torno a guardare il mio cibo, ancora totalmente convinto di non voler intraprendere alcun tipo di interazione con un essere vivente.

D'un tratto le sedie accanto a me vengono spostate e tre ragazzi, accompagnati da una ragazza, si siedono con la delicatezza di un elefante in una cristalleria.

-Ian, loro sono Mike, Ethan e lei è Louise.- faccio un cenno con la testa per salutarli. Sono sicuro che sul mio volto sia presente una smorfia infastidita, ma la cosa non sembra importare a nessuno di loro perché continuano imperterriti a parlare.

Sto cercando di restare calmo e mostrarmi gentile ma questa gente non mi rende il lavoro facile.

-Ti abbiamo visto solo e abbiamo detto "ehi, andiamo da lui, magari gli fa piacere"- la ragazzina che mi sta parlando sembra molto piccola.

Non le darei nemmeno vent'anni se non fosse per i lineamenti adulti del suo viso. Indossa la drastica divisa grigia dell'istituto ma riesco comunque a notare la minutezza del suo corpo sotto di essa. Ha i capelli scuri come la pece che si perdono in qualche ciocca rosa qua e là, qualche piercing sul volto e un tatuaggio che le esce dalla divisa propagandosi per il braccio.

Sembra una a posto.

Gli altri due, invece, mi ricordano un po' Stanlio e Ollio: quello che credo si chiami Ethan è alto e magro, sembra che la sua massa muscolare non si sia mai sviluppata.

L'altro è grasso e corto, sta mangiando la sua minestra come un bambino africano affamato e continuo a chiedermi come faccia a ingurgitare questa roba.

-Come è andata la tua prima notte al Riviera?- continua la ragazzina che non demorde.

Mi rimangio tutto, non è una a posto mi sta già rompendo i coglioni.

La verità è che la notte scorsa non ho chiuso occhio: il letto sotto di me era così scomodo che per un attimo mi è passata per la testa l'idea di dormire per terra, poi ho valutato l'opzione che potessero esserci scarafaggi e esseri simili e ho deciso che era meglio restare al mio posto. In più in questo posto la gente non fa altro che urlare e schiamazzare, perciò dormire è stato letteralmente impossibile.

-Bene, se non contiamo quello nella cella accanto a me che non ha fatto altro che segarsi tutto il tempo e il letto duro come il mio cazzo in un nightclub.- esclamo annoiato.

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